Print Friendly, PDF & Email
huffington post

Sabella nella giunta Marino-bis?

Prima ci spieghi Bolzaneto e Diaz

Andrea Ranieri

La fiducia nella legalità e nelle istituzioni destinate a tutelarla e a promuoverla è oggi minata da due fattori diversi. Il primo è indubbiamente la corruzione e il malaffare, anche di stampo mafioso, che si insinua nelle Istituzioni democratiche trovando lì complicità ed appoggi interessati (il caso romano ne è l'esempio più clamoroso, non certo l'unico); il secondo è l'impunità di cui godono le forze dell'ordine e gli apparati dello Stato quando sono esse stesse a violare la legge, commettendo violenza ingiustificata verso cittadini inermi, ancora più grave quando questi cittadini sono privati della libertà personale, e posti sotto la vigilanza e la tutela dell'Amministrazione Carceraria.

È quest'ultima una ferita non risanata che mina la fiducia di gran parte delle giovani generazioni, e non solo, nella giustizia e negli strumenti preposti a farla valere. La commozione e la mobilitazione conseguente ai casi di Aldrovandi e di Cucchi, ne sono la testimonianza più recente. Ma la ferita più grande è quella che fu inferta a centinaia di giovani a Genova nel 2001 durante il G8, all'interno delle aule della Diaza e nella caserma di Bolzaneto trasformata in carcere. Una ferita ancora oggi viva nella testa e nel cuore di migliaia di persone, che l'hanno vissuta direttamente o se la sono vista davanti nelle immagini agghiaccianti del film di Viccari "Diaz", che di quei fatti è una ricostruzione assolutamente fedele.

Alfonso Sabella, l'attuale assessore alla legalità del Comune di Roma, è un magistrato che si è fatto onore nella lotta contro la mafia. Ma Alfonso Sabella era anche il "coordinatore dell'organizzazione, dell'operatività e del controllo su tutte le attività dell'amministrazione penitenziaria in occasione del G8 di Genova". Anche, e soprattutto, di quelle che si svolsero a Bolzaneto. E in quell'occasione il suo comportamento non fu certo esemplare.

Lo si rileva dallo stesso decreto di archiviazione emesso dal Tribunale di Genova, nel quale pur escludendo il dolo, che deriverebbe dalla prova della sua presenza diretta mentre venivano posti in essere le azioni di più efferata violenza, considera il suo comportamento "gravemente colposo", pur non essendo perseguibile in sede penale. Rinvia la sentenza di archiviazione ad altre sedi possibili dove valutare la congruità dei comportamenti rispetto alla posizione rivestita e prendere le eventuali misure disciplinari. Come è noto quelle sedi non furono attivate per nessuno dei coinvolti in quei fatti o che avevano la possibilità di impedirli. Sono ancora tutti in servizio, alcuni promossi a incarichi più alti. Il capo della polizia di allora fa il Presidente di Finmeccanica.

Sabella vide, lo ammette lui stesso, i detenuti, molti dei quali feriti, costretti in piedi, con le gambe divaricate e la faccia contro il muro. Ne chiese conto, ma prese per buone le incredibili giustificazioni del responsabile della Polizia Penitenziaria, che li tenevano così per tenere separati "eventuali gruppi tra loro contrapposti e dividere gli uomini dalle donne". Sabella si limitò a dire che non dovevano essere tenuti in quella posizione per più di 15 minuti. Come è noto i minuti furono di più, e quella posizione eccitò, risulta dal processo, gli istinti peggiori delle guardie e dei poliziotti, che li colpivano coi manganelli per far divaricare le gambe e sbattevano le loro teste contro i muri.

Ma la sentenza di archiviazione non si risparmia nemmano qualche notazione psicologica su Sabella, quando spiega ad esempio perché non rivelò i pericoli di "vessazione" degli arrestati al Ministro Castelli in visita a Bolzaneto. "Si deve considerare infatti che il Ministro era in visita in quelle ore per portare sostegno e solidarietà alle Forze dell'ordine, sicchè il contesto non si prestava all'esercizio dei poteri di controllo e a Sabella poteva sembrar fuori luogo richiamare in quella sede i propri uomini al rispetto degli ordini ricevuti". Compreso quello di non superare il quarto d'ora.

La nomina di Sabella ad assessore alla legalità nel Comune di Roma può sembrare un ulteriore invito a mettere tra parentesi quei fatti e quella ferita, nella convinzione illusoria che sia l'oblio a risanare i mali. Del resto lo stesso Sabella quei fatti li rimuove dalla sua scintillante autobiografia in cui narra i suoi successi nella lotta contro la mafia.

Ma l'oblio non cura niente, anzi riproduce le stesse ferite. Sarebbe bene che Sabella, nell'accettare un incarico politico così impegnativo, provasse a spiegare a noi tutti e a se stesso, per quali meccanismi mentali, per quali condizionamenti, un servitore delle Stato possa venire meno ai suoi doveri di responsabilità verso uomini e donne indifesi che dovrebbe prioritariamente - prima dei suoi sottoposti, prima dei suoi sovraposti politici - essere chiamato a tutelare e a rispettare. Perché quei fatti non si ripetano. Per fare più serenamente anche il suo nuovo lavoro.

Add comment

Submit