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machina

Operaismo e composizione di classe

di Sergio Bologna

0e99dc 076efc4942a94af687fe6edc5d2de251mv2Il concetto di composizione di classe è l’architrave della rivoluzione copernicana operaista, uno dei principali punti di rottura con la tradizione marxista e le sue ossificazioni. Attraverso questo concetto si infrange l’icona universale della classe operaia, mitologia disincarnata funzionale alle esigenze del socialismo reale, per comprendere materialmente il suo essere parziale, con le sue contraddizioni, differenze, gerarchie interne. Questo testo di Sergio Bologna, tra le figure principali nell’elaborazione di questo concetto e delle sue trasformazioni, è decisivo per comprendere origine, significato e attualità di tale categoria, del rapporto tra composizione tecnica e composizione politica. Frutto di una lezione tenuta nel 2012 all’interno di un ciclo seminariale a Bologna di Commonware-UniNomade, il testo è stato pubblicato l’anno successivo nel volume Genealogie del futuro. Sette lezioni per sovvertire il presente (a cura di G. Roggero e A. Zanini, ombre corte). L’input metodologico con cui Bologna conclude, «guardate che prima di parlare dovete veramente conoscere tante cose», è la bussola per la formazione politica e militante. 

Per ulteriori approfondimenti, consigliamo i volumi della Biblioteca dell’operaismo (https://www.deriveapprodi.com/edizioni/catalogo/collane/biblioteca-delloperaismo/) e L’operaismo politico italiano (collana Input di DeriveApprodi, 2019); inoltre, per analizzare gli sviluppi del concetto di composizione di classe nel percorso di Sergio Bologna, è utile la lettura di Ceti medi senza futuro? (DeriveApprodi, 2007). 

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Sulla centralità della riproduzione

di Anna Curcio

0e99dc 3bb54b893e2e4a2692f2ab00d2a18ca9mv2Una delle ipotesi di fondo dell’interpretazione della realtà capitalistica contemporanea di Romano Alquati è la centralità della riproduzione, intesa come «riproduzione della capacità-umana-vivente». A questa ipotesi Alquati ha dedicato il suo ultimo libro, finora rimasto inedito e adesso pubblicato da DeriveApprodi: Sulla riproduzione della capacità umana vivente. L’industrializzazione della soggettività. Il testo di Anna Curcio che qui proponiamo, pubblicato nel volume Un cane in chiesa. Militanza, categorie e conricerca di Romano Alquati (a cura di F. Bedani e F. Ioannilli, collana Input di DeriveApprodi), si offre come un’utile guida di lettura e interpretazione per orientarsi nella complessità del «modellone» alquatiano. In questo contesto, l’autrice si sofferma sulle differenze rispetto al dibattito femminista: se le femministe guardano alla riproduzione della forza lavoro compresa degli aspetti cognitivi e affettivi indispensabili per il lavoro, Alquati allarga lo sguardo sulla riproduzione di ciò che, semplificando, potremmo indicare come capacità-umana ad agire per incrementare capitale. 

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Una delle ipotesi di fondo dell’interpretazione della realtà capitalistica contemporanea di Romano Alquati è la centralità, nel senso più preciso di «baricentralità», della riproduzione. Attraverso la lettura dell’inedito Sulla riproduzione della capacità-umana-vivente oggi[1] (che contribuisce a definire l’analisi della società «iperindustriale») vorrei entrare nel merito delle categorie proposte, provando a districare un testo complesso che ha il grosso merito di anticipare molte delle trasformazioni produttive e riproduttive che stiamo vivendo[2]

