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Notizie sull'operazione speciale condotta dall'esercito russo in Ucraina
Le parole dovrebbero essere annoverate nell’elenco delle droghe pesanti, e purtroppo a chiunque può capitare di farsi ogni tanto una “pera” eccessiva. Il quotidiano neocon “il Foglio” si è approfittato del “trip” di uno dei padri costituenti, Umberto Terracini, per fargli fare una figuraccia postuma mettendo in evidenza alcune sue frasi poco felici in sostegno di Israele. Dopo averci ammonito sul fatto che anche Terracini considerava l’antisionismo una forma di antisemitismo, ci viene proposta una citazione nella quale il vecchio comunista...
Da questa parte del "mondo democratico occidentale", molti di noi si dibattono tra rabbia e la sensazione drammatica di impotenza nell'assistere allo sterminio in diretta di un intero popolo. A volte questo senso di frustrazione si trasforma in disagio somatizzato, in depressione (parlo per me e per gli amici e compagni con cui mi confronto ogni giorno). In altri casi, invece, rischia di generare reazioni di autoconservazione fatalista, ricerca del deus ex machina, rimozione. Eppure qualcosa si muove. Qualcosa possiamo fare. Una piccola...
1. Seguendo un copione creato a tavolino per ingannare la mente di chi si abbevera ai telegiornali della sera, gli Stati Uniti continuano a tirare il guinzaglio legato al collo del cagnolino d’oltremanica. Quel cagnolino era un tempo l’Impero britannico’, oggi solo un maggiordomo che esegue gli ordini dell’Impero Atlantico: tenere Julian Assange in prigione fino alla morte. Per la più grande democrazia al mondo – da esportare, se del caso, a suon di bombe e che ormai solo i politici europei (e italiani) credono sia tale – il rischio più...
Qualcuno parla di rischio di terza guerra mondiale davanti alla rappresaglia dell’Iran verso Israele, ma cari miei, una terza guerra mondiale sarebbe solo nucleare. Perciò, definitivamente distruttiva dell’umanità. Avete presente l’anime e il manga “Ken il Guerriero”? Lì, almeno, le armi nucleari sono state relativamente innocue: hanno distrutto il mondo, ma non hanno lasciato radiazioni. Ma nella realtà, una guerra di tale portata, ridurrebbe il mondo a una landa desolata radioattiva, invivibile. E per quanto noi siamo governati dai...
Il Governo è in difficoltà, è debole. Questo è il precipitato politico di un ragionamento che prende le mosse dalla scelta del Governo di approvare un Documento di economia e finanza (DEF) privo delle principali informazioni sulle tendenze della finanza pubblica e dei conseguenti effetti macroeconomici. Il DEF è il principale strumento di programmazione economica del Governo, serve a definire il quadro della finanza pubblica per l’anno in corso e per il successivo triennio. In pratica, con il DEF il Governo è chiamato a mettere nero su bianco...
Dopo l’oblio dell’attacco al Crocus da parte dei media d’Occidente, preoccupati solo di discolpare l’Ucraina dalle evidenti responsabilità, come peraltro accaduto varie volte in passato – a parte eccezioni che confermano la regola – per altre azioni oscure di Kiev, anche l’attacco di droni alla centrale atomica di Zaporizhzhia è passato sottotraccia, come qualcosa di marginale. L’attacco alla centrale di Zaporizhzhia e i topos delle guerre infinite E ciò nonostante la gravità dell’accaduto: se l’attacco fosse riuscito al 100% poteva creare...
Il senso di colpa domina incontrastato nella multiforme platea dei sentimenti umani. Senso di colpa per non essere abbastanza, per non aver superato l’esame, per non aver performato quanto desideravamo, per aver disatteso le aspettative, per non aver concluso un lavoro, per aver trascurato passioni e interessi, per aver manifestato rabbia, tristezza e paura, per gli errori commessi, per le azioni compiute, per una parola fuori posto, per non esserci stata, per aver mangiato, per aver risposto nervosamente, per quella carezza non data, quei...
Immancabili, come ogni anno, i dati Istat sull’andamento demografico del paese registrano un deciso segno meno”. Che non è grave soltanto in sé, ma soprattutto perché conferma una tendenza di lunghissimo periodo. Dal 1964 a oggi sono stati pochissimi gli anni in cui le nuove nascite sono state più numerose dell’anno precedente, ma anche a uno sguardo disattento balza agli occhi che la dimensione delle diminuzioni è sempre alta, mente i “rimbalzi” sono sempre appena percettibili. Il risultato finale, al 2023, non lascia dubbi: i nuovi nati...
‘Essere democratici è una fatica immane. Allora perché continuiamo a esserlo quando possiamo prendere una scorciatoia più rapida e sicura?’. Così Michela Murgia, la scrittrice sarda recentemente scomparsa, nel suo pamphlet del 2018 dal titolo provocatorio: ‘Istruzioni per diventare fascisti’. Con una originale sapienza dialettica, com’era suo stile di comunicazione in ogni dibattito pubblico e nel relazionare sulle grandi ingiustizie e ineguaglianze che affliggono le società odierne, Michela Murgia, nel suo saggio, ci invita a sottoporci a...
I due anni della pestilenza da Covid-19 si sono rivelati una grande imprevedibile opportunità per testare il livello di ubbidienza che, si può ottenere applicando un regime disciplinare come lo è stato l’obbligo di vaccinarsi, appunto. La narrativa secondo la quale il barbaro no-vax e chi lo sostiene rappresentano il Male, e quindi vanno denigrati, censurati, emarginati, criminalizzati ha funzionato. Pertanto, lo stesso identico canone è stato applicato su una nuova dicotomia buono-cattivo nella politica internazionale. Stesso manicheismo,...
L’avesse compiuto, per dire, il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, un gesto come quello del suo omologo britannico David Cameron, recatosi in “visita di lavoro” da Donald Trump in USA, intrattenendosi – magari – in Germania, con Sahra Wagenknecht, per di più alla vigilia delle elezioni, il coro liberal avrebbe subitamente gridato alle «interferenze russe nei processi democratici dei paesi liberi». Ma fatto tra “alleati”, per di più di estrazione anglosassone, la cosa rientra nella normalità e, trattandosi della “democratica Ucraina...
Un’analisi di cosa succede e di cosa si prospetta in Medioriente, a partire dal genocidio in atto a Gaza, dalla rivolta generale palestinese, dallo scontro tra Stato Sionista e Asse della Resistenza in Libano, Siria, Iraq, Yemen, all’indomani dell’attacco israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco. Una panoramica che parte dalla ritirata della FOI (Forza di Offesa Israeliana) dalla metà sud di Gaza, dopo sei mesi di offensiva del presunto “esercito più potente del Medioriente” che non è riuscito a controllare la Striscia, annientare Hamas e...
In vista della settimana di mobilitazione dei lavoratori all’interno dell’accademia italiana, proponiamo qui un resoconto delle linee d’intervento del movimento negli ultimi mesi, mettendo al centro i punti politici principali che stanno caratterizzando le proteste dei lavoratori e delle lavoratrici dell’università di concerto con i movimenti studenteschi. Si tratta di una riflessione che vuole essere un punto di partenza che ci porti allo sciopero del 9 aprile di tutto il mondo universitario, una data che deve essere un punto di partenza per...
Trent’anni dopo il genocidio in Ruanda, innescato dall’abbattimento dell’aereo privato su cui viaggiavano il presidente del Paese e il suo omologo del Burundi, e spacciato per l’esplosione di un conflitto etnico tra Hutu e Tutsi, si continua a discutere sulle cause del massacro di quasi un milione di persone. Dopo tre decenni, si evidenziano implicazioni che gettano una luce meno semplificata su quegli eventi drammatici: a cominciare dal ruolo delle grandi potenze che cercavano di accaparrarsi le enormi risorse strategiche nella regione dei...
È certamente corretto sostenere che le motivazioni che stanno spingendo Washington a mettere sotto assedio Pechino sono di natura economica. Paradossalmente questa tesi è stata infatti espressa indirettamente dalla stessa Segretario al Tesoro Yellen, in una intervista della settimana scorsa che non ha avuto la risonanza che avrebbe meritato nonostante anticipasse i temi che la stessa Yellen sta trattando con l'élite politica cinese nel suo viaggio diplomatico in corso in questi giorni. Di importanza capitale per comprendere la situazione a...
Pubblichiamo un estratto della prefazione del libro “Ucraina, Europa, mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale” di Giorgio Monestarolo (Asterios, Trieste, pp.106, euro 13). L’autore è ricercatore presso il Laboratorio di Storia delle Alpi dell’Università della Svizzera italiana e docente di Storia e Filosofia al liceo Vittorio Alfieri di Torino. La prefazione è del generale Fabio Mini, che tra le altre cose è stato generale di Corpo d’Armata, Capo di Stato Maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione...
Volete uscire dal dominio neoliberista, volete allentare la morsa della gabbia d’acciaio capitalista, volete invertire l’allungamento in corso da decenni della scala sociale di cui tra l’altro vi è vietato l’uso per provare a scalarla. Avete idee di mondo migliore, più giusto, qualsiasi sia la vostra idea di “giusto”. Tutto ciò è politico. Ma la vostra società non è ordinata dal politico, è ordinata dall’economico. È l’economico il regolamento del gioco sociale, è lui a dettare scala di valori, premi, punizioni, mentalità e cultura comune. E...
