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manifesto

Hyman Minsky, il profeta della miseria in mezzo all’opulenza

Daniele Archibugi

«Combattere la povertà» di Hyman Minsky. Ediesse riporta all'attenzione le teorie dell'economista che consigliava ai governi «il lavoro per tutti»

Ci sono due modi per com­bat­tere la povertà. Il primo è elar­gire sus­sidi che con­sen­tano agli indi­genti di far fronte ai loro biso­gni più impel­lenti. Il secondo è di tro­vare lavoro per tutti, in maniera che ogni fami­glia possa prov­ve­dere alle pro­prie esi­genze tra­mite i salari gua­da­gnati. Il primo modo sca­tu­ri­sce dalla carità e ha gene­rato molte delle isti­tu­zioni dello stato assi­sten­ziale. Il secondo ha invece con­dotto alle poli­ti­che attive del lavoro e spesso alla diretta crea­zione di impiego da parte del governo.

Hyman Min­sky è stato uno degli oppo­si­tori del primo modo ed un soste­ni­tore appas­sio­nato del secondo. Allievo di Schum­pe­ter ad Har­vard, attento osser­va­tore delle poli­ti­che del New Deal, eco­no­mi­sta key­ne­siano di ele­zione, fu un influente con­si­gliere, anche se ina­scol­tato, dei governi demo­cra­tici ame­ri­cani. Fu tra i primi a rile­vare, spesso osses­si­va­mente, la fra­gi­lità dei sistemi finan­ziari dell’economia capi­ta­li­stica ed i peri­coli con­nessi ad un ecces­sivo inde­bi­ta­mento delle ban­che e delle imprese.

Ini­ziava le sue con­fe­renze con una affer­ma­zione iet­ta­to­ria: «l’avvenimento eco­no­mico più signi­fi­ca­tivo dell’epoca suc­ces­siva alla seconda guerra mon­diale è qual­cosa che non è acca­duto: non vi è stata una depres­sione pro­fonda e dura­tura ana­loga alla grande crisi del 1929». Chi lo udiva faceva spesso gli scon­giuri sotto la sedia, ma poi apprez­zava un ragio­na­mento ser­rato in cui erano elen­cati i peri­coli con­nessi all’instabilità finan­zia­ria e le azioni neces­sa­rie per porvi rime­dio. Né governi e ancor meno le ban­che cen­trali gli die­dero retta.
Scom­parso nel 1996, non ebbe modo di vedere avve­rata, nel 2008, la sua tri­ste pro­fe­zia, e pro­prio per le ragioni che lui aveva illu­strato. Wall Street e City, Washing­ton e Fran­co­forte hanno ini­ziato solo dopo la cata­strofe a pren­dere sul serio le sue idee, tanto che il New Yor­ker ha defi­nito cau­sti­ca­mente que­sta postuma aurea il «Min­sky moment».

Oggi il Levy Eco­no­mic Insti­tute di New York ci offre un’altra serie di scritti dedi­cati alle poli­ti­che del pieno impiego (Hyman Min­sky, Com­bat­tere la povertà. Lavoro non assi­stenza, tra­du­zione ita­liana Ediesse, euro 15). È in un periodo di soste­nuto svi­luppo eco­no­mico, nel quale gli Stati Uniti erano la loco­mo­tiva dello svi­luppo capi­ta­li­sta, che Min­sky ela­bora le sue idee sul lavoro. Nono­stante tassi di cre­scita che a con­fronto della sta­gna­zione odierna sem­brano ver­ti­gi­nosi, lui vedeva già uno dei para­dossi del nostro tempo, ossia la mise­ria nel mezzo dell’opulenza. Erano pro­blemi su cui i Pre­si­denti Ken­nedy e John­son «met­te­vano la fac­cia», si direbbe oggi, tra­mite vasti pro­grammi di poli­tica eco­no­mica e sociale. Ciò avrebbe con­sen­tito di ridurre ulte­rior­mente la disoc­cu­pa­zione per por­tarla alla sola com­po­nente fri­zio­nale. Dall’altra, la «grande società» avrebbe agito per soste­nere quanti non riu­sci­vano ad aggan­ciarsi al carro della crescita.

