Print Friendly, PDF & Email
huffington post

E se la sinistra si riappropriasse della parola "socialismo"?

Luigi Pandolfi

Dal 'patto degli apostoli' in poi, anche a dispetto delle reali intenzioni dei promotori, si è aperta una nuova discussione pubblica a sinistra sul chi siamo e sul che fare. Si potrebbe dire: ancora? Ma la sinistra è anche questo: pensiero, riflessione, spirito critico, "analisi reale della situazione reale" avremmo detto un tempo. E menomale, aggiungerei. Sull'argomento è intervenuto, tra gli altri, anche Tonino Perna con un editoriale su Il Manifesto, che, dal mio punto di vista, ha posto una questione seria, dirimente, su cui vale la pena soffermarsi e riflettere: l'uso distorto che oggi si fa della parola 'sinistra' (vale anche per le parole 'riforma', 'cambiamento') impone una grande opera di "tessitura culturale", uno sforzo immane non soltanto per redimere il significato di parole fraudolentemente usurpate in questi anni, ma anche per darsene di altre che, inequivocabilmente, siano in grado di "costruire la visione del futuro desiderabile e credibile", alternativo alla (falsa) ineluttabilità del modello sociale ed economico neoliberista oggi dominate.

C'è una parola, non nuova, abusata nella sua versione aggettivale e accantonata, perfino esecrata, nella sua variante sostantivale, quale orizzonte storico da perseguire ed ambizione collettiva, che immediatamente dà il senso dell'alterità rispetto allo stato di cose presenti.

È la parola 'socialismo', nel suo significato oserei dire ontologico, che rimanda ad una visione della società fondata sul principio di uguaglianza sostanziale, nettamente in antitesi alla concezione individualistica della vita umana addirittura sublimata in questa nuova stagione del capitalismo. Socialismo è sottrazione di beni comuni fondamentali alla logica del mercato, è redistribuzione della ricchezza, è socializzazione dei mezzi di produzione, è limitazione all'iniziativa economica privata in nome dell'utilità sociale, è piena occupazione e dignità del lavoro, è riportare la finanza al servizio dell'economia reale, è programmazione economica ed intervento pubblico in economia, è welfare universalistico, è primato dell'uomo sul profitto economico, sul cui altare sono sacrificati anche l'ambiente e la cultura, il diritto delle future generazioni a vivere in un mondo non compromesso dall'opera scellerata di sfruttamento indiscriminato della natura.

Niente di nuovo, insomma. Ma tutto più che mai attuale, stringente, necessario. Più di ieri, quando la parola socialismo era molto in voga, ma il capitalismo, nondimeno, aveva ancora qualcosa da dire e da 'dare', la grande produzione di massa faceva fabbriche di massa, occupazione e consumi di massa, speranze di massa in una società migliore. Parliamo di un mondo che non c'è più e di un tempo presente dove, per paradosso, ha senso più di ieri parlare di 'socialismo', atteso che il capitalismo è ormai incapace di una 'funzione sociale' come quella svolta in passato. Tutti quelli che oggi si dicono 'socialisti', dagli epigoni del craxismo fino a Renzi, si guardano bene dal dichiarare che il loro obiettivo è una società 'socialista'. Il motivo sta nel fatto che storicamente per 'società socialiste' si intendono quelle plasmate sull'esempio sovietico, ormai archiviato come modello insostenibile di organizzazione socio-economica e statuale? No, la ragione è insita nell'inconciliabilità degli obiettivi delle attuali élite capitalistiche, e dei governi ad esse assoggettate, con le finalità del socialismo. D'altronde, come nel caso della parola 'sinistra', si potrebbero sempre obiettare cose del tipo "non è il socialismo cui alludete voi", "stiamo parlando di un'altra cosa", "in fondo anche il compromesso socialdemocratico era socialista", e via distinguendo.

Meglio dire che "licenziare è di sinistra", or dunque, che dichiarare di voler costruire una società socialista (Oddio!). È chiaro: si può etichettare come 'di sinistra' un provvedimento volto a destrutturare, 'flessibilizzare' (liberalizzare, dicono) il mercato del lavoro o quello dei capitali (la libertà non è di sinistra?), mentre è impensabile che lo stesso provvedimento possa essere presentato come un passo in avanti nella direzione della costruzione di una società ispirata ai valori del socialismo. Ci sarebbe da ridere, cosa che oggi non succede quando Renzi dice che togliere tutele a chi ce l'ha è 'di sinistra'. Dunque sarebbe il caso di archiviare la parola 'sinistra', lasciarla definitivamente nelle mani di chi ne fa un uso distorto? Nemmeno. Il tema è che la 'sinistra' dovrebbe ricominciare a familiarizzare con parole che, storicamente, ne hanno sostanziato il carattere, il linguaggio, la sua vocazione programmatica, il profilo identitario, l'essenza stessa. È impossibile oggi per la sinistra dichiarare che il proprio obiettivo è una società ispirata ai valori storici del socialismo, indicando così un obiettivo da perseguire, un diverso modello di società, solidale ed inclusivo, anziché continuare declinare la propria soggettività in termini negativi (antiliberisti, antimilitaristi, contro il capitalismo finanziarizzato, contro la precarietà, contro l'austerità, ecc.)?

Socialismo vs neoliberismo. Questo è il punto. Qui sta la differenza tra una sinistra che si riappropria della sua funzione storica e chi ha usurpato la parola 'sinistra', piegandola all'esigenza del capitale di smantellare ciò che rimane del modello sociale europeo e delle conquiste del mondo del lavoro. Lo so, mutatis mutandis, a sinistra, dietro le nuove forme di rappresentazione di sé, c'è quella idea di società. È perfino ovvio. Solamente che non abbiamo più il coraggio di chiamarla col suo nome.

Add comment

Submit