Nelle Conferenze di La Paz, nel 1995, il teologo e filosofo argentino, tra i pionieri della Teologia della Liberazione e in esilio dalla sua patria durante il regime fascista sviluppa la sua attentissima lettura di Marx dal punto di vista rivendicato dell’esternità e del lavoro ‘vivo’; ovvero della persona effettiva, reale, completa. Questo, declinato nelle sue diverse forme, marginali e ‘poveri’, stati subalterni e periferici, è il tema centrale della filosofia e della prassi politico-culturale ed etica di Dussel. Proviamo, dunque, a...
Come ha potuto succedere? Che mostruosità! Tutte quelle armi che circolano! Ma in che tempi viviamo! Colpa dei genitori….Colpa della scuola…. Sono le esclamazioni dei manigoldi ipocriti che tendono a ottunderci il cervello mentre cerchiamo di farci capaci dell’enormità di un bambino di dodici anni che entra in classe con una pistola e spara e uccide suoi compagni. Si assembrano sugli schermi e nelle paginate psicologi, sociologi, esperti di ogni risma da un euro all’etto a disquisire sul fattaccio. E tutti, indistintamente, a mancare...
L’apparente moderazione dell’Iran di fronte all’aggressione israeliana non dovrebbe essere confusa con la debolezza. Teheran esercita costantemente pressioni su Tel Aviv attraverso i propri metodi, preparando attentamente il terreno per il disfacimento di Israele. «La leggenda narra che una rana posta in una pentola poco profonda piena d’acqua riscaldata su un fornello rimarrà felicemente nella pentola d’acqua mentre la temperatura continua a salire, e non salterà fuori anche se l’acqua raggiunge lentamente il punto di ebollizione e uccide la...
Più passano i giorni, più Israele procede nella sua campagna di sterminio, più si isola dal resto del mondo, più comprendo che il pogrom del 7 ottobre, pur essendo, come non può che essere un pogrom, un’azione atroce moralmente inaccettabile, è stato un atto politico capace di cambiare la direzione del processo storico. La conseguenza immediata di quell’azione è stata lo scatenamento di un vero e proprio genocidio contro la popolazione di Gaza, ma il genocidio era in corso in modo strisciante da settantacinque anni, nei territori occupati, in...
Marx era consapevole della difficoltà che l’idea di classe poneva come categoria che rappresenta un insieme eterogeneo di lavoratori, perché sapeva che il proletariato era composto non solo dagli operai di fabbrica ma da tanti altri lavoratori che, al pari di oggi, avevano in comune il fatto di trovarsi nella stessa posizione nei rapporti di potere. Tuttavia, nel pieno del capitalismo industriale, la classe in termini marxiani ha rappresentato una categoria utile a descrivere l’asimmetria dei rapporti di produzione e come questi fossero...
Premettendo che l'uscita di CS dai social ebbe molte ragioni circostanziate e che continuo a pensare che i social network siano già da tempo "territorio nemico", cominciamo mettendo in rilievo l'annuncio nell'articolo: Sabato 11 Maggio alle ore 10 presso il Centro Congressi Cavour sito a Roma in Via Cavour 50/a, ci riuniremo per il decennale de L’Interferenza e sarà l’occasione, oltre che per un dibattito politico sui vari temi di politica e di politica internazionale, anche per lanciare una battaglia per la libertà di informazione, per...
I ricchi sono sempre più ricchi, i poveri sono sempre più poveri. Alla base del divario, tra gli altri fattori, anche le eredità che in molti Paesi passano di mano senza essere tassate, o quasi. Così per la prima volta in 15 anni, secondo i dati di Forbes, tutti i miliardari sotto i 30 anni hanno ereditato la loro ricchezza. Detto in altri termini: nessuno di loro ha un’estrazione socio-economica familiare differente e si è “fatto da solo”. Addio ascensore sociale: il “grande trasferimento di ricchezza” – 84.000 miliardi di dollari nei...
Il giornale statunitense Politico ha intervistato alcuni ufficiali militari ucraini di alto rango che hanno prestato servizio sotto il generale Valery Zaluzhny silurato a febbraio da Zelenski. Le conclusioni sono che per l’Ucraina “il quadro militare è cupo”. Gli ufficiali ucraini affermano che c’è un grande rischio che le linee del fronte crollino ovunque i generali russi decidano di concentrare la loro offensiva. Inoltre, grazie a un peso numerico molto maggiore e alle bombe aeree guidate che stanno distruggendo le posizioni ucraine ormai...
L’assassinio del generale Reza Zahedi in un edificio dell’ambasciata iraniana di Damasco, assassinato insieme ad altri membri delle guardie rivoluzionarie, supera un’altra delle linee rosse che normalmente hanno limitato la portata dei conflitti del Secondo dopoguerra, evitando al mondo escalation ingestibili (il mondo guidato da regole esisteva prima dell’89; dopo il crollo del Muro, le regole sono state riscritte a uso e consumo degli Usa…). Anzitutto perché Israele ha colpito un alto ufficiale di una nazione non ufficialmente in guerra....
Sul quotidiano La Stampa di ieri è stata pubblicata una significativa intervista al fisico Carlo Rovelli che ha preso posizione a sostegno delle mobilitazioni degli studenti che chiedono la sospensione della collaborazione tra le università italiane e le istituzioni israeliane. Qui di seguito il testo dell’intervista Carlo Rovelli, fisico teorico, autore dei bestseller di divulgazione scientifica “Sette brevi lezioni di fisica” e “L’ordine del tempo”, non è uno da giri di parole. Nemmeno quando le idee rischiano di essere impopolari. Di...
Riporto questo articolo di Xi Jinping uscito ieri sul L’Antiplomatico, che conferma quanto ho avuto modo di analizzare in un mio contributo apparso si Carmilla e ripreso da Sinistrainrete poche settimane or sono. Non starò a ripetermi in queste sede e in estrema sintesi, mi limito a ribadire che quello cinese non è socialismo, ma nell’ambito di un processo internazionale multipolare occorre sostenere tutte le forze e i paesi che vanno in quella direzione e che di fatto contribuiscono al declino storico e generale dell’imperialismo atlantista,...
Mi scuso con chi legge questo articolo perché era mia intenzione aprire alla grande con una congrua citazione marxiana dai Grundrisse, quella che si avvia con: «Der Krieg ist daher eine…». Poi ho assistito in TV a una pensosa trasmissione condotta dal noto filosofo con nome primaverile, Fiorello, e ho cambiato idea. Il pensatore ha introdotto la categoria post-postmoderna di Ignoranza Artificiale. A questo punto ho meditato. Grande LLM di GPR-3! Grandissimo PaLM-2 che è addestrato da 340 miliardi di parametri! Grandioso GPT-4 addestrato da un...
Terminata la lettura delle scarse 150 pp. del volume di Stefano Isola, A fin di bene: il nuovo potere della ragione artificiale (Asterios, 2023), la sensazione è di inquietudine. Il dibattito sulle potenzialità della cosiddetta “intelligenza artificiale” (AI) è salito al punto da echeggiare i temi della fantascienza sulla “rivolta delle macchine”. Impressiona il fatto che la denuncia dei rischi venga non da qualche sorta di “primitivista”, ma da imprenditori del settore e da ricercatori. “Il 49% dei ricercatori di intelligenza artificiale ha...
Aleksandr Herzen diceva che il nichilismo non è il voler ridurre le cose a nulla, bensì riconoscere il nulla quando lo si incontra. La nulliloquenza non sarebbe difficile da individuare, dato che consiste nel muoversi costantemente su categorie astratte senza mai scendere nel dettaglio concreto. Purtroppo a volte è sufficiente drammatizzare la mistificazione nel modo giusto per far cascare l’uditorio nell’illusione. Nel gennaio scorso ci hanno raccontato la fiaba sul liberista, “libertario” e “anarco-capitalista” Xavier Milei, neo-presidente...
Ieri sera nel salotto di Floris il padre di Ilaria Salis ha pronunciato le seguenti parole: “Mia figlia è in carcere perché è una donna, perché è antifascista e perché non è ungherese”. Ora, un padre direbbe e farebbe di tutto pur di tirar fuori la propria figlia dalla galera, e questo ci sta tutto ed è ciò che lo nobilita. Dopo di che se crede o meno in ciò che dice o sia solo una escamotage per aiutare la figlia non lo sappiamo perché non siamo nella sua testa e, tutto sommato, è anche irrilevante saperlo. Chiarito questo, lo spropositato...
In prima serata per modo di dire, ovviamente. Come diceva qualcuno, se campi abbastanza ne vedi di tutte le specie. Aggiungerei che finisci per vedere tutto e il contrario di tutto. Esce su Netflix Il problema dei tre corpi e improvvisamente tutti parlano di caos deterministico, il che è molto curioso ai miei occhi. È molto curioso perché mi ricordo molto bene di quando iniziai a parlare di teorie del caos. Fu nel 2016 e il partito de lascienza ci mise poco a classificare la cosa: "le teorie del caos sono un marker dell'antivaccinismo". Mi...
Quattro autorevoli personalità tedesche – Peter Brandt, storico e figlio del cancelliere Willy Brandt, il politologo Hajo Funke, il generale in pensione Harald Kujat e Horst Teltschik, già consigliere del cancelliere Helmut Kohl – hanno presentato un piano di pace (qui il testo tradotto) altamente competente e realistico su come si potrebbe porre fine alla guerra in Ucraina attraverso un cessate il fuoco e successivi negoziati di pace. Si tratta probabilmente della proposta di pace più completa e innovativa che sia stata avanzata da un...
