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La guerra di liberazione della politica, a partire dall’Europa

di Stefano Petrucciani

podemos pellizzetti saggio 510Il nuovo libro di Pierfranco Pellizzetti contiene, per dirla in due parole, una diagnosi e un auspicio. La diagnosi è quella contenuta nel titolo (Società o barbarie): la regressione della socialità alla quale assistiamo da quando il neoliberismo ha cominciato a vincere rischia di produrre una vera e propria decivilizzazione dei nostri mondi vitali. L’auspicio è quello contenuto nel sottotitolo che recita: Il risveglio della politica tra responsabilità e valori. Ovvero: come ridare senso alla politica in un contesto difficile come quello che è descritto nella parte diagnostica del volume. Si tratta dunque di un lavoro ambizioso, di ampia mole, ricchissimo di idee e di informazioni. I nodi che il libro tocca sono stati oggetto, negli ultimi tempi, di una non piccola serie di discussioni. Ciò nonostante, Pellizzetti riesce a intervenire su di essi con piglio originale, apportando qualcosa di nuovo.

Per quanto riguarda la prima parte del libro, quella più propriamente diagnostica, la tesi di Pellizzetti è molto netta; il problema di fondo che caratterizza la fase attuale si può ricondurre, secondo l’autore, alla metafora del “pendolo inceppato”: se, nella storia dell’Occidente moderno, le due estremità dell’oscillazione, la politica e l’economia, si sono rincorse in una movimentata dialettica (dove di volta l’una guadagnava terreno sull’altra), ora il pendolo sembra bloccato, nel senso di una piena abdicazione della politica al primato dell’economia.

Per dirla in modo meno secco, si potrebbe prospettare il problema osservando che, a fronte degli enormi mutamenti tecnologici ed economici degli ultimi decenni, la politica è rimasta indietro, non ha conosciuto processi di innovazione altrettanto significativi, e quindi è diventata decisamente ancella dell’economia, subalterna alle sue regole, e cioè in pratica alle norme che sono gradite ai grandi poteri finanziari globali.

A fronte di questo quadro, tanto desolante quanto evidente, Pellizzetti ci ricorda che una politica degna di questo nome significa capacità di proposta, di guida e di indirizzo. La politica cui l’autore pensa è, tanto per fare qualche esempio, quella dei Roosevelt o dei Kennedy, quella capace di rompere con l’ortodossia economica o di offrire alla società prospettive di ampio respiro… quanto di più lontano dalla politica lillipuziana di questo nostro presente.

Il terreno d’elezione dell’iniziativa politica oggi, secondo Pellizzetti, dovrebbe essere l’Europa. E invece, al contrario, è proprio su questo scenario che il deficit di politica (lo stiamo vedendo con la crisi greca) si mostra nel modo più netto. Per Pellizzetti quella che ci troviamo ad abitare oggi è “un’Europa senza politica”. O meglio, è un’Europa dove la politica ha costruito un labirinto nel quale essa stessa non si raccapezza più: “un’unica valuta con 18 debiti pubblici diversi e 18 sistemi fiscali in competizione incontrollata tra loro”. Tra i vari attori in gioco sullo scenario europeo, perciò, secondo l’autore, si determina una costellazione patologica, le cui coordinate vengono nel libro così descritte: i circoli del capitalismo finanziario perseguono con determinazione i loro obiettivi, coadiuvati dalle tecnostrutture comunitarie; e queste, con tutto il contorno di sovrabbondanti apparati amministrativi, lavorano silenziosamente alla propria autoperpetuazione, concentrando nelle proprie mani un’influenza tanto più grande quanto meno incisiva e convincente è l’azione della politica. Con il conseguente paradosso per cui questi “guardiani dell’austerità” si trasformano da rigorosi in lassisti quando si tratta di tutelare le loro privilegiate retribuzioni.

Se questo è il quadro, è perfettamente coerente Pellizzetti quando sostiene che “la riscoperta della politica, in Europa, diventa qualcosa di simile a una guerra di liberazione”: liberazione dai dogmi dell’austerità che si sono rivelati fallimentari e battaglia per una completa inversione di rotta delle politiche europee, che dovrebbero marciare nella direzione di un nuovo New Deal. Più facile a dirsi che a farsi, si obietterà. Ma proprio questo è il punto: per Pellizzetti il nodo fondamentale, quello da cui tutto il resto dipende, è esattamente quello di riscoprire la politica come passione e come capacità di cambiare la realtà. Se non si ritrova questa ispirazione, tutte le battaglie sono già perse in partenza.

E siamo così ad uno degli altri grandi nodi sui quali il volume invita a pensare: come fare politica dopo i partiti, ovvero in una fase in cui la politica di partito ha perso completamente la sua credibilità. Ragionando attorno a questa domanda, Pellizzetti sviluppa alcune delle considerazioni più originali che si trovano nel suo libro. La proposta è quella di assumere come punto di riferimento, per così dire, l’esperienza della logistica (la movimentazione delle merci) che sta diventando ormai il vero snodo cruciale dell’attività economica. La logistica contemporanea, ci spiega l’autore, funziona secondo il modello hub and spoke, cioè attraverso una pluralità di centri o nodi da cui si dipartono raggi o filiere collegati ai macrosistemi produttivi e distributivi. Su questa filigrana si potrebbe costruire, secondo Pellizzetti, un nuovo modello di partito, inteso come strumento per movimentare non merci ma idee e proposte politiche. Il nuovo tipo di organizzazione politica che l’autore ha in mente dovrebbe funzionare secondo i seguenti principi: strutture leggere e connesse su basi comunicative; trasmissione di chiamate alla mobilitazione su temi specifici a partire da centri di volta in volta diversi; leadership politiche collettive in cui i singoli fungano solo da portavoce (vecchio sogno democratico, sempre molto difficile da realizzare); funzioni di coordinamento non monopolizzate da un unico centro ma attribuite, di volta in volta, al nodo della rete che si trova, rispetto a una certa tematica, nella situazione posizionale più favorevole; interattività paritaria; azione per campagne specifiche. Una proposta articolata e suggestiva, che si accompagna a una critica netta di quello che per Pellizzetti (forse anche troppo severo) è un tentativo non riuscito di trasformare la politica, quello del movimento pentastellato.

L’indicazione propositiva che l’autore vuole lanciare con questo libro fa tutt’uno con due convinzioni ben radicate: l’esaurimento del modello tradizionale di partito, destinato a riprodurre nomenclature autoreferenziali. E la insoddisfazione non solo per le prove di nuova politica che fin qui si sono date, ma, più in generale, per tutte quelle proposte che attribuiscono valore salvifico alla rete e che di conseguenza puntano tutto sulla e-democracy. Molto più simpatetico è Pellizzetti rispetto ai due esperimenti politici che si stanno mettendo alla prova nell’Europa di questi mesi, ovvero Syriza e Podemos.

Le proposte che Pellizzetti lancia possono essere talvolta più convincenti, talaltra meno. Ma comunque la si pensi in proposito, non si può non vedere che il desiderio o il bisogno di nuove modalità di azione politica è una delle grandi questioni irrisolte di questa fase. È vero che ci sono state diverse sperimentazioni che non hanno lasciato grande traccia (forse anche perché non erano abbastanza innovative). Ma il problema rimane sul tappeto, più che mai aperto. E il merito del libro di Pellizzetti è quello di affrontarlo coraggiosamente e di petto, lanciando alcune buone idee che potrebbero funzionare come utile base per un auspicabile lavoro collettivo.

Pierfranco Pellizzetti, Società o barbarie, Il Saggiatore, Milano 2015, pp. 430, euro 20,00

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