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manifesto

«Il No di Atene ha sconfitto l’arroganza dell’austerità»

M. Fana intervista Mariana Mazzucato*

Mariana Mazzucato, autrice di «Lo Stato innovatore»: «Il referendum greco sancisce il fallimento totale dell'Europa degli arroganti e dei mediocri. Questo coraggio dà umanamente i brividi. In Europa non ci sarà mai una crescita senza un piano massiccio di investimenti pubblici che aumentino la produttività e creino lavoro»

Un popolo, stra­ziato dalla crisi e dalle ricette impo­ste dalla Troika, vota e scrive la sto­ria con un «No». Il corag­gio vince sulla paura, ma la bat­ta­glia sarà dif­fi­ci­lis­sima e neces­sita di una chiara visione di breve e lungo periodo. Chi ha perso è l’Europa dell’austerità. Ne par­liamo con Mariana Maz­zu­cato, eco­no­mi­sta e autrice di Lo Stato Inno­va­tore (Laterza).

 

Come inter­preta il «No» greco all’austerità?

Dalle inter­vi­ste in Gre­cia, emer­geva che chi avrebbe votato sì diceva di farlo per paura, chi «No» per corag­gio. Uma­na­mente dà i bri­vidi. Il risul­tato poli­tico però è il fal­li­mento totale di que­sta Europa. Siamo oggi cir­con­dati e gover­nati da troppe figure medio­cri, che hanno per­messo all’arroganza di pre­va­lere sulla soli­da­rietà e sulla ragione. Se l’eurozona deve aver un futuro, spero sia fon­data su que­sti ultimi principi.

 

Con il «No» ha vinto una pre­cisa agenda eco­no­mica. Quali sono i suoi punti prin­ci­pali?

Ancor prima di diven­tare Mini­stro dell’Economia, Yanis Varou­fa­kis ha soste­nuto l’adozione di un piano degli inve­sti­menti euro­pei su cui ha lavo­rato fin dal 2010. La pro­po­sta era quella di con­sen­tire alla Banca Euro­pea degli Inve­sti­menti di emet­tere obbli­ga­zioni (acqui­state dalla BCE) per finan­ziare inve­sti­menti pro­dut­tivi. Una forma di quan­ti­ta­tive easing diretto, cioè crea­zione di nuova moneta per favo­rire la cre­scita dell’economia reale e non per rima­nere nei for­zieri delle banche.Per que­sto è stato spesso accu­sato di essere troppo acca­de­mico e poco «scal­tro poli­ti­ca­mente». Invece è ciò di cui abbiamo biso­gno: poli­tici che abbiano idea di come tenere insieme una visione di lungo periodo e una solu­zione delle crisi a breve ter­mine. Fin­tanto che la Ger­ma­nia non ammet­terà che pro­blemi di sol­vi­bi­lità non sono uguali a pro­blemi di liqui­dità, e che que­sti non si risol­vono con cre­dito ma con un aumento degli inve­sti­menti stra­te­gici, non si andrà da nes­suna parte nean­che nel resto della «periferia».

 

Non solo la Gre­cia ma molti paesi euro­pei devono tor­nare a inve­stire altri­menti non ci sarà cre­scita. L’Europa dei trat­tati, del Fiscal Com­pact e dell’austerità lo per­met­terà?

La crisi dei nego­ziati greci e il refe­ren­dum hanno fatto emer­gere, se ce ne fosse ancora biso­gno, che in Europa è assente un piano di cre­scita comune. Il con­cetto di cre­scita di lungo periodo è rima­sto finora un arti­fi­cio mera­mente reto­rico e la dia­gnosi fatta finora è com­ple­ta­mente sba­gliata. Quel che conta non è l’entità del defi­cit, ma la sua com­po­si­zione. In Gre­cia come in Ita­lia, il defi­cit rap­pre­senta la con­se­guenza e non la causa del pro­blema, che invece risiede nella bassa cre­scita e nell’elevata disoc­cu­pa­zione. Que­sti ultimi due fat­tori dipen­dono quindi dagli scarsi inve­sti­menti, quindi bassa pro­dut­ti­vità e non dal fatto che i lavo­ra­tori gua­da­gnano troppo. Si può libe­ra­liz­zare, pri­va­tiz­zare e rifor­mare strut­tu­ral­mente ciò che si vuole, ma la cre­scita non ci sarà senza un piano mas­sic­cio di inve­sti­menti, attra­verso nuove forme di col­la­bo­ra­zione tra il set­tore pub­blico e quello pri­vato, che aumenti la pro­dut­ti­vità e crei lavoro. Certo, ser­vono anche riforme per ridurre gli spre­chi, ma da sole non bastano.

