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marx xxi

Libia, ritorno di fiamma

di Manlio Dinucci

L’attacco terroristico in Tunisia, che ha mietuto anche vittime italiane, è strettamente collegato alla caotica situazione della Libia, si sottolinea negli ambienti governativi e sui media. Ci si dimentica però del fatto che il caos in Libia è stato provocato dalla guerra Nato che, esattamente quattro anni fa, ha demolito lo Stato libico.

Il 19 marzo 2011 iniziava il bombardamento aeronavale della Libia: in sette mesi, l’aviazione Usa/Nato effettuava 10mila missioni di attacco, con oltre 40mila bombe e missili. Contemporaneamente, venivano finanziati e armati i settori tribali ostili al governo di Tripoli e anche gruppi islamici fino a pochi mesi prima definiti terroristi. Venivano infiltrate in Libia anche forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani. A questa guerra, sotto comando Usa tramite la Nato, partecipava l’Italia con le sue basi e forze militari.

Molteplici fattori rendevano la Libia importante per gli interessi statunitensi ed europei. Le riserve petrolifere – le maggiori dell’Africa, preziose per l’alta qualità e il basso costo di estrazione – e quelle di gas naturale, che rimanevano sotto il controllo dello Stato libico che concedeva alle compagnie straniere ristretti margini di guadagno.

I fondi sovrani, ammontanti a circa 200 miliardi di dollari (spariti dopo essere stati confiscati), che lo Stato libico aveva investito all’estero e che in Africa avevano permesso di creare i primi organismi finanziari autonomi dell’Unione africana. La stessa posizione geografica della Libia. all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente.

Sono stati dunque gli Usa e i maggiori alleati Nato, come già ampiamente documentato, a finanziare, armare e addestrare in Libia nel 2011 gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi, tra cui i primi nuclei del futuro Isis; a rifornirli di armi attraverso una rete organizzata dalla Cia (documentata da un’inchiesta del New York Times, v. il manifesto del 27 marzo 2013) quando, dopo aver contribuito a rovesciare Gheddafi, sono passati in Siria per rovesciare Assad; sono stati sempre gli Usa e la Nato ad agevolare l’offensiva dell’Isis in Iraq, nel momento in cui il governo al-Maliki si allontanava da Washington, avvicinandosi a Pechino e a Mosca. L’Isis svolge quindi di fatto un ruolo funzionale alla strategia Usa/Nato di demolizione degli Stati attraverso la guerra coperta. Ciò non significa che la massa dei suoi militanti, le cui storie sono legate alle tragiche situazioni sociali provocate dalla prima guerra del Golfo e dalle successive, ne sia consapevole.

L’attacco terroristico a Tunisi è avvenuto il giorno dopo che Aqila Saleh, presidente del «governo di Tobruk», aveva avvertito l’Italia che «l’Isis può passare dalla Libia al vostro Paese», premendo su Roma perché intervenga in Libia. Il ministro Gentiloni ha prontamente risposto «Faremo la nostra parte». E il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito, gen. Danilo Errico, ha assicurato che, «se il governo dovesse dare il via» a un intervento in Libia, «noi siamo pronti». Pronti dunque a combattere a fianco dell’«Esercito nazionale libico», braccio armato del «governo di Tobruk», al cui comando – documenta The New Yorker, il 23-2-2015 – c’è il generale Khalifa Haftar che, «dopo aver vissuto per due decenni in Virginia (Usa), lavorando per la Cia, è ritornato a Tripoli per combattere la guerra per il controllo della Libia».

 
Da il manifesto, 20 marzo 2015

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