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connessioni

La democrazia è nuda e il gioco si fa duro

Dalle elezioni europee: astensione e malessere sociale in crescita

Dino Erba

Questa domenica in Europa più che elezioni hanno avuto luogo delle non elezioni. Gli europei, in maggioranza, hanno deciso di restarsene a casa invece di andare alle urne. Le elezioni, quindi, saranno legali ma non legittime, se teniamo conto del terzo significato della definizione del concetto di: “sicuro, genuino e vero sotto qualsiasi profilo”. Le elezioni non sono state real-mente veritiere perché il demos (il popolo) – ovvero chi dà sostanza ai partiti – ha deciso in maggioranza di non votare: da ciò si deduce che, secondo logica, le elezioni non sono valide anche se sono legali. Chi rappresentano gli eletti? Che appoggio popolare avranno le loro decisioni future?
RAMÓN REIG, Las non eleciónes1.

PDVD 015Quasi ovunque, i governi dell'Unione europea hanno agitato lo spauracchio dell’astensione e del populismo antieuropeo, scatenando una propaganda dai toni ora allarmistici ora suadenti ... senza escludere messaggi trasversali che, a ogni piè sospinto, ci sussurravano i vantaggi dell’Europa unita. L’esito è stato deludente ...

Nonostante la martellante propaganda, l’astensione non è arretrata rispetto alle elezioni precedenti – del 2009 –, e si attesta al 57%; oggi il panorama si presenta assai più variegato, con punte di astensione oltre il 60%, come in Portogallo; mentre in Italia, Paese notoriamente schedaiolo, l’astensione ha sfiorato il 42% (cui si deve aggiungere il 5,3% di schede bianche e nulle, quindi in totale circa il 47%), confermando una tendenza analoga che ha visto crescere l’astensione anche nelle contemporanee elezioni amministrative (oltre il 30%).

E questo preoccupa, poiché la maggioranza assoluta dei cittadini europei NON si riconosce nei numerosissimi partiti di destra, di sinistra e di centro, che si sono presentati alle elezioni.

Non preoccupa invece il fronte euroscettico, che è quanto mai frastagliato: si va da formazioni sostanzialmente di destra che vogliono uscire dall’Europa (tra cui: Partito per l’indipendenza del Regno Unito, Front National in Francia, Alba Dorata in Grecia, Lega Nord in Italia) e formazioni con una matrice di sinistra che invece vogliono «rivedere» gli accordi dell’Unione (come in Grecia e in Italia L’altra Europa con Tsipras e, in parte, anche il Movimento Cinque Stelle).

Per quanto sostanziosa, la vittoria dei partiti che vogliono uscire dall’Europa ha le sue vette nel 31,9 del Partito per l’indipendenza del Regno Unito e nel 25% del Front National di Marine Le Pen, che tanto scalpore suscita. È una presenza assolutamente insufficiente per influire sulla politica nazionale di Paesi come UK e Francia, dove governi di «larghe intese» sono sempre in agguato.

A livello di Parlamento europeo, questi euroscettici potrebbero svolgere qualche ruolo di rilievo solo in sintonia con le formazioni in odor di sinistra, come i «revisionisti» di Tsipras o il Movimento Cinque Stelle, con i quali sono però in contrasto su molte questioni. Per esempio, potranno convergere su misure contro l’emigrazione ma non sull’omofobia e tanto meno sulla famiglia.

Dove più dove meno, è stato impresso alla campagna elettorale una valenza nazionale, con forti ricadute sulla politica interna, soprattutto in Italia, dove Renzi ne ha fatto un vero e proprio test, e l’ha vinto. Le conseguenze potranno esse-re solo virtuali, a meno di non andare a elezioni anticipate. Non è il caso ...

 

Terza via tra populisti e restauratori?

La vittoria di Renzi alle europee è sicuramente una vittoria «storica», corroborata anche dai risultati delle amministrative (regionali e comunali). Questa vittoria, potrebbe tuttavia segnare il culmine della parabola ascendente del ducetto di Pontassieve.

Gli «ottanta euro in busta paga» hanno certamente contribuito alla sua vittoria, ma non c’è solo questo. In pochi mesi, Renzi è riuscito a «rottamare» quel poco di sinistra che c’era ancora nel PD. Poi, con l’Italicum, è riuscito a turlupinare il Berlusca, facendogli fare la figura dello sciocco di fronte ai suoi fans, già fortemente turbati dalle sue ultime deludenti performances. Dulcis in fundo, Renzi ha fatto un po’ di fronda nei confronti della Merkel, più che della Germania e della BCE, rompendo con la linea dell’austerità di Monti e, in parte, di Letta.

E così, dal lato destro, Renzi ha attratto frange moderate (vedi i lusinghieri risultati nel Nord-Ovest e in Veneto, la Padania ex berlusconianleghista ...); dal lato sinistro, ha tagliato l’erba sotto i piedi di Grillo e di Tsipras, riducendone i consensi. In quanto capo del governo, Renzi è ben più qualificato di loro per discutere la revisione dei trattati europei, da Maastricht al Fiscal Compact, proponendo «una nuova idea d’Europa».