La società del benes­sere, soste­neva invece Min­sky, non si poteva creare esclu­si­va­mente tra­mite poli­ti­che di assi­stenza. Il soc­corso for­nito ai disoc­cu­pati poteva aiu­tare nel breve periodo, ma lasciare migliaia di gio­vani, spesso di colore, al di fuori del mer­cato del lavoro signi­fi­cava distrug­gere pre­ziose risorse umane. Senza impiego, que­sti ragazzi non avreb­bero avuto un biglietto d’ingresso per la vita civile. Ma sareb­bero stati scon­ten­tati anche coloro che, con le pro­prie tasse, avreb­bero dovuto man­te­nerli per non far niente.

Min­sky rite­neva neces­sa­rio aggre­dire la com­po­nente strut­tu­rale della disoc­cu­pa­zione, alla ori­gine del disa­gio e del con­flitto sociale. Il governo doveva essere più audace, gene­rando diret­ta­mente quei posti di lavoro che il mer­cato non era in grado di creare. Da qui l’idea che il governo dovesse diven­tare «datore di lavoro di ultima istanza». L’idea di Min­sky era di creare un eser­cito indu­striale di riserva pronto ad entrare in azione nei periodi di crisi per pro­grammi di infra­strut­ture sociali e ambien­tali, che poi potesse essere rias­sor­bito dal mer­cato nei periodi di espansione.

Nel 1933 furono eletti Adolf Hitler e Frank­lin Roo­se­velt con un unico punto in comune: la crea­zione diretta di occu­pa­zione. Ciò dimo­strava che non erano solo i governi auto­ri­tari che pote­vano creare lavoro, lo dove­vano fare anche quelli libe­rali, e chi fal­liva rischiava di aprire la porta a incon­trol­la­bili tor­bidi sociali. Assi­mi­lata la lezione, durante la seconda guerra mon­diale si svi­lup­pa­rono anche in Europa pro­getti per assi­cu­rare la piena occu­pa­zione, come quelli di Wil­liam Beve­ridge in Gran Bre­ta­gna e di Erne­sto Rossi in Ita­lia. Il primo pero­rava la sua causa alla Camera dei Lord, men­tre il secondo scri­veva di nasco­sto nel con­fino di Ventotene.

La per­si­stenza della crisi eco­no­mica non con­sente di dimen­ti­care que­sta tra­di­zione, ricor­dano Ric­cardo Bel­lo­fiore e Laura Pen­nac­chi nell’introduzione al volume. L’intervento pub­blico, utile a tem­pe­rare le fasi espan­sive del ciclo eco­no­mico, diventa vitale per impe­dire che la reces­sione si tra­sformi in sta­gna­zione. L’amministrazione Obama ha tratto inse­gna­mento dalle poli­ti­che eco­no­mi­che delle ammi­ni­stra­zioni demo­cra­ti­che di pre­si­denti come Roo­se­velt, Ken­nedy e Clin­ton, men­tre l’Europa si è sco­perta peri­co­lo­sa­mente pre-keynesiana, ridu­cendo la spesa gover­na­tiva e sman­tel­lando le imprese pub­bli­che quando ce n’era più biso­gno, senza per altro otte­nere alcun effetto posi­tivo sul debito pubblico.

Ma soprat­tutto, si sono bru­ciate le risorse umane delle nuove gene­ra­zioni, spesso ada­giate sui sus­sidi e abi­tuate a vivac­chiare in una zona gri­gia spesso domi­nata da ozii e vizi. Per un quarto di secolo, Min­sky inse­gnò alla Washing­ton Uni­ver­sity di Saint-Louis, una effi­ciente isti­tu­zione pri­vata a soli quin­dici minuti da Fer­gu­son, cit­ta­dina dove il 17% della popo­la­zione, in gran parte di colore, vive sotto la soglia della povertà. Min­sky sapeva di cosa par­lava: se fosse stato ascol­tato dal governo, forse non ci sareb­bero più ghetti negli Stati Uniti. Oggi ram­menta all’Europa che senza lavoro per tutti i nostri sistemi poli­tici rischiano di franare.

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