Quando il conflitto in Ucraina passerà alla storia, le passioni si placheranno e gli storici professionisti inizieranno ad analizzare gli eventi del recente passato, rimarremo tutti scioccati: come è potuto accadere che abbiamo accettato per oro colato un'ovvia menzogna? È consuetudine ironizzare sul passato di Vladimir Zelenskyj nel mondo dello spettacolo, ricordando come simulava suonare il pianoforte con i genitali per il divertimento del pubblico. C'erano altre battute di basso livello nel suo repertorio. Ma questo fu l’inizio, e...
Il libro di Giorgio Monasterolo, Ucraina, Europa mondo. Guerra e lotta per l’egemonia mondiale, pubblicato dalla casa editrice Asterios (2024), affronta l’argomento guerra in Ucraina e quella fra Israele e palestinesi della striscia di Gaza rispondendo contemporaneamente a due domande: come scoppiano i conflitti militari e perché. E’ opportuno, sostiene, spostare l’attenzione dal “come”, dalla logica aggressore-aggredito – secondo la quale la guerra ucraina è iniziata nel 2022, con l’attacco russo e quella di Gaza nell’ottobre 2023 con il...
«Indipendentemente dalla volontà degli uomini e delle autorità che li dirigono», scrive Fernand Braudel, i fenomeni collettivi si generano, accadono, tramontano, mutano (Civiltà materiale, economia e capitalismo (secoli XV-XVIII), vol. III, I tempi del mondo, trad. di C. Vivanti, Einaudi, Torino 1982, p. 65). Una volta avviate, le dinamiche sociali e politiche vivono di vita propria, seguendo regole certo non rigide come quelle che guidano il mondo fisico ma molto forti e a volte assai simili ai principi che sottendono le trasformazioni...
Dall’intelligenza artificiale allo sfruttamento dei satelliti. Dai dati sul traffico marittimo alle operazioni di compravendita che si chiudono in millesimi di secondo. Vale tutto sui mercati finanziari, pur di vincere la gara. Arrivare per primi, avere le informazioni una frazione di istante prima degli altri. Essere i più veloci a realizzare qualsiasi operazione di acquisto o vendita. Secondo un recente articolo di Les Echos alcuni fondi analizzano le foto satellitari dei porti per monitorare il numero di container in attesa. L’analisi di...
Dopo sole 24 ore dall’orribile eccidio del 22 marzo al Crocus City Hall di Mosca, che ha provocato la morte di almeno 137 persone innocenti e il ferimento di altre 60, i funzionari statunitensi avevano attribuito la responsabilità del massacro all’ISIS-K, la branca di Daesh dell’Asia centro-meridionale. Per molti, la rapidità dell’attribuzione aveva sollevato il sospetto che Washington stesse attivamente cercando di spostare l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale e del governo russo dai veri colpevoli – l’Ucraina e/o la Gran...
La storia a partire dal tardo XIX secolo ha già dimostrato come lo sviluppo reale di una rivoluzione industriale avvenga in maniera disomogenea e dopo periodi di incubazione più o meno lunghi. La nascita di una nuova tecnologia non comporta di per sé il «balzo» di una corrispondente rivoluzione socio-economica e la rispettiva tecnologia di base richiede a sua volta un certo periodo di maturazione e l’interazione con innovazioni su altri livelli. Ad esempio, negli anni Ottanta del XIX secolo l’automobile era già stata inventata ma le fondamenta della seconda rivoluzione industriale vennero gettate solo a partire dal 1913 con la «scienza del lavoro» di Taylor e con i nuovi metodi di produzione di Ford; essa inoltre, dopo un primo tentativo naufragato con la crisi economica mondiale, riuscì ad affermarsi a livello globale solo molto più tardi, cioè attorno al 1950. Uno sviluppo di questo genere, durato più di mezzo secolo, può andare incontro naturalmente a interpretazioni differenti e contraddittorie, fino al momento in cui non si manifesta distintamente il suo carattere autentico di rivoluzione epocale.
Le novità tecnologiche della terza rivoluzione industriale comparvero in un’epoca in cui la seconda rivoluzione non aveva neppure terminato di imporsi. È facile individuare la qualità delle tre grandi avanzate dello sviluppo industriale in base all’attività nel processo capitalistico di produzione: la prima rivoluzione industriale si contraddistinse essenzialmente per la sostituzione della forza fisica umana con quella delle macchine mentre la seconda fu caratterizzata dalla «razionalizzazione» o, si potrebbe dire, per la «robotizzazione» della forza-lavoro umana attiva nel sistema delle macchine. Il marchio fondamentale della terza rivoluzione industriale non poteva che essere la facoltà di rendere superflua la forza-lavoro umana nel processo di produzione industriale e la «razionalizzazione per riduzione» della medesima forza-lavoro grazie a meccanismi di controllo automatico e ai sistemi informatici.
È la redditività degli investimenti capitalistici che guida la crescita e l'occupazione, non le dimensioni del deficit pubblico
“Le identità contabili che equiparano le spese aggregate alla produzione ed entrambe ai redditi valutati ai prezzi di mercato sono ineludibili, indipendentemente dalla vostra preferenza per il tipo di economia keynesiana o classica. Dico sempre agli studenti che il rispetto di queste identità è il primo tocco di saggezza che distingue gli economisti da coloro che espongono l'economia. Il secondo? ... Le identità non dicono niente sulle cause”. James Tobin, keynesiano di sinistra, 1997.
"Il denaro è in definitiva una creazione del governo, ma ciò non significa che solo i deficit governativi determinino il livello della domanda in qualsiasi momento. Anche le azioni e le convinzioni del settore privato sono importanti. E questo a sua volta significa che è possibile avere eccedenze di bilancio ed eccesso di domanda allo stesso tempo, proprio come si possono avere deficit di bilancio e domanda carente”. Jonathan Portes (ortodosso keynesiano).
Il dibattito sempre più astruso tra gli economisti (mainstream, eterodossi e di sinistra) continua sulla validità della Teoria della moneta moderna (Modern monetary theory - MMT) e sulla sua rilevanza per la politica economica. Il dibattito tra le sinistre è ha innescato un’altra marcia a seguito della pubblicazione della feroce critica alla MMT condotta da sinistra da parte di Doug Henwood, visibile su Jacobin. Il principale esponente della MMT, Randall Wray ha risposto con rabbia al tentativo di demolizione di Henwood (qui). E poi dal cuore della terra del MMT, Pavlina Tcherneva, direttrice di programma e professore associato di economia al Bard College e un ricercatore associato presso il Levy Economics Institute hano risposto a Henwood sempre dalle colonne del Jacobin.
Tra gli economisti mainstream, Paul Krugman ci ha provato, ricevendo una risposta da Stephanie Kelton. Kelton è una professoressa di politica ed economia pubblica presso la Stony Brook University di Long Island (New York). È stata l'economista capo dei Democratici nello staff della Commissione Bilancio del Senato degli Stati Uniti e consigliere economico della campagna presidenziale del 2016 del senatore Bernie Sanders.
La notte tra il 23 e il 24 marzo 1999, la NATO dette inizio ai bombardamenti aerei sulla Serbia. I raid continuarono per 78 giorni, fino al 10 giugno, infliggendo danni per miliardi di dollari, distruggendo le strutture industriali, i ponti sul Danubio, i servizi essenziali del paese e causando la morte di centinaia di civili. Sabato 6 aprile se ne discuterà in un convegno nazionale a Bologna e ci saranno dibattiti in diverse città nei prossimi giorni. Il motivo? Non essere complici dell’oblìo su quella guerra in Europa, voluta e attuata dalle potenze della Nato ed anche dall’Italia. Una guerra pretestuosa funzionale agli Usa e alla Ue per ridisegnare la mappa geopolitica non solo dei Balcani ma dei corridoi strategici che vanno da est a ovest, e viceversa.
In una pubblicazione di quelle settimane e cercando di chiarire la posta in gioco in quel conflitto, scrivevamo che: “I bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia, sembrano essere un passaggio brutale della guerra tra Stati Uniti ed Europa per la spartizione dei mercati dell’Est. Da un lato l’aperto ostracismo degli USA contro la Serbia ha ottenuto anche il risultato di interdire i progetti europei, dall’altro l’asse anglo-americano dentro la NATO non fa mistero delle sue ambizioni al controllo strategico dei punti vitali della regione balcanica.
Gli USA hanno sabotato il progetto originario del Corridoio nr.10 ponendo il veto sull’attraversamento della Serbia. A tale scopo hanno pagato 100 milioni di dollari alla Romania per convincerla a far passare gli oleodotti più a nord (in Ungheria) invece che sul territorio jugoslavo da dove sarebbero arrivati a Zagabria, in Slovenia e poi in Germania.L’obiettivo è duplice : tagliare fuori la Jugoslavia dalle nuove rotte dell’economia e ostacolare qualasiasi interesse della Russia nei Balcani del Sud.
In secondo luogo, l’ENI aveva previsto una pipeline da Pitesti (Romania) alla raffineria di Pancevo (Jugoslavia) per la raffinazione del greggio per farlo poi arrivare con un oleodotto di 250 chilometri al terminale di Trieste.
"E' l'Europa che sta spingendo l'Italia ad accettare i soldi cinesi"
di Joseph Stiglitz
Parla all'Huffpost il premio Nobel: "Italexit? Se Roma esce è una tragedia per Ue, se resta è tragedia in Italia. Berlino si svegli". Con un'introduzione-commento di Giuseppe Masala
Stiglitz, il Bibitaro. Non ha sollevato alcun dibattito l'intervista rilasciata da Joseph Stiglitz all'edizione italiana dell'Huffington Post e concessa a Bruxelles a margine della presentazione del suo ultimo libro dal titolo emblematico: "'Rewriting the rules of the European Economy", riscrivere le regole dell'economia europea.
