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mainstream

Ancora sui "Piedi storti"

Ovvero come le cause del declino italiano siano endogene

Claudio Martini

Il precedente post (che riprendeva a sua volta questo articolo) ha sollevato qualche perplessità. Qualcuno ha avanzato una risposta alla domanda che ponevo -perché la Germania è strutturalmente più competitiva dell'Italia-, ma i più hanno sostanzialmente respinto la mia argomentazione. Probabilmente ho spiegato male ciò che intendevo. Per rimediare prenderò a prestito uno scritto di Vladimiro Giacché. Con Giacché dovremmo andare sul sicuro: ha scritto l'ottimo Anschluss, ed è membro del comitato scientifico di A/simmetrie. Si tratta dunque di un autore al di sopra di ogni sospetto. Se non credete a me crederete a lui.

Vi segnalo dunque questo breve, ma denso saggio del 2004. Erano i tempi in cui Giacché, in altri scritti, affermava:

punto da cui partire è questo: l’orizzonte europeo non è una dimensione che si può scegliere o meno; è un contesto necessario e quindi anche un nuovo campo di possibilità.

E rincarava la dose:

Al tempo stesso, la moneta unica chiude - almeno tendenzialmente - lo spazio nazionale come orizzonte strategico dell’azione sindacale e politica. Questo significa che non esiste oggi alcuno spazio per un ritorno alla “sovranità perduta”, ossia non c’è alcuna possibilità di successo per chi si rinchiuda in un orizzonte politico e rivendicativo nazionale.  

Ma torniamo al saggio del 2004. Vi consiglio vivamente di leggerlo e rileggerlo, perché c'è tutto. C'è l'analisi del nanismo delle nostre imprese, e delle ragioni politiche di tale nanismo. Viene descritto il legame tra nanismo e mancato sviluppo capitalistico. Viene chiarito un punto importante: come la vocazione tipica delle PMI sia da far da sub-fornitrici delle grandi imprese, le uniche in grado di "servire" direttamente il mercato dei prodotti finiti; e dato che le grandi imprese, in Europa, sono sopratutto tedesche, ecco "svelato" che buona parte delle imprese esportatrici del Nord-Est altro non sono che fornitrici delle multinazionali tedesche. Questo fatto ci aiuta anche a capire perché il partito delle PMI del nord, la Lega, sia stata per anni genericamente "filo-tedesca"; e perché anche Matteo Salvini, fino a un anno e mezzo fa, volesse tenere la "Padania" all'interno dell'eurozona, escludendo il Sud. 

Del resto, a prendere sul serio il vecchio slogan leghista, cioè quello dell'indipenza della Padania (oggi del solo Veneto, chissà perché), noi avremmo a che fare con la proposta di creare un nuovo stato completamente inserito nell'orbita della Germania, non meno della Slovenia o del Lussemburgo...

Nel testo di Giacché si individua la relazione tra bassi salari, evasione fiscale e carenza di investimenti. Le PMI, potendo lucrare su una classe operaia remissiva e frantumata, nonché su una condizione di illegalità di massa (fiscale, contributiva, ambientale, ecc), non hanno incentivi né all'accorpamento né all'investimento. La mancanza di economie di scala, garantite dalle grandi imprese, è un ulteriore fattore che gioca contro l'investimento in nuove tecnologie. La pretesa di conservare il controllo familiare sull'azienda, d'altro canto, crea una condizione di cronica sotto-capitalizzazione  delle imprese, da cui segue il ricorso al credito bancario non, come sarebbe normale, per finanziare investimenti, ma semplicemente per ottenere liquidità; e questo aiuta a spiegare perché la crisi dello spread, con conseguente aumento del tasso di interesse dei prestiti bancari, sia risultato così esiziale per molte imprese italiane.

A questa galleria degli errori si potrebbe aggiungere anche qualcos'altro. La massa delle PMI è anche massa elettorale. Tale massa ha votato e sostenuto certe classi politiche in cambio di guarentigie: in particolare, che rimanessero invariati i livelli di illegalità e di evasione fiscale. Questa combinazione ha prodotto una generale condizione di profondo malgoverno, che ha generato una crisi dei servizi pubblici; ma i servizi pubblici efficienti (pensiamo solo alla scuola!) sono l'ambiente ideale per la nascita e lo sviluppo degli investimenti.

Ci si può chiedere se dal 2004 ad oggi non sia cambiato qualcosa. Per quanto riguarda le subforniture la situazione non pare sia cambiata: ancora pochi mesi fa, il Sole 24 Ore scriveva:

la Germania ha rafforzato la sua posizione a valle nelle catene del valore, avvicinandosi di più ai clienti finali, mentre l'Italia ha risalito la catena del valore verso posizioni più da fornitore. Nella catena manifatturiera l'Italia è oggi più fornitore e la Germania più vicina ai clienti. La partecipazione dell'Italia alla catena del valore diminuisce, mentre la Germania può contare maggiormente su network produttivi integrati.

Per quanto riguarda la dimensione delle imprese, il nanismo è rimasto. L'azione del governo Monti ha decimato le PMI, portandone decine (se non centinaia) di migliaia al fallimento, ma non si è verificato un contemporaneo processi di aggregazione tra imprese; anzi, la platea dei "top player"italiani si èsfoltita sempre di più dopo la fuga della FIAT. Insomma, mi sembra di poter dire che l'analisi di Giacché è assolutamente attuale.

Questa è l'ossatura del capitalismo italiano. L'euro ne ha messo a nudo la fragilità. Del resto la moneta unica, almeno dal punto di vista di buona parte della classe dirigente italiana, doveva servire appunto da rimesio a questa condizione di arretratezza. Ciò spiega anche perché Giacché fosse favorevole all'euro, e fosse vicino ad un partito (il PdCI) la cui linea strategica consisteva nel portare voti al partito dell'euro, al centrosinistra. Ma cosa è andato storto? Perché non ha funzionato? Ne parliamo in un prossimo post. 

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