 

O vittoria dall'incerto futuro?

Certamente Renzi si è imposto nel suo partito, mettendo la sordina alle voci di dissenso. Ma al tempo stesso, la sua compagine di governo si trova adesso con la «seconda gamba», il Nuovo centrodestra, asfittica, con il risicato 4%: ovvero nel rapporto 1 a 10, rispetto al Nuovo PD renziano. E sorvoliamo sugli altri supporti di governo, già assai rachitici, cui oggi si aggiunge il flop di Scelta civica (il montiano partito dell’austerità), scesa in lizza con la coalizione Scelta europea (0,7%). I rapporti interni risultano così assai squilibrati e ciò potrebbe indurre il capo del governo ad accentuare il suo decisionismo, premendo l’acceleratore sulle sue fetenti riforme. Può farlo grazie a quella rete di interessi affaristici (una sorta di neo compromesso democristiano) che sta ricucendo attraverso appalti compiacenti e indulgenti moratorie L’operazione è peraltro favorita dall’esito della tornata elettorale che ha indebolito anche la parvenza di un’opposizione. In primis il Grillo sbraitante. Ma resta pur sempre l’opposizione sociale, per ora espressa dalla crescente astensione ...

 

Tanto sbraitar per nulla

Grillo e il guru Casaleggio hanno svelato tutta la loro superficialità socio-politica. Hanno cercato di cavalcare il malcontento dilagante ma sono stati assolutamente incapaci di sondarne e, ancor meno, di capirne le cause. Se le avessero capite, avrebbero dovuto fare delle scelte di campo del tutto estranee alla loro natura sociale, in poche parole avrebbero dovuto schierarsi con i proletari: lavoratori dipendenti, disoccupati, pensionati, nonché con la piccola borghesia rovinata dalla crisi. E di conseguenza avrebbero dovuto mettere in discussione il sistema capitalistico su cui la società contemporanea si basa e da cui deriva il nostro problema di mettere insieme il pranzo con la cena. E non certo prendersela con l’Unione Europea, che di questo sistema è uno strumento.

Non potendo fare questa scelta di campo, i pentastellati cadono in quella furba demagogia che serve solo a portare acqua al mulino di una combriccola di politicanti che vuole ritagliarsi un posto all’ombra del padrone. Ricattandolo, senza far troppo danno.

L’opposizione è sociale

Nonostante l’ampia scelta di partiti e movimenti, il fatto che la maggioranza assoluta dei cittadini europei NON abbia votato significa che il dissenso colpisce direttamente il sistema politico nel suo complesso: ovvero la democrazia rappresentativa che, nell’attuale realtà politica, rappresenta solo i «ricchi». In particolare rappresenta il mondo della finanza e tutti i faccendieri che ci sguazzano, con al seguito industriali e commercianti, collusi nelle più spericolate speculazioni, senza curarsi delle cosiddette imprese e tanto me-no di coloro che ci lavorano, destinati al macello, grazie alla riforma del mercato del lavoro, in gergo renziano «Job Act».

Di fronte alla catastrofe che si profila, solo chi è connivente con una banda di ladri e di assassini può aver votato, vedi il successo in Piemonte di Chiamparino, l’ultrà nello sporco affare dell’alta velocità. Oppure a votare sono i residui di una piccola borghesia sciocca e retriva e qualche proletario rincoglionito che sperano di salvar la ghirba, a scapito di altri. Oscillando tra il razzismo xenofobo di Marine Le Pen e le corbellerie «progressiste» di Alexis Tsipras2.

Ma in un domani non lontano, costoro rischiano di finire anch’essi nel tritacarne della crisi, e allora saranno dolori.

A meno che anch’essi passino all’astensione, rifiutando la democrazia rappresentativa, per dar vita a un’opposizione sociale e, prendendo in mano il proprio destino, scelgano forme di rappresentanza diretta, dal basso. Non ci sono alternative. La marea montante dell’opposizione proletaria prima o poi dovrà passare dall’astensione all’organizzazione politica, costituendo una propria rappresentanza, diversa, e «altra», da quelle che finora ci sono state imposte.


1 RAMÓN REIG, Las non eleciónes, pubblicato nel sito: http://www.rebelion.org/noticias/2014/5/185168.pdf. Ramòn Reig, giornalista e professore alla cattedra di Estructura de la información, all’Università di Siviglia.

2 Tra le varie critiche al sinistro greco, segnalo quella che ritengo la più approfondita: PAOLO GIUSSANI, Il programma di Tsipras ovvero come fare concorrenza a George Romero. Disponibile in vari siti web, per es. http://connessioni-connessioni.blogspot.it/2014/05/il-programma-di-tsipras-ovvero-come.html/.

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