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Alfano: l'inetto giusto al posto giusto

di Comidad

L'approvazione parlamentare in via definitiva della legge elettorale detta "Italicum" sortirà il prevedibile effetto di spostare le residue speranze di salvezza del principio di rappresentanza verso un eventuale diniego a firmare la legge da parte di Mattarella. La democrazia ha sempre un'ultima spiaggia verso cui guardare; perciò, dopo Mattarella, vi sarà ancora qualcos'altro, o qualcun altro, in cui sperare. Certo è che quel trionfo del principio di "governabilità" su quello di rappresentanza al quale non era riuscito a giungere un "uomo forte" come Craxi, è invece riuscito ad un personaggio palesemente inconsistente come Renzi.

La spiegazione di tutto sta proprio nell'attuale inconsistenza della stessa rappresentazione della politica, divenuta un intrattenimento ed una distrazione rispetto all'azione delle lobby multinazionali saldamente insediate negli organismi sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione mondiale per il Commercio, la Commissione Europea e, soprattutto, la NATO. L'ottusa impermeabilità alle critiche esibita da Renzi rappresenta un'ulteriore dimostrazione della scomparsa della politica, che, persino nello Stato assolutistico, svolgeva una funzione di mediazione. Renzi non si cura di dissensi e proteste, perché deve rispondere solo ai suoi padroni, cioè alle lobby multinazionali.

Il lobbying ha bisogno di nascondersi dietro gli slogan che si ammantano di grandi obiettivi, ma necessita anche di una drammatizzazione artificiosa che serva da alibi per spiegare perché questi clamorosi risultati promessi non vengano mai raggiunti. L'Expo di Milano è esemplare in questo senso, poiché, dopo tanto dispendio del pubblico denaro, occorrerà giustificare l'inutilità del tutto rispetto agli obiettivi dichiarati. Tramontati gli stupori e gli entusiasmi del XIX secolo, nell'attuale epoca dei voli intercontinentali e delle comunicazioni in tempo reale, gli Expo servono infatti soltanto ad esporre a figuracce il Paese organizzatore. Si sarebbe da tempo rinunciato a questo anacronismo, se non esistesse una agguerrita lobby degli Expo dedita al saccheggio della spesa pubblica.

Tra i tanti "meriti" dell'Expo che ci sono stati illustrati in questi giorni, commuove particolarmente la funzione pedagogica nei confronti dei giovani. In funzione dell'Expo è stato avviato il reclutamento di migliaia di ragazzi che si alterneranno come collaboratori volontari. Nelle interviste i giovani volontari spiegano che si tratta di una esperienza bellissima, dove si imparano tante cose, ed è un'esperienza che gli servirà per il futuro. Infatti, cosa ci potrebbe essere di più gratificante che imparare a lavorare felici, e soprattutto gratis, per note Opere Pie come Monsanto, Coca Cola, Mc Donald, eccetera?

In realtà, come al solito, il vero benefattore è il contribuente italiano, dal quale le multinazionali si sono presentate a riscuotere l'elemosina di incentivi, contributi e sgravi fiscali per concedere l'onore di partecipare all'Expo. Le cronache ci hanno in parte informato sul giro di corruzione legato all'Expo, ma non ci hanno detto nulla sui tanti furti rigorosamente legalizzati che l'Expo ha consentito.

Il lobbying non ha progetti sociali, ed ogni slogan è solo un alibi per coprire la sua vera prassi quotidiana, cioè ottenere assistenzialismo per ricchi. Il titolo di una telenovela di qualche decina di anni fa ci informava che "anche i ricchi piangono". L'informazione era gravemente imprecisa, in quanto sono soprattutto i ricchi a piangere. I ricchi si lamentano sempre, fanno sempre le vittime, ed infatti il welfare è tutto per loro; anche se i media mentono spudoratamente, facendo credere che la spesa pubblica sia gravata dalla previdenza.

Era scontato che anche per l'Expo si dovesse ricorrere a degli espedienti per coprire la mega-truffa ai danni del contribuente. Da qui l'esagerata enfasi mediatica posta sugli scontri avvenuti in occasione dell'inaugurazione. Così si è creato una sorta di accostamento subliminale tra l'infrangersi delle vetrine e l'infrangersi dei sogni di gloria legati all'Expo, come se una violenza irrazionale avesse guastato quanto faticosamente edificato dai volenterosi. Un film, "la notte degli insorti viventi", in cui una violenza cieca e irrazionale, emersa da chissà dove, è andata a turbare i pacifici sogni dei borghesi dopo un'operosa giornata.

Fa parte dell'inesorabile copione mediatico il dibattito sulla violenza e la forca caudina della presa di distanze e della condanna nei confronti della stessa violenza. In questo contesto c'è ancora chi si sforza di razionalizzare, chiedendo per l'ennesima volta le dimissioni del ministro degli Interni Alfano. C'è anche chi si chiede come questi possa ancora essere ministro dopo tutte le sue prove di inettitudine, le quali, una volta elencate, compongono sì un quadro desolante, ma anche una sorta di percorso preciso. Parafrasando Polonio, si potrebbe dire che c'è del metodo in questa stupidità.

Angelino Alfano è infatti l'uomo adatto per fingere di gestire una politica del cosiddetto "ordine pubblico", che in effetti è già stata affidata ad altri, cioè ai fabbricanti di emergenze. Nei romanzi dell'800 e dei primi del '900 ci veniva proposto il personaggio dell'Inetto, dello sconfitto nella darwiniana lotta per l'esistenza. Oggi l'inetto invece è prezioso, ed appare destinato ad irresistibili carriere, poiché ha assunto il sacro compito istituzionale di farsi travolgere da emergenze rigorosamente fittizie.

 

 

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