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La prova del nove del riformismo radicale

di Militant

Il primo dato evidente emerso dalla tornata elettorale greca è il rifiuto della popolazione ellenica dell’Unione Europea. Sia stato espresso appoggiando le forze progressiste come Syriza, quelle “rivoluzionarie” come il KKE, oppure le forze populiste e/o reazionarie quali Anel o Alba Dorata, oppure ancora non andando a votare, più del 50% dei cittadini greci ha espresso un netto ed epocale rifiuto per le politiche liberiste della UE. Un fatto decisivo, che per la prima volta rompe il fronte consensuale dell’europeismo liberista, mette in crisi una visione del mondo, quella egemone che vuole solo all’interno dei confini politici ed economici europeisti la possibilità del proprio sviluppo produttivo, sociale e compatibile con la democrazia. Le elezioni greche aprono una breccia potenzialmente deflagrante, che sarebbe sbagliato non cogliere nella sua interezza. Il partito vincitore, Syriza, non è certo un’avanguardia rivoluzionaria, e anzi nel tempo ha provveduto a moderare notevolmente le proprie posizioni politiche, ma cadremmo in errore se leggessimo la situazione nel suo complesso unicamente dal lato del programma elettorale di Tsipras & soci.

In forma alienata o meno, i lavoratori greci chiedono di frenare le politiche UE, il liberismo quale unico modello economico-sociale, possibilmente di uscire direttamente dalle maglie europeiste, o quantomeno rinegoziare radicalmente il rapporto di sudditanza tra singoli paesi e centro capitalista. Una sfida immane, che probabilmente non potrà essere colta dal partito vincitore, ma che apre spazi inimmaginabili per le forze che saranno capaci di cogliere l’occasione.

Syriza ha già provveduto ad un’alleanza tattica col partito della destra anti-euro Anel. Una mossa interessante e tutta da valutare. Dipende dall’obiettivo che Syriza si sta ponendo ora che ha raggiunto il potere politico: se il tutto si risolverà in un accordo con Francoforte e Bruxelles di revisione delle politiche debitorie sarebbe un passo in avanti non decisivo ma che potrebbe generare contraddizioni insanabili al processo politico europeista. Se tali concessioni avvenissero per la Grecia a quel punto dovrebbero valere per gli altri Stati “deboli”, e le forze politiche che più coerentemente dovessero chiedere una revisione radicale delle politiche economiche della UE non potrebbero più essere descritte come populiste e anti-storiche, e di conseguenza potrebbero aumentare la propria rilevanza quantomeno elettorale. A quel punto il processo a catena potrebbe avere sviluppi non prevedibili ma potenzialmente fecondi.

Difficilmente Syriza avrà la forza, la possibilità e anche la volontà di “andare più in là” di una rinegoziazione del debito. Per questo servirebbe una ripresa del conflitto sociale non più gestibile, che obbligherebbe il partito della sinistra radicale a scendere a patti non solo con chi governa le redini della UE, ma anche – e forse soprattutto – con chi porta avanti le lotte di classe. Una tensione che però sta tutta nella mani di chi non ha appoggiato Syriza da sinistra, che oggi ha davanti a sé una grande e forse irripetibile occasione: poter influenzare il potere politico, spostare i rapporti di forze, scenario questo tramontato da più di un trentennio nell’Europa occidentale.

E’ per queste ragioni che Tsipras è importante ma non decisivo, e che non può essere valutato puntando tutto sulle proprie capacità di negoziazione e sulla sua volontà di rompere uno schema politico-economico incrostato. La palla, da oggi, passa alla capacità conflittuale dei movimenti greci nel loro complesso. Un’occasione storica, che andrebbe vagliata senza dannosi settarismi o, all’opposto, credendo che una vittoria elettorale possa di per sé significare qualcosa di più di uno spazio di manovra che si è aperto. Siamo davanti alla prova del nove per la sinistra radicale riformista: un fallimento di questo scenario potrebbe decretare la fine di ogni possibile tentativo di dare uno sbocco a sinistra delle rivendicazioni anti-UE, favorendo al contempo la possibilità che quel campo venga occupato stabilmente dalle forze reazionarie.

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