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ilsimplicissimus

Il caudillo della Leopolda va alle elezioni

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Elezioni a primavera. Non c’è bisogno di appoggiare l’orecchio alle segrete porte della politica o di avere strizzate d’occhio da vecchi e intollerabili marpioni per capirlo: il ricorso alle urne è nella logica delle cose e nei segni che vengono lanciati ai pescecani di confindustria, alle mammine, ai grand commis dello stato -affari o nei ripensamenti sulla legge elettorale. Di certo il gigantesco bluff di Renzi non può resistere i fatidici mille giorni, ha ancora qualche mese di vita prima di essere scoperto lasciando il posto all’ira e questo rende imperativo per il guappo tentare di andare alle urne prima che il suo castello di carte venga spazzato via dalla tempesta. Cercare di resistere sulla tolda delle chiacchiere e dei twitter ancora più a lungo sarebbe un azzardo ed esporrebbe sia il leader che il suo partito – nazione alla dissoluzione. E’ fin troppo chiaro che la manovra si regge e può eventualmente passare a Bruxelles solo grazie alla clausola di salvaguardia, ossia ad aumenti automatici del prelievo fiscale qualora le coperture venissero a mancare. Si tratta nello specifico di aumenti dell’Iva di due o tre punti che scatterebbero a partire dal 2016 e una serie di tassazioni nascoste tutte dirette a colpire le fasce più deboli. Dunque il 2015 è l’ultimo anno in cui le balle possono sopravvivere.

Inoltre accelerando la data delle elezioni ci sono dei vantaggi non indifferenti: impedire che si riaffacci un’opposizione di sinistra credibile la quale in pochi mesi non potrebbe che ritentare un’ infausta operazione tipo Lista Tispras, sfruttare il declino del centro destra ormai sacrificato alle vicende personali del suo padre padrone Berlusconi, non lasciando tempo per una riorganizzazione e cercando di evitare che una coalizione sia pure così azzoppata rischi di farcela e infine far sì che il movimento cinque stelle non si riorganizzi e sia frantumato dal suo stesso creatore che è riuscito a fare da catalizzatore a qualcosa di più grande di lui, ma che ora si è trasformato in un inibitore enzimatico, come si direbbe in biochimica. Dunque Renzi ha una finestra di sei, sette mesi per mantenere il suo ruolo di ultima spiaggia. E questo limite è anche la sua ultima spiaggia.

Naturalmente per ottenere il placet dell’ex cavaliere dovrà garantirgli  tutte le guarentigie possibili per lui e per la sua roba, dovrà lasciare intatto il suo sistema di potere del quale del resto Renzi stesso faceva parte. Ma soprattutto deve ottenere il placet dell’Europa: è qui che si gioca la partita. Perché è vero che il guappo potrebbe giocarsi sul piano elettorale  sia un assenso che uno stop di Bruxelles alla manovra presa in giro, ma è anche vero che un no della Ue metterebbe di nuovo in funzione i cannoni dello spread e dei ricatti finanziari, rimescolando completamente le carte, anche mediatiche che il premier ha in mano. Così per arrivare alle elezioni senza scossoni eccessivi e ancora forte di una narrazione che non vale l’inchiostro e i bit in cui è decantata, deve vendersi il Paese, promettere tutto ciò che la troika vuole e sperare che nel tempo guadagnato grazie alle urne si palesi una qualche fantomatica ripresa a salvarlo. O sia possibile blindare il sistema politico in un definitivo sistema oligarchico di cui il caudillo della Leopolda sarebbe il perno.

Aspettare anche solo il 2016 significherebbe tenere alta la tensione mediatica ancora per quasi due anni e veder affondare una dopo l’altra le barchette di carta  di cui è grande ammiraglio. Dare tempo ad altri di organizzarsi, di compiere la traversata nel deserto e su un piano più volgare e pratico veder diminuire la fedeltà parlamentare di fronte alla possibilità di non rielezione. Insomma ha fretta perché le vesti del riformatore si vanno logorando, lasciando intravvedere i panni del Masaniello. E ha perfettamente ragione. Infatti si è già mossa la macchina del ricatto che pone la domanda fine di mondo: ma allora per chi voti? Senza nemmeno soffermarsi su cosa si vota: purtroppo il peggio della democrazia è accontentarsi  di ciò che sembra il meno peggio.

 

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