Due affermazioni in particolare avrebbero dovuto portare ad una qualche riflessione. Ecco la prima:<<Se l'Italia esce causa una tragedia in Europa, se rimane la causa in Italia>>. Ed ecco l'altra:<<L'euro funziona solo se i paesi che lo usano sono simili. Ma in Europa non è così, ci sono regimi fiscali che si fanno la concorrenza all'interno della stessa Ue, i paesi si sono allontanati invece che avvicinarsi ed è successo proprio per colpa delle regole dell'euro. Vanno cambiate>>.
Mi pare evidente che Stiglitz intenda dire che un'uscita dall'Italia dall'Euro comporti una catastrofe economica e finanziaria probabilmente di livello globale mentre una sua permanenza - a regole invariate - comporti la necrosi del nostro sistema produttivo e il conseguente collasso economico e sociale. Il discorso dell'Economista è peraltro più ampio: rileva che le asimmetrie della zona euro sono insostenibili. Regole fiscali diverse per ogni singolo paese appartenente all'area (peraltro usate a fine di dumping fiscale), regole di bilancio statali rigide per tutti senza tener conto dei fondamentali [conti con l'estero]. Tutto ciò comporta la netta divaricazione sociale ed economica tra gli appartenenti all'unione. Io peraltro umilmente sostengo che l'Euro non è una moneta ma una moneta per nazione all'interno dell'area e una moneta unica verso l'esterno dell'area. Ha una natura chiaramente ambivalente.
Tornando a Stiglitz da notare anche la sottolineatura sui trattati che hanno imposto queste regole folli per il governo della moneta [Trattato di Maastricht in primis]; sono state pensate ere geologiche fa, ai tempi della sconfitta del comunismo, all'alba dell'imposizione di un sistema liberista (quelle erano le intenzioni all'epoca, poi che ci siano riusciti è altro discorso).
Tria lancia un pacchetto di incentivi alle imprese ma la tesi della bassa intensità di investimenti per spiegare la bassa crescita dell’Italia non trova conferme. Piuttosto è Berlino a condurre i giochi nell’Euro-area. Così anche la Via della seta risulta uno sbocco per la Cina e per la Germania
Inquadramento delle politiche a sostegno della crescita degli investimenti
Il governo del Paese si accinge a prefigurare delle misure economiche e finanziarie per rilanciare il Paese. Il segno delle misure ricalca quanto già predisposto da altri governi. Il sole 24 ore del 17 marzo 2019 giustamente titola: “Da fisco e investimenti manovra per la crescita economia”. Le proposte del ministro dell’Economia Giovanni Tria sono relative al Patent Box semplificato, all’ampliamento dei mini-bond per finanziare le Pmi, alla Sabatini-quater in forma estesa e una nuova sezione del Fondo centrale di garanzia mirata alle medie imprese. Nel pacchetto dovrebbe rientrare anche il super-ammortamento e il taglio generalizzato dell’Ires sugli utili e le riserve che rimangono in azienda (Quest’ultimo provvedimento dovrebbe essere sostenuto con l’abbandono della mini-Ires appena nata, ma subito finita al centro di critiche per le difficoltà operative che comporterebbe la sua applicazione pratica).
L’obbiettivo è quello di rilanciare gli investimenti in macchinari e, in particolare, quelli a maggior contenuto tecnologico, unitamente ad una contrazione del carico fiscale in capo alle imprese. Se i vincoli finanziari europei compromettono gli investimenti pubblici, attraverso gli incentivi fiscali si immagina di rilanciare almeno gli investimenti privati (Cristian Perniciano della CGIL, esperto fiscale, stima gli aiuti pubblici verso le imprese pari a 10 miliardi strutturali tra il 2015 e il 2018). La logica sottesa è quella dell’ex ministro Carlo Calenda: innoviamo il sistema produttivo nazionale per rafforzare il made in Italy, in particolare nella produzione di beni strumentali e intermedi (addentrandosi nella questione, è saggio compiere una fondamentale quanto banale distinzione circa la composizione degli incentivi e le modalità con cui sono concessi; esistono, infatti, Paesi come l’Italia e la Francia che scommettono principalmente sull’utilità degli incentivi fiscali, mentre altri, come la Germania, che prediligono il finanziamento diretto a progetti selezionati tramite bando, anche attraverso la Kfw).
Uno dei fatti più notevoli degli ultimi anni è l’evoluzione accelerata dei partiti verso l’adozione di forme movimentiste. Come conseguenza della critica alla rappresentanza e dell’ingresso in una società più fluida, le iniziative politiche hanno finito per integrare nuove forme d’impegno politico, non necessariamente più democratiche. I casi più degni di nota in Francia sono En Marche! e La France Insoumise, in parte erede del Parti de gauche. Analisi di una mutazione a partire dal caso del movimento fondato da Jean-Luc Mélenchon
In La ragione populista (2005), Ernesto Laclau già spiegava come gli effetti del capitalismo globalizzato abbiano prodotto forme di dislocazione interna ai campi politici e pure ciò che si può chiamare liquefazione dei rapporti sociali; è il carattere sempre più fragile delle norme e dei parametri di riferimento. Predisse, a tal riguardo, l’emergere accelerato delle forme movimentiste a spese delle forme-partito tradizionali. I movimenti restano, in senso generico, dei partiti, ma rompono con le forme istituzionalizzate ereditarie della generalizzazione del suffragio universale avvenuto nel XIX e XX secolo. Inoltre, quando essi emergono nella sinistra tradizionale, operano una frattura rispetto alla forma del partito di massa [1], modello dei movimenti operai. In Francia, il PCF è stato a lungo ideal-tipo [2] del partito di massa, organizzato in maniera piramidale e con più livelli in teoria ubbidienti al principio del centralismo democratico: la sezione, la federazione, il consiglio nazionale e la direzione nazionale. Per certi aspetti il PS, in continuità con la SFIO [la socialdemocrazia francese prima della sua rifondazione da parte di Mitterand, n.d.r] , ha mantenuto queste forme, mentre si organizzava attraverso correnti. Oltre a questo modello c’erano piccoli partiti trotzkisti fondati sul principio dell’avanguardia illuminata. Questi partiti erano elitari, selettivi e facevano affidamento sul ruolo guida di una piccola minoranza nei processi rivoluzionari. Il Parti de gauche, fondato nel 2009 da Jean-Luc Mélenchon da una scissione del PS, è da questo punto di vista più vicino alla tradizione trotzkista e al modello del partito di quadri [3]. Ci sono diverse cause nell’emergere di movimenti e nel crollo delle strutture tradizionali. Tutto ciò ha inizio con l’avvento dei movimenti anti-globalizzazione degli anni ’90, come ATTAC che ha portato ai comitati del No al referendum del 2005 sul Trattato costituzionale europeo. Poi, dagli anni 2000, abbiamo assistito al rapidissimo sviluppo dell’uso politico di internet e dei social network.
L’assemblea che il 9 marzo, a Roma, ha lanciato il Manifesto per la sovranità costituzionale, ha avviato un processo che può portare, in tempi non remoti, alla costituzione di un soggetto politico capace di fare uscire dal minoritarismo, e dal ghetto informativo in cui è stato rinchiuso dal mainstream, il discorso che da tempo lega la questione sociale e la questione nazionale, la lotta al liberismo e la lotta all’Unione europea.
Proprio per facilitare questo processo è opportuno iniziare a puntualizzare ed approfondire alcune questioni nodali, sia perché ogni salto politico-organizzativo richiede un avanzamento nell’analisi e nell’articolazione della proposta, sia perché quando si inizia ad uscire da spazi ristretti è necessario tradurre i concetti in un linguaggio comprensibile ed efficace. Se cominciamo a fare sul serio abbiamo bisogno di un ragionamento più complesso e di un discorso più semplice.
1
Nello spirito del Manifesto non inizio dalla questione, pur dirimente, dell’Ue e dell’euro, perché dobbiamo abituarci a concentrare il nostro discorso sugli elementi propositivi e positivi, e non su quelli negativi e distruttivi. Ho già detto, e ripeto, che il limite maggiore del sovranismo storico (un termine con cui non indico questa o quella organizzazione, ma una cultura, uno stile di pensiero ed un insieme di riflessi mentali che sono anche in me) sta nel presentarsi di fatto come il partito del “No Ue – No euro”, esaltando più il mezzo che il fine e presentando all’esterno il lato più complicato e problematico della propria proposta: cosa che può concorrere a spiegare il minoritarismo di quest’area, nonostante la ricchezza delle intuizioni e delle analisi.
E’ per questo che il Manifesto (che pure sull’Ue dice cose non equivocabili) non parte dalla questione europea ma dalla questione italiana. Una questione che a mio avviso deve essere riassunta nella necessità di ricostruzione di uno stato degno di questo nome, come risposta alle esigenze essenziali degli italiani e di tutti coloro che in Italia vivono e lavorano.
“E’ maschio o femmina? lo deciderà lo Stato!” (dal film Louise Michel- Francia 2009)
Che la lettura di classe, da sola, non sia sufficiente a leggere la società e, in particolare, la specificità delle questioni di genere, la cui caratteristica precipua è la trasversalità, non solo è condivisibile, ma è patrimonio del movimento femminista.
Ma è importante partire da questo dato perché, intorno al tema, c’è molta confusione e sottovalutandolo, non solo ci neghiamo una chiave di lettura, ma, anche e soprattutto è imprescindibile nell’odierna agenda politica delle nostre lotte.