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machina

La postura della classe professionale-manageriale

di Asad Haider

0e99dc 1357686dfc8646d6aa02a18efd4fe89cmv2Con la traduzione di questo contributo di Asad Haider, studioso marxista statunitense di origine pakistana, Transuenze esce in parte dai propri abituali temi incentrati su lavoro ed economia in senso stretto. La questione al centro di questo articolo riflette il problematico (da sempre) e oggi troppo spesso banalizzato rapporto tra «collocazione di classe», ideologia e politica. Il testo (scritto prima delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti del 3 novembre) muove dal confronto polemico, usiamo questi termini per velocità, tra «neopopulismo di sinistra» e «politiche dell’identità» intorno al ruolo della cosiddetta classe professionale-manageriale nei processi di costruzione di una politica anticapitalista. Il termine classe professionale-manageriale, coniato a suo tempo da Barbara e John Ehrenreich («The Professional-Managerial Class», 1977), in Italia è poco utilizzato, sul piano sociologico è prossimo a quello di «classe media salariata» o, se si preferisce, di «lavoratori della conoscenza», la cui funzione nella divisione sociale del lavoro si può – in modo generico e semplificato – individuare nella riproduzione della cultura e delle relazioni materiali capitaliste. In senso lato, tuttavia, possiamo dire che questo contributo chiama in causa il posizionamento ideologico e materiale delle figure del lavoro intellettuale in senso ampio. Haider, nell’individuare le sostanziali affinità epistemologiche tra il discorso «anti-PCM» e «pro-PCM», nella loro comune adesione ad un registro riduttivamente sociologico che elude i problemi dell’organizzazione e dell’ideologia nella formazione di una politica di classe, ci sembra fornire la base per impostare una riflessione che, ne siamo certi, ha risvolti importanti anche per la nostra specifica realtà. 

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operaviva

Panzieri e Krahl

di Andrea Cengia

Prospettive di lettura della produzione ad alta intensità tecnologica

krahl bm bayern fra 662288aL’ipotesi che guida questo testo è che si possano individuare alcune linee di continuità tra il pensiero di Raniero Panzieri e quello di Hans-Jürgen Krahl. La riflessione teorico-politica più significativa di entrambi gli autori ruota attorno alla problematicità del capitalismo a forte base tecnologica, nell’arco di tempo che attraversa gli anni Sessanta del Novecento. Nel caso di Panzieri, (e del primo operaismo italiano che ha nella rivista Quaderni rossi il suo punto di riferimento) la riflessione teorica parte dall’osservazione delle imponenti ristrutturazioni del capitalismo italiano dei primi anni Sessanta. Krahl invece constaterà, alla fine del medesimo decennio, la maturazione di questo processo di trasformazione tecnologica (sia dal lato del capitale che dal lato della soggettività antagonista) e potrà quindi mettere in luce gli effetti e le modificazioni subite dalla società nello stato della sua maturata trasformazione macchinica. Panzieri e Krahl, quindi, sono due interpreti del capitalismo e dei suoi esiti a noi più vicini, primo su tutti la trasformazione della composizione organica del capitale.

Da un punto di vista teorico, i punti comuni ai due autori vanno rintracciati nel costante riferimento, esplicito o implicito, all’eredità della scuola di Francoforte e del suo universo culturale di cui Panzieri infatti è stato considerato, uno degli “ambasciatori”1in Italia. Nel riferirsi a Pollock e alla scuola di Francoforte il fondatore dei Quaderni rossi ha saputo unire quella riflessione con le originali istanze dell’operaismo italiano.

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rizomatica

Aristocrazia e tecnocrazia diretta

di M. Minetti

MOSHED 2021 2 7 18 5 30In chi scrive di politica possiamo spesso riconoscere uno sbilanciamento tra la capacità di analizzare la realtà e quella di progettarne il cambiamento.

L’analisi viene condotta sulla base di concetti interpretativi comuni, appoggiando le nuove conoscenze ad una solida base di studi pregressi, ai dati, alla osservazione dei fenomeni coevi.

Il progetto di trasformazione sociale che i vari autori esprimono, invece, rappresenta molto di più l’insieme dei valori a cui fanno riferimento e l’immagine pubblica che vogliono dare di sé stessi al mondo.

La prima parte degli studi di tutti costoro è quindi utile alla conoscenza, la seconda spesso totalmente velleitaria. Per mia sfortuna, non posso a mia volta sfuggire a questa valutazione empirica. Il futuro semplicemente non è scritto e non si ispira alla teoria.

