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Quale politica per la sinistra? Sul dialogo Piketty/Montebourg

Carlo Formenti

È ancora immaginabile un ruolo per una sinistra riformista e socialdemocratica in un’epoca in cui la parola riforma è divenuta sinonimo di politiche antisociali? Questa la domanda che un redattore de “les inRockuptibles “ rivolge all’economista Thomas Piketty e all’ex ministro dell’economia Arnaud Montebourg, appena “licenziato” da Hollande, sul numero 980 (10 – 16 settembre 2014) della rivista francese. Il dialogo fra i due giovani eretici si intitola “Pour une autre politique de gauche” e potrebbe offrire salutari stimoli di riflessione per la stagnante scena culturale della sinistra nostrana (ammesso che soggetti dall’encefalogramma piatto possano percepire stimoli).

Su diagnosi, prognosi e cura della crisi i punti di vista dei due interlocutori sono in buona misura convergenti, e si rifanno agli insegnamenti che John Maynard Keynes trasse dalla Grande Depressione del secolo scorso. Il loro dialogo ruota attorno a quattro nodi tematici: insipienza dei politici europee (in particolare se “di sinistra”); contraddizioni di un processo di unificazione europeo incompiuto e dominato dagli interessi particolari della Germania; necessità di ripensare il ruolo dei governi nazionali; riequilibrio dei rapporti di forza sociali a favore delle classi medio basse.

Partiamo dalla politica. Il giudizio di Montebourg su Hollande, assunto a modello di una socialdemocrazia senza identità né idee, è impietoso. Per il presidente francese, dice il suo ex ministro, la crescita non è un obiettivo da perseguire con precisi strumenti di economia politica, bensì una grazia che si spera cada prima o poi dal cielo. Che il modo in cui si è affrontata la crisi del debito pubblico avrebbe causato stagnazione e sfiducia era chiaro fin dall’inizio, rincara Piketty. Ma allora perché, chiede l’intervistatore, si persiste nell’errore? Per pura cecità ideologica risponde Montebourg: il dogma ordoliberista tedesco ha contaminato tutte le istituzioni europee e ispira i trattati che hanno provocato e continuano a provocare disastri. Ecco il motivo per cui i francesi (e lo stesso si potrebbe dire per noi italiani), pur avendo votato a sinistra, si ritrovano a subire gli effetti del programma della destra tedesca.

Veniamo all’Europa. La possibilità di fronteggiare la crisi dipenderebbe, argomenta Montebourg, dalla possibilità di disporre di una “vera” Banca centrale, come quella di cui dispongono gli Stati Uniti, cioè di una Banca dotata di strumenti e poteri atti a favorire la crescita, strumenti di cui attualmente non dispone. Per realizzare tale obiettivo, dice tuttavia Piketty, ci vorrebbe una “vera” Europa, cioè una effettiva unione politica fatta da molti meno Stati di quelli attuali. Ma la Germania preferisce un’architettura fatta di tanti piccoli membri da manovrare per mantenere lo statu quo, per mantenere, cioè, un’unione puramente monetaria fondata su un euro che funziona come una “macchina violenta” (la definizione è di Montebourg) che le permette di continuare a rinforzarsi a spese altrui.

Quanto ai governi nazionali, è evidente, dice Piketty, che oggi la loro sovranità si riduce a “corteggiare” quelle società multinazionali che, viceversa, riescono a non versare un soldo in tasse a nessun Paese del mondo. Su questo punto c’è una certa differenza con Montebourg: mentre Piketty, come si è appena visto, pensa al rafforzamento di un’Europa davvero unita, Montebourg non disdegna il ritorno a politiche neo colbertiane, cioè a un patriottismo economico sostenuto da politiche protezioniste e da un rinnovato interventismo statale.

Dove invece i due tornano a convergere è sulla prognosi e sulla cura. Il disastro è nato dall’effetto combinato dell’attacco ai salari e allo stato sociale, con conseguente riduzione del potere d’acquisto e aumento del debito privato. Quindi la soluzione non può venire che dal rilancio della spesa sociale e da una ridistribuzione dei redditi a favore dei salari. Come? Con una radicale riforma fiscale: patrimoniale, imposte fortemente progressive sul reddito, tassare le multinazionali, ecc. Per inciso, i redattori de “les inRockuptibles” ricordano giustamente che né Piketty né Montebourg hanno alcunché da spartire con Marx e il marxismo (e il lettore italiano, che finora ha sentito parlare – male – di Piketty solo sui giornali, può sincerarsene leggendo l’edizione italiana del libro “Il capitale nel XXI secolo”, appena uscita da Bompiani). Il fatto che vengano presentati come pericolosi sovversivi è la migliore dimostrazione che, oggi, anche un coerente riformista keynesiano è divenuto intollerabile per il capitalismo globale, per cui – utopia per utopia – tanto vale risalire un po’ più indietro. Magari fino a Marx?

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