L’uso dell’emancipazione come fine e non come mezzo, nella visione femminista socialdemocratica, ha annullato l’orizzonte della libertà, la strumentalizzazione delle diversità è stata uno dei veicoli attraverso i quali sono state promosse le guerre umanitarie, la tutela delle differenze sessuali, con una lettura asimmetrica, viene “scoperta” solo in paesi non allineati all’occidente, per cui si è arrivati al paradosso tragico, che se circola in rete il blog di una lesbica di un certo paese che denuncia persecuzione, siamo sicure che quel paese è nell’elenco dei paesi da invadere.
La generalizzazione del principio della cooptazione di persone provenienti da ceti, etnie, ambienti oppressi che, in cambio della loro personale promozione sociale, contribuiscono all’oppressione dei gruppi di provenienza e degli oppressi/e tutti/e, ha avuto la sua manifestazione più eclatante nella nomina di un presidente nero negli Stati Uniti, tra l’altro già decisa a tavolino nel 2002, mentre i neri/e d’America che sono il 12% degli americani tutti, in carcere rappresentano il 50% dei detenuti/e.
In questo quadro il pinkwashing è l’emblema delle democrazie sessuali occidentali.
A margine di “Proletkult” dei Wu Ming: quando Bogdanov insegnava a Bologna (1910-1911)
di Giorgio Gattei
Con una postilla di Roberto Sassi
1. Aleksandr Aleksandrovič Malinovskij detto Bogdanov (1873-1928) è stato il maggiore antagonista politico di Lenin negli anni precedenti la Grande Guerra e appena dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Biologo di professione e filosofo per vocazione, teorizzò l’empiriomonismo (stroncato da Lenin in Materialismo ed empiriocriticismo nel 1908) e la “tectologia”, ovvero «la scienza generale dell’organizzazione» giusto il convincimento che «ogni attività umana nel campo della tecnica, della prassi sociale, della ricerca scientifica e dell’arte» poteva esserestudiata «dal punto di vista organizzativo». Al tempo della rivoluzione d’Ottobre fu l’artefice del movimento di massa del Proletkult (contrazione di Proletarskaja Kultura) che sosteneva l’autonomia delle iniziative culturali operaie a prescindere dalle indicazioni di partito che alla fine del 1920 raccoglieva quasi mezzo milione di attivisti (ma il movimento venne ricondotto da Lenin nel 1923 nell’alveo delle organizzazioni partitiche).
Ma Bogdanov è stato anche l’autore di un romanzo utopico La stella rossa in cui si racconta come un tal compagno Leonid fosse volato su Marte, “pianeta rosso” per definizione, a scoprirvi che lassù vi avevano già realizzato il socialismo (il lavoro era solo “volontario” ed il consumo dei prodotti non era limitato “in nessun modo: ognuno prende ciò che gli serve e nella quantità che vuole”). Ritornato sulla terra, l’astronauta descriverà per iscritto la sua esperienza straordinaria che Bogdanov pubblicherà nel 1908 (con continuazione nel 1913 con L’ingegnere Menni).
Nel libro dei Wu Ming la storia di Leonid ha un seguito inaspettato perchè su Marte (in verità il pianeta non era Marte, bensì Nacun) il terrestre aveva lasciato incinta la “marziana” Netti, la cui figlia Denni sarà inviata nel 1927 sul nostro pianeta in una difficile missione di sopravvivenza per Nacun minacciato di estinzione.
Proprietà pubblica e privata tra Costituzione e trattati europei
di Vladimiro Giacchè
Pubblichiamo l’intervento di Vladimiro Giacchè all’incontro “Unione Europea, Costituzione e diritti di proprietà” tenutosi a Roma il 23 febbraio 2019, promosso dalle associazioni Patria e Costituzione e Attuare la Costituzione
1. Proprietà pubblica e privata: l’economia mista prevista dalla nostra Costituzione
La nostra Costituzione dedica alcuni dei suoi articoli più importanti alle diverse forme di proprietà: si tratta degli articoli 41-43, 45-47, centrali tra gli articoli dedicati ai “Rapporti economici” (artt. 35-47). Rileggiamoli:
Art. 41.
L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Art. 42.
La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.
La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.
Art. 43.
A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
Greta Thunberg: la posta egemonica e lo scontro per il mondo
di Alessandro Visalli
In fondo è una storia come tante altre, banale. Una ragazzina di quindici anni che prende una idea semplice, in bianco e nero, e la sposa con l’entusiasmo dei suoi anni. Nasce in una famiglia di professionisti dello spettacolo (una cantante ed un attore) e traduce questa idea in performance. Queste performance, nativamente preordinate nel codice della società dello spettacolo, sono utilizzate da un sistema dei media sempre alla ricerca di eventi-mondo per costruire un prodotto efficace. Questo efficace prodotto viene ripreso e rilanciato, per i più diversi scopi, dalle più diverse forze ed organizzazioni.
Stiamo facendo un esercizio di complottismo? Un’aggressione alla simpatica ragazzina?
No. Tutt’altro, Greta Thunberg ha tutta la mia simpatia, è una ragazzina sveglia ed intelligente, piena di ottimi sentimenti e impegnata per una battaglia degna.
Semplicemente il mondo ha il suo modo di funzionare, ed usa tutto.
Ma il fatto che qualcosa sia usato significa che non sia fondato? No. Io credo fermamente che il sistema ambientale sia alterato dall’uomo, ad una profondità che è difficile da definire con precisione, e che il clima venga modificato anche da questi fattori di pressione antropogenetici.
Il fatto che qualcosa sia fondato significa che altro non lo sia? No. Io credo fermamente che la questione in campo sia il potere.
Il fatto che una cosa sia usata e fondata significa che non ci sia altro da dire? No. Io credo fermamente che buona parte del degrado dell’ambiente sia determinato dalla logica dello sfruttamento della natura per il profitto e dalla sua appropriazione da parte di pochi.
Il fatto è che, anche se Greta Thunberg può pensarlo[1], il mondo non è affatto “bianco o nero”.
Quando ad agosto 2018 il curioso “sciopero”[2] (dalla scuola) della ragazzina di Stoccolma, opportunamente spettacolarizzato, in vista delle elezioni generali di settembre, e subito rilanciato da qualche interessato sito come parte di una strategia di autopromozione commerciale/ambientale[3], sfonda il muro della irrilevanza prende avvio un processo autorafforzante imponente.
Il comunismo è la sola possibilità di salvare il pianeta Terra
di Istituto Onorato Damen
Le vaste e significative manifestazioni studentesche che si sono tenute in oltre 120 Paesi contro i cambiamenti climatici spingono all’apertura di una riflessione e di un confronto che consentano di riannodare:
- l’approfondimento della critica alla distruzione ambientale connaturata al modo di produzione capitalistico;
- una critica delle ideologie ecologiste e ambientaliste, che non colgono il nesso di determinazione che vige tra capitalismo e devastazione del pianeta, e che sono inoltre agite come strumenti delle battaglie interimperialistiche e del Capitale contro il proletariato;
- la comprensione delle motivazioni che mettono in movimento migliaia di giovani, compositi dal punto di vista di classe, con grandi confusioni e con ideologie certo tutte borghesi; motivazioni che però in qualche misura rappresentano ed esprimono disagi profondi del giovane proletariato internazionale che bisogna saper collocare, con cui bisogna saper entrare in collegamento, rendendo possibile la produzione di una coscienza critica che sappia connettere, in minoranze più avanzate, la critica del capitalismo a quella dei suoi effetti disastrosi sull’ambiente;
- la lotta contro le micidiali illusioni nella democrazia borghese, nelle sue istituzioni di ogni livello, negli accordi tra briganti imperialisti su clima e ambiente;
- il rilancio della prospettiva del comunismo, una società finalmente umana che metta fine al dominio e allo sfruttamento, che riconcili umanità e natura, grazie a una prassi sociali trasparente, non mistificata, non finalizzata al profitto, ma che abbia come obiettivo e come caratteristica il muoversi in direzione degli interessi e del ben-essere degli uomini, in armonica relazione con il contesto ambientale.
Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch'esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia.
K. Marx - F. Engels, Manifesto del Partito Comunista.
In questo articolo mi propongo di esporre alcune considerazioni critiche concernenti le ventidue tesi formulate da Carlo Formenti sul “momento populista” qui . Ritengo infatti che il testo in parola esprima in un modo particolarmente pregnante ed incisivo il succo delle posizioni politiche, economiche e culturali che caratterizzano il movimento dei populisti di sinistra.
Che cos’è il populismo
Parto quindi dall’‘incipit’, dove, come risposta al quesito sulla natura del populismo, viene offerta una definizione che, essendo negativa, risulta quanto mai debole: “Il populismo non è un’ideologia”. La ragione di tale debolezza va ricercata, come ammette l’autore delle tesi, nella diversità e pluralità con cui, sia nel tempo sia nello spazio, si sono manifestati, assumendo connotazioni di destra o di sinistra, i movimenti populisti: da quelli ottocenteschi a quelli contemporanei. Né contribuiscono a chiarire la reale natura dei movimenti populisti i tratti indicati in questa prima tesi: lo stile comunicativo e l’autorappresentazione in chiave nuovista. Questa incertezza terminologica e semantica è uno dei limiti, peraltro non casuali (come si vedrà), del documento redatto da Formenti.
Che cos’è il popolo
Nella tesi due spicca la definizione del popolo e della sua genesi attuale: “Il popolo che i populisti aspirano a rappresentare non è un’entità ‘naturale’, preesistente all’insorgenza del loro discorso politico...Si tratta al contrario d’una costruzione politica resa possibile dalla crisi catastrofica di un sistema di potere consolidato.
