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huffington post

L'Italia è al collasso, subito una moratoria sui vincoli europei

Luigi Pandolfi

I dati forniti dall'Istat sul Pil per il secondo trimestre e la conseguente proiezione per l'intero anno confermano lo stato comatoso dell'economia italiana. Il Premier se la caverà additando gufi, allocchi e civette o, seriamente, prenderà atto che la situazione è a tal punto grave che non bastano più mezze misure, condite in salsa demagogica, per aggredire una crisi che è strutturale e si nutre delle stesse misure che l'Europa ha adottato per fronteggiarla?

L'apertura del semestre italiano di presidenza dell'Unione e l'insediamento di Jean-Claude Juncker alla guida della Commissione non hanno introdotto elementi di novità sostanziale nell'approccio alle questioni europee più stringenti. Lo stesso dibattito che si è sviluppato sul tema della crescita non innova il tradizionale cliché sulla "naturalità" delle politiche di rigore. Di più c'è soltanto l'accento che viene posto sulla necessità che paesi come l'Italia accelerino con le cosiddette «riforme strutturali», poste a condizione per un'improbabile flessibilità da applicarsi alla gestione dei conti pubblici (dall'«austerità espansiva» all'«austerità flessibile»). Il che costituisce un'aggravante, se si considerano gli effetti recessivi ed antisociali che tali riforme potrebbero avere.

Sul piano interno tutte le energie del governo sono concentrate sulle cosiddette "riforme istituzionali", un pasticcio autoritario che è servito finora a distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica e dei media dai temi che contano ed a consentire al giovane premier di reiterare, oltre la campagna elettorale, la sua falsa crociata contro la casta ("Col nuovo Senato ci saranno meno persone che vivono di politica").

Intanto degli effetti del bonus irpef ancora nessuna traccia, mentre, tra annunci e smentite su debiti della PA e prepensionamenti, l'area della sofferenza sociale si allarga sempre di più nel Paese. Alcuni dati? Nei primi tre mesi dell'anno sono state 3.811 le aziende chiuse per fallimento (+ 4,6% rispetto al primo trimestre 2013), una cifra impressionante, in controtendenza se si tiene conto del numero complessivo di aziende che, anche per altre ragioni, hanno chiuso i battenti nello stesso periodo.

Capitolo nerissimo quello della disoccupazione, che ha raggiunto livelli da allarme sociale (12,3% a giugno). Un giovane su due non ha un lavoro (2 su 3 nel Mezzogiorno) e i "Neet" (Not in Education, Employment or Training), giovani non iscritti a scuola, né all'Università, che il lavoro non ce l'hanno né lo cercano, sono ormai oltre due milioni e costituiscono circa il 24% dei giovani di età compresa tra i 15 e i 29 anni (peggio di noi solo Grecia e Bulgaria rispettivamente con il 27,1 % e il 24,7 %).

I precari sono ormai un esercito in continua espansione, di cui una gran parte ha superato la soglia dei 50 anni. Poche settimane fa il Censis ha fornito dei dati sulla condizione degli over 50 da far accapponare la pelle: gli ultracinquantenni in Italia sono 24,5 milioni di cui solo uno su quattro è occupato, non di più di 6,7 milioni!

Fermiamoci qui. E i conti pubblici? Il debito è ormai fuori controllo e le stime sul deficit contenute nel Documento di Economia e Finanza non valgono più niente alla luce degli ultimi dati sulla ricchezza nazionale. Per stare dentro la gabbia dei parametri europei il nostro paese dovrebbe, a questo punto, varare un nuovo, duro programma di austerità, subito, prima della legge di stabilità.

Ma la domanda è: potremmo permettercelo? A maggior ragione dopo i dati forniti dall'Istat, la risposta è no. Dunque? Al punto in cui siamo, l'unica strada perseguibile è una moratoria sui vincoli del patto di bilancio e sul Semestre europeo, per far crescere la domanda interna, i consumi, l'occupazione. Non se ne esce con la solita retorica dei tagli alla "spesa pubblica improduttiva", il tempo delle chiacchiere è finito.

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