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Coalizione sociale, tanto fumo e pochi Marx, Rousseau, Garibaldi

Stefano Santachiara

Alcuni lettori di questo scalcagnato blog senza sponsor, collaboratori e grafica, ha notato che Maurizio Landini, dopo la mia analisi – oggettivamente la prima critica mediatica da sinistra (https://stefanosantachiara2.wordpress.com/2015/03/18/la-discesa-in-campo-di-landini-tra-sociale-etica-e-potere-mediatico/) – avrebbe pensato bene di implementare il suo progetto: http://www.repubblica.it/politica/2015/03/25/news/landini_l_italia_ormai_e_in_svendita_sabato_in_piazza_per_difendere_il_lavoro_e_con_noi_ci_sara_anche_la_camusso_-110425266/. In effetti l’autoproclamatosi leader della ‘Coalizione sociale’, sostenuto da variegato schieramento, ha iniziato ad affiancare alla critiche a Confindustria e a Renzi anche quelle nei confronti della Bce, si è accorto della indispensabilità di una pianificazione industriale, a partire proprio dal settore acciai, e della nocività delle privatizzazioni. Ben venga. Purtroppo non vi sono ancora riferimenti espliciti alla tassa progressiva e costante sui patrimoni e al welfare state universale sul modello francese, ma tant’è. Sui quotidiani sabaudi, La Stampa e Il Fatto Quotidiano, si riporta la notizia dell’incontro di Landini coi 5Stelle e la relativa possibile sintonia su di un non meglio specificato reddito di cittadinanza (Grillo parlò di un sussidio esclusivo, dunque escludente, per chi accetta i primi impieghi offerti, gli altri che non cedono ai ricatti precari dello sfruttamento padronale, invece, saranno sempre out).

Le menti progressiste, attraverso i sensi, l’intelligenza e la volontà, individuale e generale, tendono da sempre a ricercare l’uguaglianza nella libertà. Quando esse, attraverso le più coraggiose escogitazioni in situazioni peculiari dei rapporti di potere, si sono potute misurare con l’arte del possibile passando dalla teoria alla prassi, i ceti dominanti ne hanno sempre determinato la sconfitta, in modo cruento o sottile, riproducendo l’archetipo del divide et impera: controllo, infiltrazione, frammentazione e deprivazione energetica e contenutistica delle potenziali rivoluzioni democratiche. Le spinte propulsive che si sono via via esaurite, se non inducono a ritenere che l’uomo possa “soltanto proporsi di diminuire aritmeticamente il dolore nel mondo” (Albert Camus), perlomeno dovrebbero radicare ogni nuova proposta a orizzonti precisi fondati su conoscenze passate e verità sperimentali. Sia detto provocatoriamente, il perimetro entro cui si sviluppa la dialettica nella ‘Coalizione sociale’ è il medesimo delle riflessioni imperniate sul ‘Contratto sociale’ di Rousseau. Nel frangente attuale, i ragionamenti carsici dei poco accorti compagni di strada di Landini tradiscono l’antropologia del progetto: il superamento delle vecchie logiche di sinistra e la “riforma del sindacato”. Già, ma come? Non che la Storia rappresenti effettivamente una continua involuzione per gli esseri umani e l’ambiente, ma gli esempi post-moderni nella politica con la p minuscola e del giornalismo di egual fatta, sembrano inscriversi nel solco della chiave di lettura crociana: l’ immanentismo conservatore. Il peso dell’egemonia culturale neoliberale si comprende dal momento in cui grondano tautologicamente le manipolazioni lessicali degenerative. Il rottamatore Renzi è soltanto l’eccessivo apogeo di una strategica brigata di usurpatori che controlla direttamente o indirettamente i centri di diffusione del sapere. Si prenda il termine “riforma”, nata nella realtà socialista, comunista e anarchica per indicare le conquiste sociali e da un trentennio almeno adoperata per inculcare nelle masse il significato opposto: il ben-essere è sparito dal vocabolario mediatico mentre in un’ottica efficientista e bilanciofobica diventano “necessari” i tagli sociali e dei diritti del lavoro. Si prosegua con i concetti di sistema pubblico, partiti, sindacati, le cui storture sono evidenti ma, a ben riflettere, si sono dipanate non soltanto per la corruzione dell’animo umano, insita o indotta dalla società operante. Una buona fetta di responsabilità spetta al nuovismo e alle “riforme”: il partito è diventato una macchina di potere a servizio di chi ha tradito i propri principi? La politica sia finanziata dalle lobby. La scuola e l’ospedale non funzionano? Siano privatizzati. Il sindacato non va?

Il Landini furioso ha basi più solide in termini di credibilità a sinistra rispetto a Renzi e al Movimento 5 Stelle, per via di quell’esercito di tute blu che rappresenta (malgrado la riduzione degli iscritti Fiom dai 362mila del 2010 ai 351mila del 2013) e della grande abilità comunicativa AntiCasta contro il “vecchio”. Resta paradigmatico il meccanismo con cui, al tempo dei girotondi, certo più spontanei delle attuali indignazioni da salotto televisivo, si è operata la traslazione tra due lotte: quella classica, rivoluzionaria o riformista, all’ingiustizia sociale in aumento (di una ancora esistente Sinistra con la Cgil di Sergio Cofferati e il Correntone Ds di Giovanni Berlinguer) e una nuova questione economica-legalitaria. Il minotauro tecnocratico neoliberale ha potuto esercitare attrattiva, dunque sottrarre tempo ed energie, a quel grande mondo inclusivo progressista, compresi numerosi artisti e intellettuali in buonafede. Non pare smentibile che il potere mediatico, ben saldo nelle mani di quello capitalistico sempre più elitario e finanziarizzato, stia continuando ad ammantare di aspetti moralistici e populistici, giust’appunto condivisibili nel contrasto a mafie e corruzione se non fossero associati a campagne per la compressione del sistema pubblico, lo strutturale storicismo, conservatore e regressivo. La spinta endogena di questa strategia ha avuto il maggior esponente politico in Renzi, deputato a scalare quel che restava della sinistra (nel Pd) e governo per conto dei poteri finanziari, mentre l’opaca suggestione esogena è toccata a Grillo. Marx, Bakunin, Rousseau, i grandi oblii sanciti dall’egemonia culturale della governamentalità neoliberale non lasciano nulla al caso. Neppure Giuseppe Garibaldi. Fiumi di inchiostro poco simpatico che si riversano da settimane nel 2015 sono meno progrediti delle richieste del “Patto di Roma” del novembre 1872, quando la sinistra radicale e repubblicana, aderente alla Prima Internazionale, chiese una “Costituente, la Repubblica, l’autonomia dei Comuni, l’abolizione degli eserciti permanenti e l’organizzazione della nazione armata, l’eleggibilità dei Magistrati, i diritti di Libertà della persona, i diritti di libertà politici e di stampa, l’abolizione di ogni privilegio, l’emancipazione completa del lavoro, il lavoro come sorgente unica delle proprietà, un sistema di vita economica che combatta l’assorbimento in mano di pochi della ricchezza nazionale, le associazioni dei lavoratori e delle piccole imprese, la creazione di una imposta progressiva sul capitale, i diritti di parità della donna, la abolizione della pena di morte e la riforma del sistema penitenziario, la libertà assoluta di coscienza e di culto”. Come si evince, da Garibaldi a Renzi-Landini le chiacchiere stanno a zero, a 143 anni di distanza.

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