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Cosa hanno in comune Alesina, Giavazzi e Renzi? Tanto

di Gustavo Piga

La Banca Centrale Europea ha ridato fiato, oggi, a Alesina e Giavazzi 1.0. In soffitta, dopo pochi mesi di innovazione prototipale, A&G 2.0, che chiedevano al governo Renzi di tenersi su di un deficit del 3% di PIL, negoziando con l’Europa una riduzione delle tasse senza accompagnarla immediatamente con un calo delle spese pubbliche. Era l’epoca, solo pochi mesi fa, in cui si temeva il quarto anno di recessione consecutiva ed il rischio di una guerra sociale pericolosissima nella penisola. Pericolosissima per tutti, anche per quelli poco interessati alle sorti di breve periodo dell’occupazione, come i nostri due economisti. Ma l’azione della BCE, autorizzata dalla Merkel, che ha abbattuto il cambio euro-dollaro e ridato un pizzico di ossigeno alle imprese internazionalizzate, specie del Nord, ha fatto rientrare il senso di emergenza che aveva motivato il loro cambio momentaneo di posizione. Siamo dunque tornati al vecchio modello, quello puramente ideologico e nemmeno un pizzico pragmatico: abbassare le tasse abbassando la spesa. Ideologico perché A&G sanno benissimo che questa ricetta distrugge PIL e occupazione (altrimenti perché passare alla versione 2.0?) ed è motivato solo da un desiderio di avere meno pubblico nell’economia. Poco pragmatico perché dalla recessione non siamo fuori e le tensioni sociali rimangono fortissime, altro che ripresa.

http://www.corriere.it/opinioni/15_aprile_12/slancio-perduto-premier-56953d30-e0da-11e4-87d6-ad7918e16413.shtml

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A&G sbagliano (al di là della loro incredibile pervicacia nell’argomentare che tagli di spesa fanno bene all’economia, malgrado dileggiati da mesi da Premi Nobel di un qualche rilievo come Krugman e Stiglitz) su due fronti, sapendo di sbagliare.

Il primo è far pensare alla platea dei lettori del Corriere che il Governo Renzi non abbia, esattamente come i suoi predecessori Monti e Letta, ridotto la spesa pubblica. Eccome se lo ha fatto, e, ovviamente lo ha fatto ciecamente, casualmente, trasportato da un’ideologia simile a quella di Alesina e Giavazzi e addirittura più radicale di quella imposta dall’Europa. Basta leggere il DEF a pagina 59, dove leggiamo per l’ennesima volta come il Governo abbia effettuato uno “sforzo fiscale (di riduzione della spesa, NdR) superiore a quello richiesto” dai parametri europei: -1,6% in termini reali nello scorso anno e -0,5% nel biennio 2015-2016, contro la richiesta di aggregato di spesa costante voluto dall’austera Europa per il triennio. Aggregato di riferimento che non include la spesa per interessi e la (magra) spesa per investimenti pubblici ma che include le (crescenti) spese pensionistiche: il ché significa che per ben più di quel valore medio di sopra sono state tagliate la spesa per stipendi e per acquisto di beni e servizi che incidono in maniera decisiva sulla domanda per consumi rivolta alle imprese, in un momento drammatico in cui queste, soprattutto le piccole, urlano per avere l’ossigeno che verrebbe dalla domanda governativa.

Che sia chiaro: questi tagli sono stati fatti a casaccio, senza la minima vera spending review che generasse al contempo spesa di qualità e risorse dal taglio degli sprechi. Ecco, l’economia italiana è in crisi per questa duplice miopia: non scommettere su più qualità del settore pubblico (spending review? ma scherziamo?) e conseguentemente non poter sostenere la domanda interna con vera spesa pubblica dai fondi rimediati dal taglio degli sprechi.

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Ma alla qualità della spesa pubblica né Renzi né A&G (in qualsiasi versione, 1.0 o 2.0) sono interessati.

E’ qui infatti il secondo errore di A&G: non solo quello di chiedere meno spesa, ma di chiedere che la riduzione della spesa pubblica sia finanziata da maggiori pagamenti diretti dei cittadini, specie quelli più abbienti. Per esempio, riducendo la spesa pubblica per l’università facendo pagare più rette universitarie alle famiglie (intuizioni parzialmente simili si applicano alla scelta della salute pubblica). Che errore pensare che le cose così migliorerebbero.

Se veramente le tasse fossero introdotte solo per i più abbienti l’effetto sarebbe complessivamente microscopico per le università (la maggior parte dei figli dei ricchi è già “fuggita all’estero”) e così anche il taglio della spesa pubblica consentito per tenere costanti i servizi d’istruzione degli Atenei. Se lo schema fosse invece quello di alzare le tasse universitarie per tutti per finanziare le università pubbliche che non ricevono più soldi direttamente dallo Stato, due sarebbero gli effetti: spostare verso il privato i consumatori più capaci di valutare il prodotto se quello pubblico non è ritenuto di qualità (forse qualche studente di più in Bocconi? qualche nuovo ospedale privato nascerà?) e, soprattutto, scoraggiare definitivamente l’ingresso dei meno abbienti (già abbondantemente lontani, per esempio, dall’università, per la sua scarsa qualità percepita) a meno di non reinserire borse di studio abbondanti, ma allora rieccoci in uno schema finanziato dal pubblico che A&G 1.0 non desiderano. 

Notate che nulla avverrebbe in questo schema al problema principale del Paese: la qualità dei servizi pubblici. A&G 1.0 pensano che i cittadini avrebbero con la loro proposta “un forte incentivo ad esigere servizi di qualità”: pia illusione, spesso i cittadini non si spostano “con i piedi” verso la qualità e spesso non sono in grado di valutare la qualità dei servizi ricevuti. La questione in effetti rimane una sola: non ridurre la spesa, bensì razionalizzarla per far tornare a scintillare le nostre università, i nostri ospedali, ecc. così contribuendo al contempo alla ripresa della stagnante produttività italiana (che, a proposito, nel primo anno del Governo Renzi è scesa dello 0,6%). Usare poi contemporaneamente le risorse derivanti della razionalizzazione per aumentare la domanda interna via investimenti pubblici, invece che con riduzioni delle tasse che non generano ripresa per il dominante pessimismo prevalente (bonus fiscale docet).

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Ma a A&G 1.0 e al Governo Renzi tutto questo non interessa. I tre hanno questo in comune, e non è poco: l’idea che privato e pubblico siano “sostituti” e che il primo sovrasti il secondo come il treno vola più del mulo; mentre quello che è vero è che nei Paesi che crescono in maniera convincente privato e (buon) pubblico sono complementi, come il treno e la rotaia. Alla fine è tutto qui, l’oceano che mi divide da A&G&R.

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