 

Se la banca cen­trale non dovesse sbloc­care già da oggi la liqui­dità di emer­genza per le ban­che gre­che, l’abbandono della moneta unica appare quasi ine­vi­ta­bile (a meno di finan­zia­tori last minute). Come può la Gre­cia affron­tare al meglio que­sta situa­zione?

Non è pos­si­bile avere un’unione mone­ta­ria con dif­fe­ren­ziali di com­pe­ti­ti­vità così ele­vati tra i Paesi che ne fanno parte. Il pro­blema è che pare man­care la con­sa­pe­vo­lezza del per­ché e come que­ste asim­me­trie si ali­men­tate. Se la Gre­cia uscirà dall’euro, la sola spe­ranza è che il piano di inve­sti­menti, pro­po­sto da Varou­fa­kis, trovi spa­zio almeno sul piano nazio­nale, a par­tire dalla costi­tu­zione di una banca di svi­luppo che avvii fin da subito inve­sti­menti stra­te­gici di lungo periodo.

 

Oltre al ruolo di «inve­sti­tore di prima istanza», rie­merge nel dibat­tito la neces­sità per il set­tore pub­blico di assu­mere un ruolo di «datore di lavoro di prima istanza», almeno nel breve periodo. Cosa ne pensa?

Nell’immediato, soprat­tutto in periodi di crisi, è impor­tante che il set­tore pub­blico sti­moli l’economia attra­verso la domanda, creando lavoro, non solo distri­buendo un po’ di wel­fare. Que­sto va fatto per­ché effi­cace per gli obiet­tivi che ci si è dati. Tut­ta­via, non basta per­ché lo Stato dipende anche dal get­tito fiscale che può essere garan­tito solo dalla cre­scita, e la cre­scita può avve­nire solo se si rico­min­cia ad inve­stire in modo stra­te­gico, creando buona occu­pa­zione. In un con­te­sto del genere, il governo si dota di risorse che può rein­ve­stire e distri­buire, ma è anche il set­tore pri­vato che deve rein­ve­stire i pro­pri pro­fitti in inno­va­zione per il futuro.

 

In che modo, come eco­no­mi­sti e cit­ta­dini, pos­siamo con­tri­buire a rove­sciare il pen­siero unico e le poli­ti­che neo­li­be­ri­ste?

Innan­zi­tutto serve dotarsi di una nuova visione, soprat­tutto eco­no­mica. Abban­do­nare l’idea che la cre­scita possa avve­nire solo «libe­rando» il mer­cato da varie «rigi­dità» (pen­sioni, mer­cato del lavoro, sti­pendi degli impie­gati pub­blici). La cre­scita è un risul­tato di inve­sti­menti di lungo-termine in aree stra­te­gi­che. Sia nel pub­blico che nel pri­vato. Oggi in Europa il set­tore pri­vato è inerte e governi hanno paura di gui­dare come ci sarebbe biso­gno. Lo Stato deve essere anti-ciclico. Invece oggi abbiamo stati che si com­por­tano come farebbe una fami­glia. Ciò vuole dire non capire gli ultimi 70 anni di teo­ria eco­no­mica da Key­nes. Quello che poteva essere una reces­sione breve, è oggi una depres­sione totale. Sia eco­no­mica che visionaria.

 

* Mariana Maz­zu­cato inse­gna Eco­no­mia dell’innovazione allo «Science Policy Research Unit» dell’Università del Sus­sex in Gran Bre­ta­gna. Il suo libro più recente — «The Entre­pre­neu­rial State: debun­king public vs. pri­vate sec­tor myths» — tra­dotto in ita­liano da Laterza con il titolo «Lo Stato Inno­va­tore» è stato inse­rito nella lista dei «Libri dell’anno» del 2013 dal Finan­cial Times. Lavora sulla neces­sità di svi­lup­pare nuove cor­nici intel­let­tuali per com­pren­dere il ruolo dello Stato. Il libro deco­strui­sce il mito dell’opposizione tra la «buro­cra­zia» dello Stato e il set­tore pri­vato giu­di­cato infal­li­bil­mente «dina­mico» e «inno­va­tore». In una serie di «casi di stu­dio» (Infor­ma­tion Tech­no­logy, Bio­tec­no­lo­gie e Nano­tec­no­lo­gie, ad esem­pio) Maz­zu­cato dimo­stra l’opposto: il set­tore pri­vato trova il corag­gio di inve­stire quando lo «Stato inno­va­tore» decide di fare inve­sti­menti «ad alto rischio».

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