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L’ossessione dell’onestà: quando il M5s esagera

di Aldo Giannuli

Il tribunale ha dato ragione a De Magistris sulla sua sospensione in base alla legge Severino: resta sindaco sino a quando la Corte Costituzionale si pronuncerà. Stesso risultato per De Luca che è stato reintegrato. La cosa ha destato un certo scandalo in giornali come “Il Fatto” (che teme, peraltro fondatamente, che questi precedenti possano riaprire la strada a Berlusconi) e nel M5s che reclama la testa di tutti i condannati in primo grado.

Il M5s ha rappresentato una salutare reazione alla nauseabonda classe politica che da venti anni infesta il nostro paese ed ancora oggi rappresenta la maggiore contestazione al sistema politico. Ed è comprensibile che, come tutte le “reazioni” abbia avuto in sé una carica eccessiva, un’enfasi particolare sul tema dell’onestà che ha finito per mettere in ombra aspetti forse più rilevanti come la competenza, la capacità di mediazione politica, la progettualità.

Ci sta. Ma, anche facendo uno “sconto” sugli eccessi, in considerazione del carattere reattivo del fenomeno, bisogna dire che ora si sta andando oltre il limite dell’accettabile e credo sia necessaria una riflessione un po’ più a freddo sul tema.

Iniziamo dalla Severino che reputo una legge fatta con i piedi. Infatti, prevede la sospensione di eletti che siano incorsi in una condanna di primo grado, ma non dice che il condannato non sia candidabile per cui il risultato è un pasticcio senza pari, del quale ci stiamo accorgendo ora con i casi De Magistris e De Luca.

Se si stabilisse l’incandidabilità, questo comporterebbe l’esclusione dalle liste del candidato in difetto. Invece, in questo modo il problema si pone dopo le elezioni, ponendo una serie di problemi supplementari.

Personalmente, il neo eletto governatore della Campania mi sta simpatico come il fumo negli occhi o come un cazzotto nello stomaco, però vediamo che situazione si è creata: De Luca era un condannato in primo grado già quando si è presentato (ed il suo partito ha ritenuto ugualmente di presentarlo, perché aveva vinto le primarie), c’è stata una polemica nazionale durata un mese, per cui gli elettori campani sapevano perfettamente chi stavano eleggendo e, ciò nonostante, lo hanno votato lo stesso. Potete immaginare cosa penso degli elettori campani e di quelli del Pd in particolare, però un’investitura popolare c’è stata e non possiamo far finta di nulla, dicendo agli elettori ”Vi siete sbagliati, rifacciamo tutto”. Se si ammette la candidatura di una persona, vuol, dire che la si ritiene eleggibile, quindi o non si ammette la candidatura o poi ti tieni l’eletto.

L’escamotage trovato dalla Severino è la “sospensione” sino al giudizio definitivo dopo di che, se l’uomo è assolto viene reintegrato in carica, se condannato decade per difetto di un requisito fondamentale per l’eleggibilità. La soluzione (comunque discutibile) potrebbe avere una sua plausibilità se il processo avesse una durata di pochi mesi (come sarebbe giusto che fosse in ogni caso, dato che il “termine ragionevole” per la durata dell’intero processo, dovrebbe essere di due anni), ma siccome in Italia è normale che un processo penale duri mediamente dai cinque ai sette anni, cioè decisamente di più della durata di un a legislatura, la cosa non funziona, di qui le sentenze che hanno regolarmente concesso la sospensiva ai ricorrenti (come De Magistris). Per cui abbiamo una misura provvisoria (la sospensiva) su un provvedimento temporaneo (la sospensione) che di fatto risolve il problema di merito mentre i due procedimenti (amministrativo e penale) dormono nei cassetti. Vi sembra normale? Ora la competenza è stata spostata dai Tar ai tribunali ordinari che ci si aspetta siano meno larghi di manica con i ricorrenti, ma è molto probabile che queste aspettative vadano deluse.

Il problema è che, Costituzione alla mano, la Sanseverino non si mantiene né in piedi, né seduta né sdraiata. Per la Costituzione il cittadino è “presunto innocente” sino alla condanna definitiva passata in giudicato, pertanto è candidabile sino a quel momento, perché candidarsi è un diritto soggettivo assoluto che la legge ordinaria non può limitare. Ma se uno è candidabile è, ovviamente, eleggibile e l’istituto della sospensione di autorità non è previsto né dalla nostra né da nessuna costituzione di paese civile. C’è la decadenza in caso di condanna, ma non può esserci un “anticipo di pena” con una sospensione. Anche se, come direbbe Totò “Lei è innocente? Con quella faccia?!” purtroppo l’aggravante specifica della faccia non è prevista dall’ordinamento giuridico. Per di più, nel caso di De Luca, l’applicazione della legge avrebbe comportato anche lo scioglimento del consiglio regionale e nuove elezioni, per cui, la misura avrebbe colpito anche tutti i consiglieri regionali eletti, anche senza alcun carico pendente. Il che mi sembra francamente eccessivo.