 

Il tramonto delle masse

Da più fronti convergono teorie che interpretano la realtà attuale come una evoluzione della egemonia unipolare degli USA, quello che Bush senior chiamò Nuovo Ordine Mondiale (NWO) in seguito alla caduta dell’URSS (1), in uno scontro multipolare in cui libero mercato e democrazia rappresentativa non sono più dei modelli indiscussi. Questo NWO è durato circa trenta anni e coincide con ciò che abbiamo chiamato globalizzazione o neoliberismo.

Nella crisi della democrazie parlamentari, dovuta alla più ampia crisi della rappresentanza politica, sono emersi molti studi che hanno definito le strutture sociali e politiche del presente o del prossimo futuro in modi diversi ma concordi, spesso con ossimori fantasiosi.

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officinaprimomaggio

Stati Uniti oggi: breve ragguaglio sulla conflittualità di classe

di Bruno Cartosio

lady liberty 3598126 1280La storia dell’ultimo mezzo secolo è «la storia della fuoruscita del capitale dalla regolamentazione sociale entro cui era stato costretto dopo il 1945». Prendo a prestito le parole di Wolfgang Streeck – e dietro le parole buona parte dell’analisi contenuta nel suo Tempo guadagnato – per racchiudere in una frase un ragionamento che ho sviluppato altrove (in Dollari e no) e che non è possibile riproporre qui se non nella forma sintetica del giudizio storico-politico. La rottura del «contratto sociale», o «patto newdealista», imperniato sul riconoscimento reciproco tra grande capitale e organizzazione operaia, tutelato dallo Stato, è stata la precondizione per la reazione neoliberista che negli Stati Uniti ha avuto in Ronald Reagan il suo eroe eponimo. Da allora l’arco temporale della Terza rivoluzione industriale ha largamente coinciso con quello del neoliberismo hayek-friedmaniano, che ha cambiato la fisionomia delle élite capitalistiche, alterato in profondità la composizione sociale del mondo del lavoro e riportato indietro l’orologio del comando padronale sui lavoratori. Poi, gli eventi che tra il 2008 e oggi hanno sollevato ogni velo residuo sulla crisi epocale in atto. Infine, Trump e ora il Covid-19, e nel dramma della pandemia la sollevazione innescata dalla risposta afroamericana al razzismo intrinseco agli omicidi polizieschi. La grande, socialmente composita sollevazione si è rarefatta – le rubano spazio le ansie preelettorali, cui si è aggiunto il contagio di Trump – ma non si è spenta. Né si sono interrotti gli scatti di conflittualità che la «nuova» classe operaia, anch’essa composita e spesso precaria, ha aperto in questi ultimi anni lontano dalle fabbriche. Sul mondo del lavoro e su questa conflittualità sarà focalizzata qui l’attenzione. (Alla politica del razzismo e alla sollevazione degli ultimi mesi Officina Primo Maggio ha dedicato nel giugno scorso l’opuscolo Uprising/Sollevazione. Voci dagli USA).

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cumpanis

Mutazione antropologica e paradigma produttivistico

Il caso-Taranto e l'analisi marxista

di Ferdinando Dubla

dubla fotoChi parlerà di voi uomini rossi
senza età senza bestemmie?
Chi parlerà dei vostri Natali
accanto alla ghisa lontano dai canneti
ove vivono gli ultimi gabbiani?
Pasquale Pinto è solo un uomo
costantemente denunciato
dai rivoli delle vostre fronti
Pasquale Pinto, Il capo sull’agave, Edizioni Centro sociale Magna Grecia Taranto, 1979
Pasquale Pinto, poeta-operaio, (1940/2004)

