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manifesto

Un moloch in lento divenire

Sergio Cesaratto

Un sistema planetario dove lo stato nazionale è ridotto a guardiano degli interessi delle multinazionali. Un libro di Ernesto Screpanti

L’ultimo libro di Erne­sto Scre­panti per la Mon­thly Review Press (Glo­bal Impe­ria­lism and the Great Cri­sis – The uncer­tain future of capi­ta­lism, tra­du­zione ita­liana ordi­na­bile on line su www​.ilmio​li​bro​.it)) è assai ambi­zioso. Che negli ultimi trent’anni, crisi o non crisi, il capi­ta­li­smo abbia sov­ver­tito i rap­porti di forza fra capi­tale e lavoro mar­gi­na­liz­zando in gran parte del globo le forze del cam­bia­mento sociale è un fatto evi­dente a tutti. L’abbandono delle poli­ti­che di pieno impiego sul finire degli anni 1970 com­plici le ideo­lo­gie ultra­li­be­ri­ste alla That­cher e Rea­gan, la glo­ba­liz­za­zione con la con­cor­renza mas­sic­cia nel mer­cato del lavoro capi­ta­li­sta di cen­ti­naia di milioni di nuovi lavo­ra­tori e la caduta di ogni spe­ranza nella sfida del socia­li­smo reale sono alla base di que­sto muta­mento epo­cale. Il muta­mento dei rap­porti di forza che si era pro­gres­si­va­mente pro­dotto nei pre­ce­denti cento anni nei paesi di più antica indu­stria­liz­za­zione e cul­mi­nato nell’epoca d’oro del capi­ta­li­smo appare ora il risul­tato di cir­co­stanze non più ripe­ti­bili, almeno per molte decadi a venire. In que­sto con­te­sto Scre­panti si pro­pone di pre­fi­gu­rare quali sono le carat­te­ri­sti­che del capi­ta­li­smo nella nuova fase defi­nita dell’imperialismo globale.

 

Un potere impersonale

Il volume è arti­co­lato in sette capi­toli, più teo­rici i primi in cui l’autore util­mente col­loca il pro­prio con­tri­buto nel dibat­tito inter­na­zio­nale sull’evoluzione del capi­ta­li­smo oltre, natu­ral­mente, a cri­ti­care le tesi bene­vo­lenti nei riguardi della glo­ba­liz­za­zione. Più legati alle vicende delle recenti crisi glo­bale ed euro­pea, alle diverse stra­te­gie impe­riali e al loro con­flitto i capi­toli finali.

Quello che si sta affer­mando, secondo l’autore, è un potere imper­so­nale del capi­ta­li­smo mul­ti­na­zio­nale che sog­gioga nel nome del mer­cato glo­bale ogni spa­zio resi­duo non solo degli Stati nazio­nali, ma per­sino delle potenze impe­riali pic­cole e grandi. Tale potere imper­so­nale non può natu­ral­mente fare a meno di strut­ture di gover­nance glo­bali che assi­cu­rino l’ordine politico-sociale e monetario-finanziario oltre che il neces­sa­rio sti­molo alla domanda aggre­gata. È in que­sta dire­zione che gli Stati nazio­nali con­ti­nue­ranno a svol­gere un ruolo subor­di­nato seb­bene essen­ziale, accanto alle orga­niz­za­zioni inter­na­zio­nali (Wto, Fmi, Banca mon­diale), entrambi fun­zio­nali a quella che l’autore defi­ni­sce «sove­rei­gn­less glo­bal gover­nance» (governo glo­bale privo di una sovra­nità sta­tuale definita).

Se que­ste sono le ten­denze, il loro svol­gi­mento non è, secondo Scre­panti, lineare. In par­ti­co­lare v’è una resi­stenza degli Stati nazio­nali nel difen­dere uno spa­zio poli­tico, anche per­ché stretti fra le esi­genze di ser­vire il capi­tale glo­bale attra­verso il pro­gres­sivo sman­tel­la­mento e libe­ra­liz­za­zione delle isti­tu­zioni della epoca d’oro e quelle di man­te­nere il con­senso interno, un com­pito a cui gli Stati nazio­nali sono ancor più chia­mati nella nuova fase di ridu­zione dei diritti cer­cando di evi­tare il ricorso a misure troppo mani­fe­sta­ta­mente coer­ci­tive. Così come con­trad­dit­to­ria è la glo­ba­liz­za­zione del mer­cato del lavoro con la con­se­guente ridu­zione della quota salari sul red­dito nazio­nale e l’esigenza del soste­gno glo­bale alla domanda aggre­gata. In par­ti­co­lare Scre­panti ritiene che gli scon­tri «inter-imperialisti» cor­renti – come fra Stati Uniti, Cina, Rus­sia e Ger­ma­nia – siano il resi­duo di un pas­sato lento a morire, il segno della resi­stenza delle classi diri­genti di alcuni grandi paesi agli effetti della glo­ba­liz­za­zione e alla rinun­cia alle pro­prie ambi­zioni. Il segno del futuro non è nel con­flitto inter-imperiale o nel domi­nio di uno o più Stati, ma nell’impero del capi­tale multinazionale.