Mistificazione, deresponzabilizzazione, distrazione: la manifestazione del 15 marzo
Greta: bimba di distrazione di massa
Ciò che gli editocrati di schermo ed edicola ci hanno propinato nelle 72 ore, impestate di retorica e ipocrisia climatiche, tra il 14 e il 16 marzo, su ordine di servizio dei mandanti nella Cupola, non suscita solo il sospetto che merita ogni campagna politico-mediatica dell’establishment e dei media incorporati. Merita l’accusa di ipocrisia, mistificazione, occultamento della realtà. E’ uno dei più cinici assalti alla nostra integrità intellettuale e morale da almeno l’11 settembre e dalle armi di distruzione di massa di Saddam. Supera e riunisce tutte le campagne ordite e lanciate nel corso delle ultime sei presidenze Usa, dei contemporanei papati e proconsolati UE, da Delors e Prodi a Barroso e Juncker: terrorismo islamico, migrazioni, diritti umani, “dittatori” arabi e latinoamericani (limitatamente ai non-dittatori disobbedienti), #metoo, “non una di meno”, razzismo-fascismo (da che pulpito!!!), antisemitismo (sulla cui sciagurata identificazione con l’antisionismo imperversa con un inserto di ben quattro pagine il solito “manifesto”), sovranismo, populismo, medicalizzazione, bergoglismo, eccetera, eccetera.
Il suprematista bianco australiano che, uccidendo una cinquantina di musulmani in Nuova Zelanda, coglie tre piccioni con una serie di raffiche: rilancia lo scontro di (in)civiltà tra razze da colonizzare e razze colonizzanti; pompa a bue la rana esopica della minaccia razzista-fascista finalizzata a oscurare la corsa genocida alla dittatura dei pochi su chi sta fuori; collateralmente distoglie dalla catastrofe climatica che, a dispetto dei bravi ragazzi in piazza in cento paesi, torna a farsi prioritaria nella consapevolezza della gente, insieme, però, all’individuazione dei suoi responsabili. Quella che manca nelle piazze dei bravi ragazzi.
E che non ci sono neppure nei proclami della nuova Santa Giovanna d’Arco, Greta Thunberg, la ragazzetta svedese affetta dalla sindrome di Asperger (riconosciuta ufficialmente dall’Onu nel 1993, si tratta di una forma di autismo che comprende una serie di difficoltà legate soprattutto all’interazione sociale, alla sfera affettiva e motivazionale), che la campagna ha messo a capo del primo movimento mondiale degli adolescenti.
Una lettera a Mario Tronti, a commento de Il popolo perduto
di Epimeteo
L'Europa si definisce dall'interno con le grandi correnti che non cessano di attraversarla e che la percorrono da lunghissimi tempi (Lucien Febvre)
Caro Mario,
perdonaci il tono confidenziale di questo incipit degli appunti di lettura che abbiamo steso dopo una approfondita discussione sul tuo ultimo libro di recente pubblicazione. D’altra parte questo testo per noi non è come altri che abbiamo recensito sul nostro sito negli ultimi mesi e men che meno il suo autore è uno fra tanti. Tu sei stato per noi “il maestro” che ci ha insegnato a leggere la società e la politica con occhi nuovi, da quel famoso “punto di vista” che solo può consentire di comprendere la totalità proprio perché è il punto di vista di una parte. E poi c’è un altro motivo che giustifica questa introduzione empatica e sta nella particolare intonazione emotiva che traspare da ogni pagina de Il popolo perduto, quel pathos e quella partecipazione con cui hai esposto la tua posizione e le tue amare considerazioni sulla situazione attuale.
Il titolo stesso del libro, d’altra parte, allude a una frattura, allo spezzarsi di un legame con qualcuno con cui si è vissuto una lunga, intensissima storia, un “qualcuno” collettivo che infine si è perso di vista, per ragioni oggettive ma anche soggettive. E proprio perché siamo in presenza di responsabilità soggettive, non possiamo che sentirci compartecipi di quella sorta di “autodafé” che hai voluto mettere per iscritto alle pagine 83 e 84 del tuo testo:
“Dove ho sbagliato io insieme agli altri e a differenza di altri? Quella ricerca era tutta a livello di pensiero. Mi sono dedicato a un ‘che pensare?’ invece che applicarmi a un ‘che fare?’. Un errore intellettualistico. Per un intellettuale totus politicus, quale io credo di essere, un errore imperdonabile. Dovevo fare più politica e meno cultura malgrado la enorme importanza che do, e ho sempre dato, a quest’ultima. (…) Il primato della politica non si può teorizzare senza praticare. Chi pensa la politica deve anche farla. E, viceversa, chi fa politica deve anche pensarla.”
Negli ultimi anni, abbiamo assistito all'emergere di un centro geo economico in Eurasia, che si sta strutturando attorno alla Russia e alla Cina. Un nuovo polo di sviluppo che vuole e può diventare un'alternativa al centro euro-atlantico. E c'entra soprattutto il gas
Nel 2018, la percentuale di gas fornita ai paesi dell’Ue e la Turchia ha raggiunto il 36,7%, il massimo da sempre” (34,2% nel 2017). Lo ha affermato il Direttore Generale di Gazprom Export, Elena Burmistrova, nel corso del Gazprom’s Investory Day che ha avuto luogo in Singapore il 28 febbraio. Burmistrova ha specificato che il prezzo medio nel 2018 è stato di 245,5 dollari per 1.000 m3 rispetto ai 167 dollari per 1.000 m3 nel 2017 (+ 24,6% anno su anno). Conformemente alle stime preliminari rese pubbliche dalla Gazprom, nel 2018, la compagnia controllata a maggioranza dallo Stato russo ha esportato nell’Unione europea più la Turchia 201,8 Gm3 di gas naturale (potere calorifico: 37,053 MJ/m3), un ammontare pari a più di tre volte la somma degli approvvigionamenti di LNG all’Europa.
Come messo in luce da Bloomberg il 15 febbraio, la costante riduzione della produzione di gas da parte del Vecchio Continente è la principale ragione del rafforzamento della Federazione Russa come primo fornitore di gas naturale dell’Europa, soprattutto dopo che l’Olanda – il secondo estrattore europeo dopo la Norvegia – è diventata un importatore netto di gas per la prima volta da quando iniziarono le estrazioni dal giacimento di Groningen nel 1963.
Sempre a Singapore, Gazprom ha inoltre annunciato che il gasdotto Power of Siberia è prossimo al completamento. Grazie a questa nuova infrastruttura, a partire dal 1 dicembre 2019, la Federazione Russa rifornirà la Cina con 38 Gm3 di gas naturale all’anno per un arco di tempo di trent’anni e un ammontare totale stimato in circa 1 trilioni di m3 di gas. Il contratto stipulato dai due paesi nel maggio 2014 è un take or pay oil-link (collegato al prezzo del petrolio) per un valore complessivo valutato attorno ai 400 miliardi di dollari.
Tuttavia, il 28 febbraio trascorso, Bloomberg rilevava che il colosso energetico aveva perso financial appeal (interesse finanziario) nel corso degli ultimi anni a causa dei significativi costi di investimento sostenuti, i quali avevano ridotto la possibilità di remunerare gli investitori con dividendi più alti.
Carlo Formenti è una delle menti più lucide e preparate che quella sinistra che non ha voluto piegarsi ai diktat del liberismo, ha al suo interno. La sua preparazione è sotto agli occhi di tutti: nel suo impegno politico ma soprattutto nel suo lavoro.
Infatti, tante sono le sue pubblicazioni e tutte hanno precorso i tempi, dando modo di aprire una profonda riflessione che ha provocato la necessaria reazione al dominio neoliberista anche nel nostro paese, la stessa reazione che oggi vede diversi soggetti iniziare ad aggregarsi per costruire un campo e una prospettiva marcatamente socialista e sovranista, antimperialista, antiliberista e anticapitalista.
In occasione dell’uscita del suo ultimo libro “Il socialismo è morto, viva il socialismo“, edito da Meltemi, abbiamo chiesto ad Enea Boria di Rinascita!, di intervistare per noi Carlo Formenti sul suo libro.
Ne è scaturita una conversazione interessantissima, assolutamente da non perdere. Eccola qui di seguito.
* * * *
Enea Boria: Leggendo il tuo ultimo libro la prima sensazione che si prova è uno strappo doloroso. Non tanto per quello che riguarda un divorzio dalla sinistra ampiamente consumato, quanto per il lapidario giudizio sul ‘900 e quindi sull’esperienza storica e culturale dalla quale proveniamo, che per te sono da considerare definitivamente finiti. Questo però non lascia spazio al pessimismo. Abbiamo perso la guerra più che una battaglia, scrivi, ma poi aggiungi che la storia non è finita e che occorre ricostruire identità e capacità di mobilitazione intorno a un progetto che sia altro dal capitalismo. Per questo sostieni che bisogna cambiare prospettiva: non basta più limitarsi a ripetere, con Gramsci, che “il vecchio muore ma il nuovo non può nascere”, bisogna iniziare ad agire nel segno di un nuovo che “deve nascere”.
Mi sembra che nella prima parte del libro, sintetizzata nelle dodici tesi del primo capitolo, si evidenzi una continuità con due opere precedenti, “Utopie letali” e “La variante populista”, i cui contenuti vengono qui riproposti e sintetizzati in una necessaria pars destruens. Sgombrato il tavolo degli attrezzi consunti e ormai inservibili, nella seconda parte del libro, inaugurata da altre ventidue tesi, attrezzi il banco di lavoro con nuovi strumenti e abbozzi alcune istruzioni su come utilizzarli.