Il caso Taranto e la produzione di acciaio dell'industria “pesante” a ridosso del centro abitato di una città con tutt'altra vocazione produttiva, e che deve subire l'aggressione all'ambiente e alla salute di lavoratori e cittadini, chiama in causa diversi piani di analisi intrecciati tra di loro: il piano politico e sociologico, come quello economico e finanche antropologico. È, cioè, la crisi di un vero e proprio paradigma legato indissolubilmente al modello di civiltà industrialista e al sistema capitalistico e ai suoi dis/valori. Da un altro versante, chi quel modello di civiltà e quel sistema mette in discussione, la cultura politica marxista in primis, per molto, troppo tempo, ha preferito una lettura positivista del paradigma (modello di civiltà e sistema) consistente in una visione quantitativa piuttosto che qualitativa: laddove si forma una classe operaia consistente e numerosa, lì si sviluppa l'antagonismo conflittuale necessario alla trasformazione rivoluzionaria. Il caso-Taranto dimostra, per di più e ancora una volta, che non è così.

La distruzione del retroterra socio-culturale non è specifico di Taranto, ma dell’intero sistema del profitto capitalista della in-civiltà industriale su cui basa l’intera sua impalcatura finanziaria e speculativa.

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ilpungolorosso

Stati Uniti: a che punto è il movimento contro la violenza della polizia e il razzismo sistemico?

image 60hhRiceviamo e molto volentieri pubblichiamo queste note sul momento attuale del grande movimento di lotta nato negli Stati Uniti dopo l’uccisione di George Floyd per mano della polizia di Minneapolis. Non sono, però, un semplice aggiornamento. Sono un primo, provvisorio bilancio di esso (provvisorio perché il movimento è tuttora vivo). E hanno il merito di cogliere la sua straordinaria importanza nella vicenda della lotta di classe statunitense e mondiale.

Gli Stati Uniti sono da quasi un secolo il paese-guida del capitalismo mondiale, la mostruosa idrovora che ha aspirato oceani di plusvalore, di rendita e di diritti dai quattro angoli della terra, e hanno potuto a lungo nutrire buona parte della loro popolazione di sfruttati con qualcosa in più di semplici ‘briciole’ materiali e ideologiche (l’ideologia della unicità e superiorità yankee). Ma questa Amerika ora finalmente traballa per effetto di continue scosse sismiche e si avvicina inesorabilmente al suo crack.

Altro che fine della storia! La storia, e cioè la storia della rivoluzione sociale anti-capitalista, si sta riaprendo alla grande, nel cuore stesso della “Bestia”. E si vedrà chiaro domani che il primo squillo di riscossa è partito dai “negri” supersfruttati dall’imperialismo europeo e italiano: i rivoltosi arabi e “islamici” del 2011-2012 e del 2018-2020, i nostri fratelli di classe medio-orientali brown

* * * *

Nelle giornate di luglio il movimento generalizzato contro la violenza della polizia e il razzismo sistemico ha perso di intensità. È trascorso più di un mese e mezzo da quando questo movimento di massa è esploso spontaneamente in seguito all’assassinio di George Floyd il 25 maggio 2020.

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illatocattivo

Lotte interclassiste: obiettivi ed esiti

Estratti da Le ménage à trois de la lutte des classes

di Bruno Astarian e Robert Ferro

A margine del sostanziale riflusso del movimento sociale negli Stati Uniti, pubblichiamo un altro breve estratto da Le Ménage à trois de la lutte des classes, uscito in Francia nel dicembre 2019, e in fase di traduzione in italiano. Degli Stati Uniti, avremo modo di riparlare in maniera più circostanziata prossimamente. Nel frattempo, per chi volesse procurarsi il volume di cui sopra, ricordiamo che è ormai possibile ordinarlo direttamente sul sito della casa editrice: https://editionsasymetrie.org/ouvrage/le-menage-a-trois-de-la-lutte-des-classes/.

