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dinamopress

Perché tutti questi incidenti sulle navi

di Sergio Bologna*

Ancora una tragedia su una nave traghetto. Su queste navi, che trasportano quotidianamente migliaia di passeggeri, l’incidentalità è la più elevata rispetto alle altre tipologie di naviglio. I progressi della tecnica di costruzione in questi ultimi anni sono stati notevoli: nel risparmio di carburante, nella tenuta in mare, nella sicurezza in generale.

Ma anche la nave dotata delle più sofisticate tecnologie può diventare insicura se viene gestita in maniera sbagliata e se nelle operazioni portuali non vengono rispettate certe regole. Come sempre, è la deregulation del lavoro la causa della maggior parte degli incidenti. Non sappiamo ancora quali sono state le cause che hanno provocato l’incendio sulla Norman Atlantic: una nave ispezionata il 19 dicembre 2014 e trovata in ordine, una nave costruita nel 2009, quindi giovanissima rispetto a una flotta mondiale che nel settore dei traghetti vede in esercizio navi con un’età media di vent’anni.

È emerso che qualcosa nelle operazioni d’imbarco non era proprio in ordine, si sono trovati dei clandestini, non si sa quante persone erano a bordo. Purtroppo questa è la normalità, soprattutto nei collegamenti tra paesi del basso Adriatico, che è una via della droga e del contrabbando di uomini e altro. Inoltre, nei traghetti si sposano due mercati del lavoro tradizionalmente soggetti al rispetto molto ”disinvolto” delle regole: quello dell’autotrasporto e quello marittimo-portuale.

I traghetti sono di due tipi: quelli misti, passeggeri e merci, chiamati ro-pax, e quelli tuttomerci. La stiva di ambedue è occupata da veicoli. Una delle principali cause d’incidenti si verifica quando i veicoli, soprattutto i veicoli pesanti, i camion, non vengono bene agganciati al pavimento della stiva (il cosiddetto “rizzaggio”). Questo perché, in caso di forte moto ondoso, i camion si spostano e la nave rischia di ribaltarsi.

Su chi debba effettuare l’operazione di rizzaggio e su chi debba effettuare le operazioni di imbarcare e sbarcare i mezzi pesanti (si tratta in genere di semirimorchi o di camion con autista) c’è diversità di opinioni. Gli armatori sostengono che queste cose le possono fare gli stessi uomini dell’equipaggio (la cosiddetta “autoproduzione”). Certo, risparmiano sui costi portuali e la legge purtroppo glielo consente. È a discrezione del presidente dell’autorità portuale concedere o meno l’autoproduzione.

Altri sostengono che deve essere la manodopera portuale specializzata a sbarcare e imbarcare i camion e a provvedere alla loro messa in sicurezza; perché gli uomini dell’equipaggio, durante la sosta della nave in porto, hanno molte altre cose da fare: dalla manutenzione al controllo dell’identità dei passeggeri. Il grande pubblico viene tenuto all’oscuro, ma non sono rari gli incidenti mortali nella fase d’imbarco o sbarco di veicoli pesanti dovuti a fretta o inesperienza o, addirittura, com’è accaduto a Brindisi, all’utilizzo di forza lavoro irregolare. E ciò che suscita scandalo è che il ricorso a queste pratiche non viene fatto soltanto da armatori borderline ma anche da società armatoriali di fama, alle quali – come si dice – è legata l’immagine del nostro paese nel mondo.

Altre due cause d’incidenti sono la difettosa chiusura del portellone e la falsa dichiarazione sul tipo di merce trasportata sui camion (per esempio, merce pericolosa dichiarata come normale).

Nel primo caso, la nave imbarca acqua, soprattutto in condizioni di mare avverso, e può affondare. Nel secondo caso, purtroppo assai frequente nelle navi portacontainer, la merce pericolosa, per esempio sostanze infiammabili, non dichiarata o dichiarata normale, può provocare incendi ed esplosioni; com’è avvenuto alla Msc Flaminia in mezzo all’Atlantico nel 2013.

L’incendio sulla Norman Atlantic potrebbe aver avuto la stessa dinamica? I camionisti scomparsi che cosa trasportavano? La dogana greca ha fatto il suo dovere? Questa tragedia può forse servire d’insegnamento, ne tengano conto coloro che stanno lavorando all’imminente legge di riforma dei porti. Si vieti una volta per tutte l’autoproduzione nei porti italiani.

Durante la sosta in porto gli equipaggi delle navi traghetto e delle navi RoRo devono pensare alla manutenzione, al controllo dell’efficienza degli strumenti, debbono pensare al controllo dei passeggeri e della merce, e basta. A caricare e scaricare i camion e a metterli in sicurezza ci pensino i portuali, è il loro mestiere, vengono pagati per questo, sono stati preparati a questo.

* articolo pubblicato su internazionale.it Sergio Bologna ha insegnato storia del movimento operaio e della società industriale in Italia e all’estero. È autore, tra gli altri, dei libri Le multinazionali del mare (Egea Editore 2010), Vita da free lance, con D. Banfi (Feltrinelli 2011) e Banche e crisi (Deriveapprodi 2013).

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