La secolarizzazione del capitale non ha fondato la laicità, ma una nuova forma invasiva e infiltrante di clericalismo: i nuovi chierici non sono identificabili in una casta, in una lobby, sono trasversali, sono l’asse diffuso del nuovo “potere capitale” disciplinare e penetrante. Il circo mediatico laicista si struttura in modo sempre pervasivo: accademici, economisti, burocrati dell’economia, politici dal credo-pensiero unico, tutti nichilisti sempre pronti al trasformismo, sono la struttura ed il veicolo che inibisce ogni spazio plurale, lo riduce ad un’operazione di marketing, a plusvalore, ad un’operazione di perenne sussunzione. Il linguaggio dell’aziendalizzazione, della compravendita, l’inglese organico alla globalizzazione estendono le loro maglie d’acciaio: la rete informativa in nome del capitale trova nelle istituzioni pubbliche fiancheggiatori che diffondono il linguaggio e la lingua del mercato. Si osanna l’inclusione mediante la normalizzazione delle prestazioni: per essere normali ed inclusivi si fa appello sempre ai diritti individuali. Si forma all’orientamento accondiscendente, ovvero ad adattarsi alle esigenze del mercato, mentre i servizi pubblici, i servizi alla persona – vera precondizione di ogni democrazia – sono curvati sulla privatizzazione, sui bilanci. Il pubblico con i suoi servizi non rappresenta l’alterità rispetto al privato, ma nel pubblico l’organizzazione lavorativa ed i fini sono i medesimi del privato: pertanto la laicità scompare, si eclissa nel gioco ideologico della propaganda.
Gli oratores del circo mediatico laicista
La laicità non è semplice laicismo anticlericale. L’integralismo attuale trova nella religione una contraddizione, per cui i clerici mediatici e disinibiti abbondano in notizie sui crimini della chiesa, mentre tacciono dei crimini che quotidianamente avvengono in nome del capitalismo assoluto, in primis i crimini ambientali, i migranti ridotti in stato di schiavitù effettiva, i popoli declassati a plebe in competizione.
Recentemente, in coda alle presentazioni del Manifesto per la Sovranità Costituzionale a Milano e Roma, mi ha sorpreso notare come le note più critiche a quel documento si siano appuntate su qualcosa che non credevo controverso, ovvero il rilievo dato alla questione ecologica.
Alcuni hanno obiettato che parlare di riscaldamento globale e di come sarà il mondo tra cent’anni è qualcosa di astratto e lontano, che non tocca le tasche di nessuno; altri che attorno a tale tema interclassista non si può mobilitare alcun ceto preferenziale, alcuna ‘identità di classe’; altri ancora, che si tratterebbe di un modo con cui le élite distraggono l’opinione pubblica da temi di maggiore urgenza.
Questa reazione di diffidenza, di sospetto, a prescindere dalla sostenibilità delle specifiche obiezioni, mi pare degna di approfondimento.
II) Il dilemma ecobuonista
Negli ultimi anni, la tematica ecologista è stata integrata con successo all’interno di una visione liberale, che l’ha resa un tema di conversazione alto borghese, garbato quanto innocuo. Il tema infatti si presta a grandi campagne sentimentali, capaci di estrudere occasionali lacrime per le sorti di un orso polare o un panda gigante, salvo poi rientrare prontamente nella sezione ‘tonici e digestivi’: dove, insieme a qualche episodio di cronaca, conferisce quel pizzico di preoccupazione postprandiale che aiuta la digestione.
I temi ecologici, addomesticati dalla ragione liberale, sfociano così in due prospettive generali.
La prima consta di appelli all’iniziativa personale e al senso di responsabilità delle ‘persone di buona volontà’: ciascuno è chiamato a ‘fare la sua parte’, a ‘contribuire col suo granello di sabbia’. Si creano così gli spazi per ‘diete ambientalmente consapevoli’, ‘acquisti etici’, ‘consumi responsabili’, ‘prodotti biologici’, ‘raccolta differenziata’, ‘beni equi e solidali’, e una miriade di altre lodevoli iniziative in cui ci si sente cavalieri dell’ideale a colpi di tofu.
Una recensione-conversazione a cura di Géraldine Delacroix con l’economista Shoshana Zuboff sul suo nuovo libro The age of surveillance capitalisme. The Fight For a Human Future at the New Frontier of Power (Profile Books Ltd, 2019). È stata pubblicata il 2 marzo 2019 su Médiapart. La traduzione in italiano è di Salvatore Palidda.
Il capitalismo di sorveglianza è il fondamento di un nuovo ordine economico. Le imprese del capitalismo di sorveglianza competono nella produzione di “prodotti di predizione”, scambiati in lucrosi nuovi mercati di “comportamenti futuri”. Le architetture digitali del capitalismo di sorveglianza – quelle che Shoshana Zuboff chiama “Big Other” – sono progettate per catturare e controllare il comportamento umano per un vantaggio competitivo in questi nuovi mercati, poiché la produzione di beni e servizi è subordinata a un nuovo “mezzo di modifica dei comportamenti” che favorisce i risultati del mercato privato, svincolato da ogni supervisione o controllo democratico. Per chi fosse interessato ad approfondire, Shoshana Zuboff, professoressa di Harvard Business School, parla qui, in una recente conferenza, del suo nuovo libro.
* * * *
Per l’economista Shoshana Zuboff, il cui libro The Age of Capitalism of Surveillance è appena apparso negli Stati Uniti, il pericolo rappresentato dai giganti del web è molto maggiore di quanto generalmente si pensi. Intercettando i dati personali per modificare a loro insaputa il comportamento dei loro utenti, minacciano la democrazia stessa. Appropriatisi dei nostri dati personali, gli imprenditori del “capitalismo di sorveglianza” mettono in pericolo niente meno che la democrazia manipolando il nostro libero arbitrio. Tale è la tesi difesa da Shoshana Zuboff in questo ampio volume appena pubblicato.
Il capitalismo è entrato in una nuova era, spiega l’autrice e, per capirlo e combatterlo, dovremo indossare nuovi occhiali, perché i vecchi non operano più di fronte a un cambiamento così radicale e così veloce – una rivoluzione avvenuta in meno di venti anni. Un “nuovo pianeta”, una situazione “senza precedenti” che si sarebbe sbagliato pensare sia una semplice continuazione del passato.
La sfida eurasiatica all’egemonia degli Stati Uniti
di Alberto Prina Cerai
Questo articolo è il primo di una serie di contributi per approfondire il tema della sfida tra Stati Uniti e Cina per l’ordine mondiale. In seguito alle recenti dichiarazioni riguardo ad una possibile adesione dell’Italia alla Belt and Road Initiative – la cosiddetta nuova Via della Seta –, abbiamo deciso di dedicare una serie di articoli alle prospettive strategiche relative alla fase che stiamo vivendo e al possibile ruolo del nostro Paese, che merita un approfondimento di più ampio respiro. Questo primo articolo si propone di fare luce di come e perché la BRI rappresenti una sfida all’egemonia americana. Nei successivi si tenterà di capire come l’Italia possa essere un benchmark per gli equilibri geopolitici tra Washington e Pechino
Sin dal 1945 il cuore pulsante della politica estera statunitense è stato preservare «un ordine internazionale aperto e stabile, basato sul libero movimento di beni, capitali e persone» basato su un «balance of power in favore della libertà». Queste iniziative, secondo lo storico Hal Brands, hanno costituito un «impegno bipartisan di lunga data» volto a sostenere «la leadership americana e preservare l’ordine internazionale liberale che il potere americano ha tradizionalmente promosso»[1]. Per chi vede queste continuità, al netto dei grandi cambiamenti che hanno fortemente messo alla prova la tenuta della Pax Americana, la natura e le radici dell’egemonia globale degli Stati Uniti si possono identificare nella lettura esplicita di Henry Kissinger:
«Geopoliticamente l’America è un’isola al largo del grande continente eurasiatico. Il predominio da parte di una sola potenza di una delle due sfere principali dell’Eurasia […] costituisce una buona definizione di pericolo strategico per gli Stati Uniti, guerra fredda o meno. Quel pericolo dovrebbe essere sventato anche se quella potenza non mostrasse intenzioni aggressive, poiché, se queste dovessero diventare tali in seguito, l’America si troverebbe con una capacità di resistenza efficace molto diminuita e un’incapacità crescente di condizionare gli avvenimenti»[2]
La geopolitica del secondo dopoguerra è rimasta fortemente ancorata a questa visione e più in generale all’eredità imperiale degli impegni globali degli Stati Uniti. Harry Truman agli esordi della guerra fredda aveva recuperato l’immagine del paese come grande erede «della Persia di Dario I, la Grecia di Alessandro, la Roma di Adriano, la Gran Bretagna vittoriana […] Nessuna nazione ha avuto le nostre responsabilità»[3].
Carlo Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo!, Meltemi, Milano, 2018, pp. 276, € 18,00
Almeno da Utopie letali (2013), Formenti porta avanti la sua personale battaglia per l’affermazione di un populismo “di sinistra”. Se però il saggio del 2013, nonché La variante populista (2016) – malgrado il tono lapidario – lasciavano i ragionamenti in sospeso, alimentando un fecondo margine d’apertura verso chi, a sinistra, insisteva nell’ideologia post-operaista variamente (e inconsapevolmente) declinata, da un po’ di tempo questa propensione alla convergenza sembra essere venuta meno. Spostandosi di propensione e di prospettiva, anche le possibilità di dialogo si disperdono. Non rimane che accettare o rifiutare un discorso che si stringe sempre più in proposta politica, che però continua a mancare (nei fatti più che nelle aspirazioni). È un peccato, perché mai come oggi continua ad essere necessario l’incontro di ragioni più che la sua vicendevole eliminazione. Partiamo dalle cose che funzionano.