Scre­panti discute l’innovatività della pro­pria tesi rispetto alle vec­chie teo­rie nove­cen­te­sche dell’imperialismo, e l’argomenta nei quat­tro capi­toli cen­trali del libro, dove si spie­gano sia i modi con cui il grande capi­tale piega gli Stati al suo ser­vi­zio, sia le cause eco­no­mi­che della for­ma­zione e della cre­scita (in dimen­sioni e nume­ro­sità) delle grandi imprese mul­ti­na­zio­nali. I pro­cessi di disci­pli­na­mento degli Stati sono orga­nici, e pas­sano per i mer­cati delle merci, della finanza e delle coscienze (ideo­lo­gie), oltre che per gli inter­venti bel­lici con­dotti secondo il modello she­riff and posse (banda di nazioni armate gui­date dagli Stati Uniti). Le crisi stesse, com­prese quelle attuali, sono spie­gate come pro­cessi di esplo­sione delle con­trad­di­zioni stato-mercato che si risol­vono infine in azioni di disci­pli­na­mento della poli­tica da parte del grande capi­tale mul­ti­na­zio­nale indu­striale e finan­zia­rio. Il let­tore non risulta tut­ta­via pie­na­mente con­vinto non tanto della tesi dello stra­po­tere del nuovo impe­ria­li­smo del capi­tale glo­bale, quanto di come que­sto potere si coniu­ghi con i per­si­stenti scon­tri inter-imperialisti.

Scre­panti ha cer­ta­mente ragione nell’illustrare le varie ten­denze in gioco. Ciò che forse manca, ma nes­suno è ancora in grado di arti­co­larlo bene, è un qua­dro com­pleto di come que­ste forze si coniu­ghino fra di loro: da un lato il capi­tale glo­bale con la sua ten­denza a spaz­zare via i retaggi nazio­nali (oppor­tu­na­mente la cita­zione di aper­tura è dal Mani­fe­stodel par­tito comu­ni­sta del 1848), e dall’altro il per­si­stente ruolo delle potenze impe­riali. Quella che può appa­rire come una carenza è però anche uno sti­molo a un’ulteriore rifles­sione su una tema­tica, l’intreccio Stato-mercato nell’epoca del capi­ta­li­smo glo­bale, asso­lu­ta­mente decisiva.

 

Tra locale e globale

Scre­panti dedica poche pagine finali alla for­ma­zione di un pro­le­ta­riato glo­bale che potrà nel lungo periodo met­tere in crisi il capi­ta­li­smo. Ces­se­ranno infatti, secondo l’autore, le con­trad­di­zioni fra i pro­le­ta­riati del sud e del nord men­tre viene meno la pro­spet­tiva del com­pro­messo rifor­mi­sta, con i par­titi social­de­mo­cra­tici costretti a porsi al ser­vi­zio del grande capi­tale se vogliono man­te­nere il potere. Non ces­serà tut­ta­via, anzi sarà nel lungo periodo esa­cer­bata, la con­trad­di­zione fra un pro­le­ta­riato pro­gres­si­va­mente più impo­ve­rito e sfrut­tato e il capi­tale globale.

Non v’è dub­bio che le ten­denze messe in luce da Scre­panti ven­di­chino le pre­vi­sioni del Mani­fe­sto del 1848. Con­tra­ria­mente alle attese di Marx ed Engels, tut­ta­via, le lotte ope­raie nei due secoli pas­sati hanno sem­pre avuto un respiro nazio­nale più che inter­na­zio­na­li­sta. Pro­prio lo Stato nazio­nale – per cui si sono spesso bat­tuti i movi­menti socia­li­sti indi­pen­den­ti­sti – ha costi­tuito il ter­reno non solo unico, ma ideale, per un effet­tivo avan­za­mento sociale. Oggi come allora, tut­ta­via, il capi­tale glo­bale non potrà com­ple­ta­mente fare a meno degli imperi nazio­nali, men­tre le masse popo­lari non potranno fare a meno del ter­reno dello Stato nazio­nale per difen­dere o rigua­da­gnare le pro­prie con­qui­ste. Oggi come allora l’idea che il pro­le­ta­riato non ha nazione potrebbe rive­larsi molto pre­ma­tura. Ma Scre­panti la pensa diver­sa­mente e ritiene con Marx che nel futuro solo la for­ma­zione di un sog­getto rivo­lu­zio­na­rio inter­na­zio­nale potrà con­tra­stare lo stra­po­tere del capi­tale globale.

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