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Una crisi esclusivamente politica

(che la Grecia non può risolvere)

di Daniele Busi

Cercate di seguirmi in questo ragionamento sequenziale.

In Europa non ci sono stati recenti cataclismi, le risorse naturali non mancano, la ricerca scientifica e tecnologica avanzano e le potenzialità di sviluppo offerte dal sistema produttivo crescono di anno in anno (si vedano le nuove frontiere in ambito biomedico e informatico, ad esempio). Quindi:

 

1)     Non c’è alcuna ragione naturale a causa della quale l’Eurozona potrebbe trovarsi in crisi.

Tuttavia l’Eurozona è in crisi, ed è in crisi per un unico motivo:

Il deficit pubblico dei Paesi dell’Eurozona è troppo basso, quindi dilaga la disoccupazione.

(Qui una spiegazione più dettagliata)

Ma dalla lezione di Warren Mosler (e di Friedrich Knapp) apprendiamo che l’emissione monetaria è una semplice registrazione contabile che non comporta nessuna “privazione” da parte dell’emettitore, e non necessita dell’accantonamento di alcuna “risorsa” (o forma di risparmio) per essere effettuata.

La moneta, cioè, è un semplice codice per l’emettitore: viene creata dal nulla, così come si creano dal nulla i numeri nei computer. Non possono mancare i soldi. Quindi:

 

2)     Non c’è alcuna ragione tecnica a causa della quale l’Eurozona potrebbe trovarsi in crisi.

Ma allora:

 

3)     Esistono esclusivamente ragioni politiche in grado di spiegare la stante crisi europea.

Il deficit pubblico dei Paesi dell’Eurozona è troppo basso per soli motivi politici.

 

Arriviamo quindi ad analizzare i rapporti di forza in gioco.

Abbiamo da una parte una larga e disgregata fetta della società che non ha alcun interesse nel perdurare dell’austerità (cioè dei deficit troppo bassi), e dall’altra una piccola ma organizzata conglomerazione di centri d’imputazione d’interesse che dall’austerità hanno solo da guadagnare. Mi spiego.

L’austerità, cioè l’aumento delle tasse e la diminuzione della spesa pubblica, “distrugge la domanda interna” (M. Monti), pertanto uccide tutte quelle aziende che vivono di mercato interno, insieme ai loro dipendenti. Tuttavia, non tocca la domanda estera, quella su cui vivono le aziende esportatrici. Queste ultime nel mercato interno hanno solo i costi, cioè i salari, mentre tutto il fatturato lo ricavano dal mercato estero. Ad esse, chiaramente, l’austerità conviene, poiché abbassa loro i costi lasciando invariato il fatturato.

Ecco che quindi abbiamo lobbies come l’ERT (European Round Table of Industrialists), che portano al cospetto della Commissione Europea e dei Governi nazionali le proprie richieste e ricette economiche. Tali ricette trovano ampio spazio nei media e successivamente, data l’evidente disponibilità convenienza personale che il politico trova nello schierarsi con il più forte, trovano immediata attuazione legale nelle cosiddette “riforme strutturali” del “mercato del lavoro”.

Abbiamo quindi una crisi causata unicamente dalle decisioni di politica economica dei Governi europei, i quali, sotto pressante consiglio delle lobby esportatrici, hanno imposto nel corso del tempo alle proprie nazioni dei vincoli artificiali creati ad hoc (Maastricht, Fiscal Compact, Pareggio di bilancio ecc.), che impedissero l’espansione naturale dei deficit, e portassero alla disoccupazione di massa in Eurozona.

Il tutto (sofferenza, disperazione, fame e paura comprese) provocato per scelta politica.

Un breve commento sulla strategia di negoziazione del governo Tsipras: come si può pensare che 18 governi affiliati alle lobby esportatrici acconsentano ad un cambiamento radicale di rotta europeo, contravvenendo a tutte le mosse elaborate in precedenza? Come si può prendere (e perdere) tempo sperando in un allentamento di vincoli politici così forti? Perché si pensa di avere tutto questo tempo a disposizione?

Forse nel governo greco la speranza è l’ultima a morire, perché prima muoiono i poveri cristi.

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