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Controstoria della crisi greca

Andrea Ventura

Mario Draghi è il presidente della BCE, salvatore dell’euro o uomo Goldman Sachs che ha aiutato a truccare i bilanci greci? Ecco una ricostruzione degli anni che ci hanno portato fin qui

1999-2001 La Grecia aderisce alla moneta unica. I suoi conti pubblici non rispettano i criteri fissati per l’adesione, ma la Goldman Sachs offre al governo socialista un contratto (elegantemente detto “swap”) grazie al quale il deficit di bilancio è occultato. Ricordiamo che Mario Draghi dal 2002 al 2005 è vicepresidente di Goldman Sachs. Secondo il New York Times del 30 ottobre 2011 Draghi avrebbe proposto a diversi paesi europei contratti simili. [L. Thomas and J. Ewing, “Can Super Mario Save the Day for Europe?”, New York Times del 30 ottobre 2011]

2001-2008 L’adesione all’euro fa perdere competitività al paese e facilita l’afflusso di capitali esteri, indebitandolo. Sono due facce della stessa medaglia: senza la possibilità di svalutare la moneta nazionale, le merci prodotte all’interno non reggono la concorrenza straniera, dunque si comprano merci estere, tedesche in particolare. Ma con quale moneta? Con l’euro, che le banche francesi e tedesche prestano generosamente ai greci. L’afflusso di capitali esteri consente ai consumatori greci di prendere soldi a prestito a condizioni estremamente vantaggiose, sostenendo così la domanda di prodotti tedeschi. Il meccanismo dell’indebitamento è simile a quello dei mutui sub prime che ha causato la crisi negli Stati Uniti. La Grecia è anche un grande acquirente di armi, in parte a credito, il cui acquisto è associato ad una diffusa corruzione. In particolare dal 1997 compra carri armati e alcuni sottomarini della TyssenKrupp. (S. Daley, “So Many Bribes, a Greek Official Can’t Recall Them All, New York Times del 7 febbraio 2014).

 

2008-2010 Con la crisi scoppiata negli Stati Uniti i nodi della costituzione dell’euro vengono al pettine: l’assenza di una Banca Centrale che garantisca per i debiti pubblici fa salire i tassi di interesse sul debito dei paesi giudicati a rischio, della Grecia anzitutto. Si profila in sostanza il rischio della disgregazione dell’euro e il ritorno alle monete nazionali. Gli ambienti da cui partono gli attacchi speculativi che in breve tempo portano alle stelle i tassi di interesse sono peraltro ben informati sui conti pubblici della Grecia, essendo gli stessi che hanno contribuito a truccarli. Nell’ottobre 2009 il socialista Papandreou vince le elezioni e dichiara che il deficit statale è molto superiore a quanto indicato dal precedente governo di centrodestra. Dall’aprile 2010 la Grecia non è più in grado di pagare gli interessi sul suo debito.

2010-2012 La comunità internazionale interviene con due salvataggi (maggio 2010, ottobre 2011) per 240 miliardi di euro. Hanno salvato la Grecia? No; di questi solo 27 sono andati a vantaggio dello stato. Gli altri sono prestati alla Grecia perché potesse restituirli …a chi glieli aveva prestati. In altri termini, prima della crisi la Grecia era indebitata principalmente con le banche tedesche e francesi. Con i cosiddetti salvataggi questi debiti sono stati trasferiti ai bilanci pubblici, per la maggior parte di Germania, Francia, Italia e Spagna (Info Data Blog, Sole 24 ore, 18 febbraio 2015). Sono state dunque salvate le banche private, non i greci, i quali all’opposto hanno dovuto adottare immediate politiche di austerità: queste, oltre ad aver fatto crollare il Pil del 25%, hanno causato una vera e propria emergenza umanitaria: in Grecia la mortalità infantile è cresciuta del 43% e quasi mezzo milione di bambini sono sottoalimentati. In compenso, per l’ulteriore aumento dei tassi di interesse e il crollo del Pil, il suo debito pubblico è al 177% del Pil (prima dello scoppio della crisi era al 130%). Ricordiamo che l’Italia ha contribuito ai salvataggi per 40 md di euro. Tremonti ha raccontato di recente che Berlusconi avrebbe voluto opporsi a questo trasferimento del debito, a meno della messa in opera di forme di condivisione di esso tra i paesi aderenti all’euro [Giulio Tremonti, Bugie e verità, Mondadori 2014, pp. 34 e ss]. Non è chiaro quanto l’attacco speculativo del 2011 contro l’Italia fosse dovuto all’oggettiva debolezza del paese nell’ambito di una crisi che avrebbe potuto causare la fine della moneta unica, e quanto costituisse invece una pressione per indurre il nostro governo a non ostacolare quest’occultamento della natura della crisi e il trasferimento del suo peso dal settore privato al settore pubblico; di fatto, esso ha portato alla caduta di Berlusconi e la formazione del governo Monti. È un caso che Mario Draghi sia passato dalla Banca d’Italia alla presidenza della BCE negli stessi frangenti delle dimissioni di Berlusconi e della formazione del governo Monti (novembre 2011), oppure è ipotizzabile che sia stata una compensazione offerta all’Italia in cambio del nostro contributo al salvataggio delle banche francesi e tedesche?

Oggi, stremati da cinque anni di crisi, i greci stanno cercando di condurre il loro paese fuori dal vicolo cieco, dove si trova. Troppi però vogliono il loro fallimento. La ragione è presto detta: non devono comparire alternative al perpetrarsi di questa vera e propria truffa finanziaria, all’assenza di democrazia in Europa, al continuo arricchimento di pochi alle spese di molti. All’opposto, non c’è alternativa al cambiamento: o nel senso della formazione di una classe dirigente che, a livello nazionale ed europeo, sia in grado di ripensare a fondo le ragioni del vivere comune, oppure nella prevalenza di forze xenofobe e antieuropee. Non sarà certo sventolando il miraggio di una timidissima ripresa economica che si potrà eludere questo dilemma.

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