Screenshot from 2020 07 12 10 30 10Obiettivi delle lotte interclassiste

Fatta eccezione per i Gilets Jaunes nel momento più alto della loro mobilitazione, nei movimenti interclassisti attuali – tali quali si manifestano attraverso scioperi, manifestazioni e sommosse – la presenza del proletariato è meno evidente di quella della classe media. Lo si è visto in Francia nel 20161 e in molte altre occasioni, che dimostrano come all’interno della lotta interclassista sia la classe media a parlare più forte. Questo vuol dire forse che è essa a menare le danze? No, vuol semplicemente dire che è essa ad avere i mezzi per esprimere il discorso più appropriato al terreno sul quale si colloca la lotta interclassista: quello politico, in cui ci si rivolge allo Stato perché difenda il posto che le due classi occupavano precedentemente nella società capitalistica. Quella interclassista non è una lotta in cui il proletariato giochi un ruolo secondario sottomettendosi agli imperativi della CMS [classe media salariata, NdT]. Il proletariato non rinuncia alla sua posizione specifica. Semplicemente, è impegnato in una lotta rivendicativa e/o riformista. Fino a un certo punto, le sue rivendicazioni sono le stesse della classe media, reclama le stesse riforme. Fin quando si rimane al di qua di questa soglia, la classe media è il portavoce meglio capace di formulare gli obiettivi congiunti delle due classi. Ma quali sono questi obiettivi? Li si può analizzare secondo il ventaglio seguente.

1) Standard generali di riproduzione. Si tratta dei fattori che determinano le condizioni di vita delle due classi in generale (disoccupazione, inflazione etc.). Il problema non riguarda solo il proletariato. Abbiamo visto quale sia stata l’importanza della questione dei disoccupati diplomati durante le Primavere arabe.

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lordinenuovo

Composizione della classe operaia e frammentazione

di Fronte militante per la ricostruzione del partito comunista

Classe Operaia 660x4002xLe frammentazioni sono il frutto del lavoro del capitale contro i lavoratori

Nei partiti comunisti della III Internazionale l’analisi delle composizioni di classe era uno strumento metodologico fondamentale, derivante dall’applicazione diretta del materialismo scientifico di Marx e Lenin, propedeutico ad ogni sviluppo analitico di un contesto dentro una fase politica determinata.

La prima esperienza di un tale lavoro, a partire dall’iterazione prassi-teoria-prassi, fu realizzata da Marx ed Engels, con quest’ultimo attore e testimone diretto, intorno alla composizione della classe operaia britannica nella prima metà del secolo XIX. In quel Paese si erano succedute in tempi brevi sia la prima che la seconda rivoluzione industriale, non solo grazie alle invenzioni scientifico-tecniche che le connotarono (telaio meccanico + macchina a vapore), quanto per l’enorme accumulazione primaria che l’impero britannico riusciva a realizzare grazie alle politiche, particolarmente aggressive e piratesche, messe in atto dal suo espansionismo coloniale, a sua volta reso possibile da una marina mercantile imponente, appoggiata da una marina militare tecnologicamente avanzata. Solo la potenza cinese avrebbe potuto, in quel secolo, ma già nel secolo precedente, anticipare quei ritmi e quelle quantità di accumulazione primaria, necessari al salto di paradigma verso una società capitalistica matura. La scelta di politiche puramente mercantili, accompagnata dalla scelta di tecnologie navali che, escludendo le chiglie profonde, avevano limitato le rotte della imponente marina mercantile cinese al solo cabotaggio, avevano bloccato l’evoluzione verso l’applicazione delle tecnologie ad un’economia industriale.

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economiaepolitica

Da Raniero Panzieri alla rete-fabbrica-integrata

Noi, forza-lavoro del padrone Gafam

di Lelio Demichelis

berta litalia delle fabbricheCambia e continua a mutare – oggi sembrerebbe addirittura smaterializzarsi – la forma della fabbrica. Ma in realtà (e per avere conferma di questa tesi rileggiamo ora il pensiero analitico di Raniero Panzieri, dopo averlo fatto, nelle settimane scorse con quello di Claudio Napoleoni[1]), se sembra cambiare la forma resta invece immutata la norma di funzionamento della fabbrica, cioè: suddividere/individualizzare per poi totalizzare/integrare/connettere ciascuna parte, uomini compresi, in qualcosa di maggiore della semplice somma delle parti prima suddivise.