In un paese civile, la Severino andrebbe abrogata in due settimane e, semmai, andrebbero stabiliti termini di tempo rigidi ed assai brevi per i reati riguardanti persone con incarichi politici. Anche se la cosa è un po’ forte dal punto di vista del garantismo, non troverei irragionevole istituire una giurisdizione speciale per questo tipo di reati, con una procedura propria. In fondo lo abbiamo già fatto per i processi di Mafia con l’istituzione delle procure antimafia, anche se le corti giudicanti restano quelle ordinarie. Se ne può sempre discutere, ma evitando queste scorciatoie che poi fanno più confusione che altro. Oppure potremmo prevedere un percorso speciale accelerato che limiti rinvii e sospensioni e dia la precedenza a questi casi rispetto agli altri.

Ma il guaio è che, soprattutto a causa del successo del M5s, si va diffondendo una ondata di irragionevolezza totale su questi temi. Ne volete un esempio? Pensate all’autolesionismo del M5s in termini di proprie candidature. Il regolamento interno stabilisce che per essere candidati occorre non solo non aver mai riportato condanne, ma non avere alcun procedimento penale in corso, con un certificato dei carichi pendenti immacolato come la Madonna. Sapete che significa? Che tutti (dico tutti) i principali parlamentari del M5s (da Di Maio a Di Battista per citarne solo due) sarebbero incandidabili come almeno il 60% degli attuali parlamentari.  C’è chi è stato querelato da esponenti di altri partiti che si sono sentiti diffamati, chi perché ha dato certi giudizi su Napolitano, chi perché ha partecipato ad una manifestazione del movimento No Tav, chi per aver detto una certa frase in un comizio o in televisione e così via.  Per cui, se il governo volesse togliersi dai piedi l’intero gruppo parlamentare rendendolo ineleggibile, basterebbe che desse indicazione ai corpi di polizia di denunciare ciascun parlamentare con qualsiasi pretesto, magari per qualcosa che poi cadrà in prescrizione prima ancora di iniziare un qualsiasi procedimento. Oppure se io voglio togliermi dai piedi un parlamentare che mi sta antipatico, magari, perché aspiro io a presentarmi alle consultazioni on line al suo posto, mi basta trovare un amico che presenti una querela (peraltro, potendola sempre rimettere prima che inizi un qualsiasi procedimento) per qualsiasi baggianata ed il malcapitato è incandidabile.

Immagino che, per quanto il tasso di talebanaggine del movimento sia decisamente alto, ci si penserà per tempo modificando questa norma demenziale. Sarebbe bene stabilire che, per dichiarare non candidabile un attivista del movimento, non sia sufficiente una querela di parte o anche la sola denuncia di un corpo di polizia e neppure l’avviso di reato o la richiesta di rinvio a giudizio. Sto parlando non di un criterio di legge assoluto, ma di un criterio politico interno al movimento. Direi che si può iniziare a discutere dal rinvio a giudizio in poi, anche se personalmente riterrei eccessivo anche questo e che la soglia minima –sempre come criterio politico e non di diritto- possa essere quella della condanna di primo grado.

In secondo luogo, direi che non tutti i reati sono uguali: un conto è aver rubato denaro pubblico ed altro conto è aver “oltraggiato” un pubblico ufficiale in una manifestazione o aver fatto una testimonianza reticente in una causa di scarsa rilevanza come un incidente automobilistico, sempre reati sono, ma il grado di pericolosità sociale direi che è ben diverso.

Poi io distinguerei fra reati dolosi e reati colposi: certo procurare un danno per negligenza e senza intenzione, se le conseguenze sono state gravi, merita una sanzione, ma direi che non è la stessa cosa che aver provocato con intenzione quel danno, si tratta di cose diverse da valutare diversamente.

Poi ci sono i reati “politici” come la partecipazione a manifestazioni di protesta con atti illegali (blocco stradale, occupazione, resistenza a pubblico ufficiale, vilipendio ecc) che andrebbero assolutamente non considerati dal punto di vista politico ed, in qualche caso, andrebbero rivendicati come medaglie al merito. Beccarsi una condanna per aver vilipeso il Presidente della Repubblica o per aver fatto una campagna di controinformazione, potrebbero essere titoli a favore, non causa di incandidabilità. Ad esempio, se uno si è beccato una denuncia per aver attaccato Napolitano, è un benemerito da lodare.

Infine, una norma di civiltà giuridica è che la pena estingue il reato; si può anche pensare ad alcune pene aggiuntive temporanee come l’incandidabilità o il divieto di lavorare nella pubblica amministrazione per una certa durata (ad es. cinque anni), ma poi basta. La recente polemica sulla nomina di Sofri fra i consulenti per la riforma carceraria perché “pregiudicato” (peraltro con una sentenza discutibilissima) è stata una pagina di rara inciviltà e passi che ci si metta il Sap (cosa volete dal sindacato dei carcerieri?), ma che ci si mettano anche i familiari di Calabresi, persone dotate di buona cultura, è inaccettabile. Allo stesso modo mi sembra una balordaggine improponibile che Grillo non sia candidabile (per sua stessa volontà) per un reato colposo commesso 35 anni fa. E questo conferma il tasso di masochismo del M5s.

In un paese civile l’ostracismo sociale a vita non esiste e, dopo un ragionevole periodo, proporzionato alla gravità del fatto commesso (e sempre che non ci siano stati altri episodi penalmente rilevanti), c’è la riabilitazione del cittadino: non si può essere “pregiudicati a vita”, anche perché la Costituzione parla di rieducazione del condannato, se poi questo resta un anatemizzato a vita, a che serve rieducarlo?

Cari amici, un consiglio: la testa non serve a dividere le orecchie!

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