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huffington post

I pesanti compromessi di Super Mario

di Alfonso Gianni

Alla fine, ma non senza pesanti compromessi, Mario Draghi ce l'ha fatta a piegare la opposizione della Bundesbank. Basta leggere i titoli dei più popolari giornali in Germania per capire che i tedeschi non l'hanno presa affatto bene e che fanno del puro terrorismo attorno alla fine che faranno i risparmi dei cittadini di quel paese. L'importo su cui si articola il Quantitative easing supera i mille miliardi (1.140 fino a settembre 2016), un po' più del doppio di quello che si prevedeva alla vigilia. Se la guardiamo da questo punto di vista l'autorevolezza di Mario Draghi ne esce rafforzata in tutti i sensi. Dopo il declino di Balottelli il titolo di Super Mario è solo appannaggio di Draghi.

Ma i "ma" non mancano e il trionfalismo si smorza subito quando si guarda più da vicino la manovra. Innanzitutto, proprio come Draghi ci ha ripetuto più volte, dal momento che la politica monetaria non può tutto, non è affatto detto che l'inondazione di centinaia di miliardi di euro attraverso l'acquisto dei titoli di stato, al ritmo di quasi 60 miliardi al mese per 19 mesi, sia sufficiente a rilanciare l'economia e alzare l'inflazione attorno al 2% (l'obiettivo principale dell'attuale mission della Bce).

Se non si innesta un nuovo modello di sviluppo, basato su investimenti in settori innovativi, rispettosi dell'ambiente e della condizione sociale delle persone, non è affatto detto che il cavallo beva. Dati i contenuti delle politiche economiche nei principali paesi c'è poco da sperare che questo avvenga. A meno che la vittoria di Tsipras in Grecia non innesti una spirale positiva e un rapido contagio negli altri paesi, a partire da quelli mediterranei. In Italia ci vorrebbe però tutt'altro governo e tutt'altra politica e come ognuno vede non ve ne sono le condizioni né allo stato attuale né per un bel po'. Dalla trappola al trappolone della liquidità. Questo potrebbe essere lo scenario negativo tutt'altro che improbabile.

In secondo luogo la vittoria di Draghi è viziata da un compromesso pesante. Il risk-sharing, la condivisione del rischio, peserà per l'80% sulle banche nazionali e per il 20% sulla Bce. Siamo lontani da una vera europeizzazione del rischio. Il rischio di insolvenza rimane per la grande parte in ambito nazionale. Ne emerge un messaggio assai poco tranquillizzante e cioè che il rischio di default sia considerato realistico e pesante per diversi paesi, i mediterranei in primis, compresa ovviamente l'Italia. In sostanza la Bundesbank, come osserva Fubini su la Repubblica "è riuscita a segregare tutti i bond sovrani più vulnerabili entro le rispettive banche centrali".

In terzo luogo la Bce si è lavata le mani per quanto riguarda la gestione dei titoli di stato più delicati. Il problema dell'acquisto dei titoli greci è stato per ora aggirato, si dice per non influire sul corso delle elezioni greche. In generale dovrebbero essere acquistati solo titoli investment grade, cioè quelli a minore rischio per gli investitori. Se questa regola dovesse venire applicata rigorosamente, risulterebbero esclusi dall'acquisto sia i titoli ciprioti che quelli greci. Se venisse accordata una deroga, già si prevede che questa avrebbe un costo non indifferente, perché verrebbe concessa solo a fronte dell'implementazione di un programma economico concordato da questi paesi con le autorità europee. Il cane si mangerebbe la coda. Proprio quello che giustamente Tsipras ha escluso di volere fare.

Per la Grecia le modalità con cui è stato deciso il Quantitative easing sono particolarmente penalizzanti, proprio perché Draghi ha chiarito che la Bce non acquisterà più del 33% dei titoli da un singolo emittente. Visto che un acquisto era già stato fatto, la Banca centrale europea non avrà spazio di acquistare prima di luglio una nuova tranche di titoli greci. Per il paese ellenico e il suo nuovo governo, anche di fronte alle nuove misure della Bce, la strada si presenta in salita e tutto lascia pensare che ciò non avvenga a caso.

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