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criticaimpura

Ma in che paese viviamo?

La riflessione di un insegnante su “La buona scuola”

di Alerino Palma

Ma in che paese viviamo?

Uno studente oggi mi ha chiesto se ho letto il ddl in discussione in questi giorni su “La buona scuola”, oggetto del grande sciopero programmato per oggi. Certo che l’ho letto. Ma tutto? Non solo, l’ho letto per lungo e per largo perché solo in questo modo è possibile capire cosa dice veramente. Ebbene, più lo leggo e più mi convinco che è stato scritto da incompetenti di scuola sotto dettatura di altri incompetenti (o indifferenti) ma che sanno bene cosa vogliono dalla scuola stessa. O per meglio dire, cosa vogliono che diventi la scuola.

In questo ddl infatti non si parla di scuola. Della scuola democratica, pubblica e laica che abbiamo conosciuto. Si parla di altre cose. In modo illogico e frammentario, con un linguaggio gergale. Ma è impressionante la coerenza del disegno distruttivo che emerge dalla lettura complessiva del testo.

Faccio solo un esempio. L’art. 7 parla di superpoteri del dirigente. Ma non è il dirigente che conosciamo, quello che con maggiore o minore autorità (e autorevolezza), con maggiori o minori capacità di gestione ha governato la scuola dell’autonomia da Berlinguer in poi, questa figura ibrida che non è più il preside sul modello del “non facciamo poesia” ma non è ancora compiutamente un manager perché fortunatamente arginato dal contratto e dagli organi collegiali. Ecco l’incompiutezza nel fatto che non sono riusciti a scardinare la riforma Gelmini o la legge Brunetta anche perché è venuto a mancare il tassello fondamentale di quel progetto, la legge Aprea che non è mai arrivata all’approvazione, nemmeno nella forma edulcorata, ma non meno perniciosa, della versione Aprea-Ghizzoni.

No, il preside della buona scuola è un Renzi in miniatura. Padrone nella sua scuola, autorizzato dall’art. 7 a trattare i docenti come pacchi postali, esonerato dal rendere conto al collegio del suo operato, in realtà esecutore passivo di direttive che vengono da altri padroni. Intrappolato in logiche privatistiche incontrollabili. Anche qualora volesse controllarle, in nome di ormai dismessi principi educativi e didattici che una volta era chiamato a garantire.

Insomma, senza andare troppo lontano, si tratta del dirigente di cui parla il documento sulla scuola che Renzi ha presentato, nell’indifferenza generale (chissà perché), per le primarie del 2012. Il dirigente che forte della “revisione complessiva delle procedure di selezione e assunzione dei docenti, basata sulle competenze specifiche e sull’effettiva capacità di insegnare” (che prelude all’organico pro domo sua della riforma, esteso anche, dato che i tempi sono maturati, all’organico di diritto), dispensa i premi economici per gli “insegnanti migliori”, coadiuvato da insegnanti di staff e attori economici che siedono (o stanno in piedi, o proni, questo il ddl non lo specifica), nel Consiglio di Istituto.

Ma non è importante stabilirlo. Lo avevamo già capito con il disegno di legge Aprea. Che siano consiglieri con diritto di voto o convitati di pietra, sono costoro che domani terranno in piedi la scuola con le regalie previste dagli art. 15 (Cinque per mille) e 16 (School bonus) e per effetto della progressiva chiusura dei rubinetti dei finanziamenti statali. Quale preside, quale consiglio di istituto potrà dire di no quando i baristi di Tor Carbone chiederanno in cambio della loro munificenza di assumere i propri nipoti e cugini? O quando i più istruiti ristoratori di via Sicilia chiederanno di sfrondare dal piano triennale tutto il superfluo? Non abbiamo degli esempi per capire cosa succederà?

Ma in che paese viviamo?

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