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coordinamenta

“Armadi”

di Elisabetta Teghil

Oggi viviamo una situazione storica molto diversa da quelle che ci hanno preceduto, viviamo in una stagione di passaggio nella quale si svolge una guerra senza esclusione di colpi per determinare i nuovi assetti geopolitici e le relative gerarchie.

Le multinazionali sono all’offensiva con l’utilizzo degli Stati e, quando serve, by-passandoli.

Questo in Italia ha comportato la rottura del blocco sociale che ha guidato nel dopoguerra questo paese. E’ nata un’iper-borghesia o borghesia transnazionale che si è auto promossa a novella aristocrazia relegando tutti gli altri segmenti della borghesia ad un ruolo di servizio.

Pertanto, il lessico politico dentro questo processo di trasformazione delle filiere del comando è cambiato completamente.

Per prendere posizione all’interno del passaggio storico nel quale viviamo serve più che mai la passione per la libertà politica e l’amore per la giustizia sociale.

Disoccupazione, precarietà, povertà, costruiscono la trama del modello liberista, i ricchi e le ricche divengono sempre più ricchi/e e i poveri/e sempre di più e sempre più poveri.

I grandi temi riformisti quelli, per intenderci, dello stato sociale, del pensionamento universale, della sanità pubblica, della contrattualità nazionale…sono stati rimossi. Lo spessore di questa scelta spinge le strutture statali verso politiche di repressione e verso pulsioni securitarie tanto più forti quanto più profondo è il disagio .

In questa situazione il pericolo repressivo si presenta con particolare forza, collocandosi nella ricomposizione del blocco di potere. Un programma alternativo a questo progetto si può incardinare intorno alla possibilità / capacità del movimento di esprimersi a tutto campo sottraendosi alle provocazioni giudiziarie e rispedendo al mittente, cioè al potere, la demagogia che promuove la guerra fra i poveri, tanto più che lo scontro tra le multinazionali e i rispettivi governi oggi si manifesta sempre di più come produzione di guerra intesa nel senso più compiuto del termine, che vede lo stato del capitale, gli Usa , all’offensiva.

Per realizzarsi compiutamente il neoliberismo ha bisogno , non solo di controllare tutta la popolazione, ma anche di controllare la nostra intera esistenza. Non è più solo di determinazioni gerarchizzate, ma la posta in gioco riguarda il modo stesso di vita e le modalità di dipanarla. Ci troviamo di fronte ad un cambiamento del lessico politico e questo è un processo reale nel corso del quale vengono liquidate alcune fondamentali categorie politiche, prime fra tutte patriarcato e classe

Il neoliberismo è guerra che ci viene imposta ed investe la vita di tutti/e. Non è possibile sottrarsi a questo scenario cupo senza pensare ad una rivoluzione continua, nel quotidiano, che coinvolga tutti gli strati, gli ambienti, i ceti, i generi che si oppongono a questa prospettiva mortifera. In tutti gli attimi della nostra vita la scelta è tra rimanere in questa società o uscirne. Anche nelle azioni più spicciole chiediamoci se vogliamo rimanere qui dentro o uscirne. La libertà è una tensione ideale che ci dovrebbe accompagnare sempre proprio perché mai come in questo momento patriarcato e neoliberismo lavorano profondamente aggredendo ogni aspetto della nostra vita.

La scommessa è di capire chi a tutto questo si oppone e chi tutto questo promuove o di questo si fa complice magari per convenienza, tornaconto personale, promozione sociale.

Abbiamo bisogno di un progetto all’altezza del momento, capace di esprimere una libertà da tutti i punti di vista, libertà di produzione, libertà di pensiero, una libertà compiuta e, perché no, ricca.

Il femminismo va fortemente ancorato alla possibilità. Un altro mondo è possibile, spetta a noi intrecciare l’orizzonte del desiderio e quello della possibilità. E’ questa dimensione materialistica e immanentistica che fa sì che il femminismo sia attivo e attuale in questa stagione e perciò come strategia del possibile.

Il femminismo è un processo rivoluzionario, è la capacità di sconvolgere questo mondo e di immaginarne uno nuovo.

C’è la necessità di un progetto che rompa definitivamente con lo scheletro del capitale e del patriarcato che le riformiste e le socialdemocratiche hanno sempre conservato nei loro armadi.

Oggi il problema non è più quello della liberazione, bensì quello della libertà. La libertà è un fondamento materiale, così come l’hanno creato le lotte, è lavoro vivo, produzione di soggettività, è antagonismo che si presenta davanti alla sussunzione reale che il capitale e il patriarcato ha prodotto rispetto a questa società.

E’ ribellione nel senso onnicomprensivo del termine.

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