Una norma appunto sempre uguale, semmai sempre meglio perfezionata, generalizzata e pervasiva/pervadente – applicata all’operaio pre-fordista e poi all’operaio-massa fordista-taylorista come oggi all’operaio massa (o in forma di folla) individualizzato di quella che chiamiamo rete-fabbrica-integrata-globale. Sempre uguale e figlia dell’industrialismo e del positivismo ottocenteschi (e prima ancora, della rivoluzione scientifica), ma soprattutto della totalizzante razionalità strumentale/calcolante che ci domina dall’inizio della rivoluzione industriale al digitale di oggi. Digitale – così come ciò che il neo-operaismo definisce capitalismo cognitivo (Vercellone) o capitalismo bio-cognitivo (Fumagalli: “un concetto del tutto materiale, che nulla ha di etereo o sganciato dalla realtà dei corpi, ma che si incarna proprio nella messa in produzione delle facoltà di vita, dei corpi e della loro trasformazione in parti meccaniche e/o in processi di mercificazione”[2])che non rappresenta però un cambio di paradigma e neppure un momento di rottura con il sistema precedente (come pensano i neo-operaisti, ma non solo), ma solo la sua ultima fase evolutiva secondo l’essenza (infra) di tecnica e capitalismo.

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sinistra

Dimensione operaia degli Stati Popolari, Sardine, ecologismo, antirazzismo, antipatriarcato...

di Karlo Raveli

città americane street art 1280x720Fine del lavorismo secolo XIX?

L’iniziativa Stati Popolari potrebbe riuscire a riproporre un reale percorso di lotta anticapitalista, generale e radicale pur tra tutti i condizionamenti attuali, a cominciare dai virus dell’informazione ufficiale. ‘Di sinistra’ inclusa. Superando il populismo neo-fascista ma rimettendo anche al loro posto vari inscatolamenti lavoristi dell’universo operaio, soprattutto per opera di vecchi marx-ismi chiusi tra le stantie inferriate dell’esclusività salariale produttivistica più o meno tutelata. Cioè della storica particolarità del lavoro stipendiato assunto ed innalzato a esclusività strategica operaia, anti-Capitale, dallo stesso cosiddetto “Marx politico” di un secolo e mezzo fa.

Appaiono del resto sempre più come strumenti di difesa terminale del sistema anche recenti dissertazioni di confusione e irretimento etico, teorico e politico a proposito della DIMENSIONE o CLASSE operaia globale. Per esempio attorno all’idea di un presunto ‘quinto stato’ riproposta poco tempo fa in un articolo di Allegri e Ciccarelli del Manifesto, ‘Fenomenologia della classe a venire’. Un 5° stato che, da tipici marxismi di sinistra del sistema, servirebbe come concetto valevole per eclissare il primo ed essenziale elemento classista marxiano, innanzitutto etico ma poi teorico e politico:

l’alienazione o appropriazione particolare, privata, personale e famigliare di naturali od oggettivi Beni Comuni di una società. Da cui sorge lo sfruttamento e guerre e violenze di ogni tipo.

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lordinenuovo

Le classi sociali in Europa e in Italia

di Domenico Moro

8e495b38a943d96fb6f4e9957b6a8181La teoria delle classi sociali nel marxismo

L’analisi delle classi sociali è pochissimo trattata. Ciò non può stupire da parte dell’economia e della sociologia mainstream, perché l’interesse a indagare la composizione di classe è considerato poco utile e soprattutto non funzionale. Il pensiero dominante tende, quindi, a rimuovere le classi sociali o a considerare la suddivisione della popolazione in classi solamente in base al livello di reddito o allo status. Sebbene il reddito percepito sia importante ai fini di una analisi delle classi sociali, una analisi delle stesse non può partire da quello, bensì dalla posizione occupata nei rapporti di produzione del capitalismo. Ciò che, invece, stupisce maggiormente è la scarsa considerazione di una analisi della composizione di classe fra la sinistra radicale. In questo caso, il limite è dovuto al frequente concentrarsi sull’immediato, che si traduce in politicismo e tatticismo elettoralista.