Quel che la “tradizione comunista” insiste a non cogliere, è che il futuro sembra scivolare verso una riproposizione sbilenca e sgangherata (e forse anche impotente) del 1789 e non del 1917. Prima di tornare alla «autonomia politica del proletariato», per dirla in termini solenni, sembra sempre più evidente che dovremmo reintrodurre margini minimi di democrazia tanto sostanziale quanto formale. Lo sviluppo contraddittorio ma travolgente del liberismo a livello planetario sta sempre più modellando società polarizzate oltre ogni limite di sopportazione. Vista dal basso, questa polarizzazione non si presenta come mero fatto di classe. Ne abbiamo costanti prove nelle vicende della politica di questo decennio. Da Trump alla Brexit, dai gilets jaunes al governo “gialloverde”, le sfide al potere liberale-liberista non provengono da uno specifico settore di classe, ma da una multiforme e frastagliata sommatoria sociale di sconfitti. Questi hanno poco in comune tra di loro, ma quel che li tiene insieme, almeno sul piano della protesta elettorale, è la critica al capitalismo globalizzato e ai suoi referenti politico-culturali.
“L’età della disgregazione. Storia del pensiero economico contemporaneo”
di Alessandro Roncaglia
Pubblichiamo la presentazione dell’autore tenuta presso l’Accademia Nazionale dei Lincei, marzo 2019
Il libro che vi presento arriva in libreria in questi giorni, dopo una lunga (e faticosa) fase di gestazione. Si intitola L’età della disgregazione ed è, come dice il sottotitolo, una Storia del pensiero economico contemporaneo. Ho già consegnato la versione inglese alla Cambridge University Press, ed è in corso la traduzione spagnola.
Il titolo allude al fatto che la ricerca in economia è sempre più frammentata, sia per campi sia per orientamenti di ricerca. Chi si occupa di finanza o di econometria raramente conosce i dibattiti di teoria del valore o dell’impresa; inoltre, in ciascun campo coesistono impostazioni radicalmente diverse: keynesiani, neoclassici, istituzionalisti, e così via, fino agli induttivisti sostenitori di una econometria ateoretica.
Questa duplice frammentazione impedisce una esposizione lineare e complica ulteriormente un compito già reso difficile dalla vastità del terreno da coprire: ogni anno escono migliaia di riviste e migliaia di volumi sui diversi temi dell’economia. Accade così che tanti ricercatori, per affrontare in modo davvero approfondito il tema prescelto, passino la vita a studiare l’ultima falange del dito mignolo, come diceva Becattini. Il problema in realtà non è concentrarsi sul dito mignolo, come in qualche momento della nostra attività tutti noi facciamo, ma farlo in totale assenza di consapevolezza del corpo umano al quale è collegato. Quindi, proprio la frammentazione rende indispensabile un tentativo di raccordo. Anche perché in moltissimi casi la disgregazione permette agli economisti attivi nei vari campi specialistici di sorvolare sulle debolezze spesso tragiche delle fondamenta della loro ricerca.
Schumpeter distingueva tre fasi nella ricerca, che spesso si intersecano in un processo non lineare. La prima fase è la concettualizzazione: la costruzione di una rete di concetti che specificano la visione del mondo; ad esempio il mercato inteso come punto nel tempo e nello spazio d’incontro tra domanda e offerta, come nelle fiere medievali o nella borsa valori moderna: questo è in sostanza il concetto utilizzato sia nel Medioevo sia dalla teoria marginalista; oppure il mercato inteso come rete di relazioni tra le diverse attività produttive in un’economia basata sulla divisione del lavoro, che è il concetto utilizzato dalla teoria classica e keynesiana.
Articolo pubblicato sul sito del Festival della Complessità (qui) che quest’anno giungerà alla sua Xa edizione. Alla versione on line sul sito del festival, qui si aggiungono alcune considerazioni più specifiche (in corsivo)
Nei due articoli precedenti sul –– ed il successivo che tornava sulla annosa , abbiamo indagato l’impostazione del nostro sistema delle conoscenze. Già avevamo introdotto a premessa l’intero argomento. Pare a noi evidente che un mondo sempre più complesso quindi “intrecciato assieme”, chiami una profonda revisione del nostro sistema delle conoscenze, sistema che ereditiamo dal moderno, un periodo alla fine del suo ciclo storico e culturale. A sua volta, il sistema moderno andava a rimpiazzare il sistema delle conoscenze medioevali, il (latino, retorica e filosofia) e (aritmetica, geometria, astronomia e musica) impostati da Marziano Capella già nel V secolo. Se ogni epoca si rispecchia in un sistema di conoscenze, potremmo interrogarci su quali potrebbero esser le condizioni necessarie per riformare l’attuale sistema in tempi di nuova complessità.
La riflessione anglosassone su i sistemi di educazione e formazione va avanti già da tempo. Si sta verificando che il sistema delle iper-specializzazioni votate alla formazione -tra l’altro non di futuri cittadini, ma di futuri professionisti-, ha tre problemi. Il primo è che il mondo del lavoro richiederebbe in realtà un misto di saperi pratico-teorici, quando le scuole sono semmai prodighe dei soli saperi teorici. Il concetto stesso di specializzazione è ambiguo dato l’alto tasso di odierna evoluzione delle forme economiche che sembrano chiamare certe conoscenze per un qualche periodo di tempo, poi altre per il periodo successivo. Il secondo è che, più in generale, la formazione teorico-specialistica sembra produrre tecnici che si trovano a loro agio solo nell’applicazione di procedure e modelli, totalmente smarriti quando si tratta di improvvisare, innovare, inventare. Data la richiesta di un alto tasso di novità crescenti e data l’alta interconnessione che c’è nei sistemi complessi e dato che tutti i principali sistemi della nostra vita associata stanno diventando sistemi molto complessi, si sta venendo a creare una sorta di disadattamento cognitivo per il quale si formano esperti di procedure laddove si incontrano ogni giorno di più terre incognite che di loro natura non sono ancora mappate, né tantomeno hanno procedure indicative sul come affrontarle.
Il documento dei compagni della Rete dei Comunisti dall’emblematico titolo “Unità della sinistra? Un falso problema” ha l’indubbio merito di voler affrontare a viso aperto quel vero e proprio tormentone (appunto l’unità della sinistra) che, soprattutto a ridosso di scadenze elettorali, si ripropone con sistematica e stucchevole puntualità.
Liberarsi da questa ossessione, appunto da questo falso problema, è la precondizione per non procrastinare oltre un dibattito, questo si urgente e non più rinviabile, sulla prospettiva e sulla costruzione di una visione organica e generale che superi quel “pensiero della vita quotidiana” basato, invece, su una visione frammentata e distorta che porta ad affidarsi all’ideologia immediatamente disponibile in un dato momento (la rapida ascesa del Movimento 5 stelle e la sua più che probabile repentina caduta costituisce da questo punto di vista un caso di scuola).
Premesso che l’unità è un valore solo se si fonda, appunto, su una visione ed un orizzonte strategico comune e non sulla sommatoria algebrica di forze politiche in vista del raggiungimento (generalmente fallimentare) della soglia di ingresso nelle istituzioni, il vero paradosso della tanto invocata unità a sinistra è in realtà proprio la sua divisività: non mi riferisco tanto alla composizione, scomposizione e poi ricomposizione delle forze politiche che se ne fanno promotrici, ma nella distanza e separatezza che tale formula ha determinato rispetto a quegli interessi sociali e popolari che almeno teoricamente si candiderebbe a rappresentare.
Insomma, mentre si invoca unità tra le varie forze della sinistra si scava il solco con i ceti popolari e le classi subalterne le quali irrimediabilmente si rivolgono e indirizzano altrove.
Ma la formula dell’unità a sinistra produce anche e soprattutto un altro effetto collaterale dirompente: i punti programmatici che dovrebbero essere costituenti e irrinunciabili per delineare una alternativa di sistema vengono progressivamente elusi o, nella migliore delle ipotesi, così annacquati da risultare indefiniti, generici e impalpabili.
Enrico Grazzini è giornalista economico, autore di saggi di economia, già consulente strategico di impresa. Collabora e ha collaborato per molti anni a diverse testate, tra cui il Corriere della Sera, MicroMega, il Fatto Quotidiano, Social Europe, le newsletter del Financial Times sulle comunicazioni, il Mondo, Prima Comunicazione. Come consulente aziendale ha operato con primarie società internazionali e nazionali.
Ha pubblicato con Fazi Editore "Il fallimento della Moneta. Banche, Debito e Crisi. Perché bisogna emettere una Moneta Pubblica libera dal debito" (2023). Ha curato ed è co-autore dell'eBook edito da MicroMega: “Per una moneta fiscale gratuita. Come uscire dall'austerità senza spaccare l'euro" ” , 2015. Ha scritto "Manifesto per la Democrazia Economica", Castelvecchi Editore, 2014; “Il bene di tutti. L'economia della condivisione per uscire dalla crisi”, Editori Riuniti, 2011; e “L'economia della conoscenza oltre il capitalismo". Codice Edizione, 2008
Salvatore Minolfi: Le origini della guerra russo-ucraina