L’analisi della composizione di classe è, invece, necessaria se vogliamo operare in senso strategico, cioè per modificare sulla lunga distanza i rapporti di forza fra le classi e se si vuole radicarsi politicamente negli strati della popolazione che sono più interessati al cambiamento sociale.

L’analisi della composizione di classe fa parte di quel processo analitico di discesa dal modello astratto – rappresentato dal modo di produzione – alla formazione economico-sociale, che rappresenta la concretizzazione storica e spaziale dei rapporti di produzione capitalistici.

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rizomatica

Questione di classe. Le classi sociali nella modernità liquida

di M. Sgobio

NeoliberalsBauman sembra attribuire la “liquefazione” della società a un cambiamento nella mentalità dei capitalisti, mentre, nella sua analisi, la classe sociale di coloro che per vivere vendono la propria forza lavoro sembra sciogliersi. Però, se si cambia il punto di osservazione, si possono scorgere le radici materiali del cambio di mentalità che descrive. Da questa visuale, le gocce, i singoli individui, assumo nuovamente l’aspetto di un fiume: un corso d’acqua che potrebbe modellare la società in forme del tutto nuove.

Negli ultimi quarant’anni diverse teorie hanno cercato di descrivere la società contemporanea e i fenomeni che l’hanno modellata, dando vita a interpretazioni che, anche se accolte in modo critico, lasciano la consapevolezza di un mutamento, a volte radicale, rispetto al recente passato.

 

Un nuovo inizio

Nell’esperienza della società attuale, scrive Krishan Kumar, vi è qualcosa “che insistentemente suscita non solo «il presentimento di una fine» ma anche quello di nuovi inizi”i.

Siamo nel 1995, e l’autore traccia una rassegna critica di quelle che chiama “le nuove teorie del mondo contemporaneo”. Teorie accomunate, anche quando divergono, dal prefisso post, che antepongono, di volta in volta, ad aggettivi come industriale, fordista o moderna, riferiti alla società che descrivono.

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illatocattivo 

Classe media salariata e crisi: linee di demarcazione

In merito ad alcune critiche

di R. F.

unnamedIl testo che segue costituisce una versione modificata e ampliata di Classi medie e parole in libertà1una risposta alla recensione che Dino Erba (d'ora in poi DE) ha dedicato al libro da me scritto in collaborazione con Bruno Astarian, Le ménage à trois de la lutte des classes, uscito in francese a metà dicembre 2019 per le Éditions de l'Asymétrie, e attualmente in corso di traduzione in lingua italiana2. In seguito a varie sollecitazioni, mi è parso opportuno rivenire sulla stesura iniziale di quel testo, in primo luogo per renderlo intellegibile ad una platea di lettori più ampia – visto e considerato, peraltro, che la recensione di DE è circolata unicamente fra i suoi contatti personali e non è, ad oggi, disponibile in rete. In secondo luogo, il resoconto di Le ménage à trois... dato da DE è stato poi ripreso da Michele Castaldo (d'ora in poi MC), che a sua volta ne ha tratto spunto per un testo ulteriore, intitolato Ceto medio e suo movimento in questa fase3, su cui mi è sembrato necessario spendere qualche parola in più.

Per riassumere, sia la recensione di DE che il commento di MC si basano su un «malinteso» (diciamo così) di fondo, di cui è responsabile il primo e non il secondo. Il vizio ad originem della recensione di DE, è che pretende di criticare un libro che visibilmente il suo autore non ha letto. Perché allora scagliarvisi contro? Credo banalmente che DE vi abbia subodorato una minaccia per le proprie tesi, proprio perché esponente di quella (nutrita) schiera di «rivoluzionari» che – riprendendo una formula che ricorre a più riprese in Le ménage à trois… – prendono le lucciole dell'interclassismo per le lanterne della rivoluzione comunista. Ebbene, uno degli intenti del libro era proprio quello di mettere costoro alle strette.