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alfabeta

Tecno-entusiasti e imbecilli

Lelio Demichelis

Lasciatemi divertire con le parole, anche se diversamente da Palazzeschi. E ragionando di Eco e degli imbecilli via rete, lasciatemi partire dal famoso Apocalittici e integrati e lasciatemi ri-formulare quel titolo in altri modi (Eco, spero, mi perdonerà), ma utili al mio discorso. E dunque: libertari e solitari o sempre-connessi ma isolati; autonomi o eteronomi; amanti delle profondità o surfisti indefessi; cercatori instancabili (dubito, ergo sum) o app-isti semplificatori (credo, ergo sum); lenti e riflessivi o veloci e impulsivi/compulsivi; laici o integralisti. E si potrebbe continuare, il gioco è divertente e senza fine.

E invece, fine del divertimento. Per dire subito che quelle sopra elencate (disordinatamente) sono opposizioni reali che descrivono, certo semplificandola troppo (ma non troppo, e questo era il gioco), una realtà complessa. Oggi il pensiero critico sulla rete è ancora marginale. Le retoriche e le pedagogie di integrazione/connessione e di entusiasmo sono invece più potenti che mai e si chiamano connessione in rete (ormai un dovere sociale), flessibilità di lavoro e di vita (idem), tecno-entusiasmo sempre e comunque.

Se questa contrapposizione è un tranello o un errore intellettuale (è vero), ebbene (impossibile negarlo) a tenderlo sono proprio i tecno-entusiasti, i sacerdoti/inquisitori globali della evangelizzazione tecno-capitalista occidentale. La rete sarebbe una cosa bellissima e utilissima in sé se non fosse diventata ciò che è diventata (ma poteva non diventare): una grande società di massa.

Perché tale è (Luciano Gallino) quella società in cui “la popolazione partecipa su larga scala alle attività di produzione e consumo di merci e servizi” oltre ad essere spettatrice di una cultura di massa prodotta industrialmente. Perché il nostro rapporto con l’economia e con la tecnica si gioca tutto su tali opposizioni attivate incessantemente dai tecno-entusiasti e dai tecno-economisti, che proprio in questo modo, modernissimo e antichissimo allo stesso tempo, riescono a conquistare l’egemonia culturale, sempre riproponendo la contrapposizione schmittiana tra amico e nemico. Contrapposizione irrazionale e ideologica, ma utilissima e a riproducibilità tecnica infinita, perché nessuno vuole passare per anti-moderno e nessuno vuole sentirsi escluso dal vento della storia e dalla confortevole sicurezza che dà, in tempi di massima insicurezza individuale, la comunità in rete.

L’economia capitalista sa poi che siamo tutti soggetti desideranti e quindi gioca con il desiderio, il godimento, l’eros, il feticismo delle merci singole e di un mercato che diventa esso stesso oggetto del desiderio; e la tecnica fa esattamente altrettanto (con la rete e lo smartphone come oggetti del desiderio), sapendo quanto ci piaccia giocare con le cose e quanto le cose (e la connessione con esse) possano diventare per noi ben più importanti dell’essere e persino dell’avere, credendo anzi di poter essere solo connettendosi in rete. Rete che continuiamo a pensare neutra e di poterla usare liberamente e a piacimento, mentre in realtà le forme tecniche (Anders) si sono ormai sovrapposte, espropriandole, alle forme sociali e umane, per cui oggi pensiamo, viviamo, lavoriamo, ci divertiamo solo ed esclusivamente secondo le forme e le norme di funzionamento della tecnica. Che non controlliamo ma alla quale, semplicemente dobbiamo adattarci, così come i neoliberisti ci impongono di adattarci al mercato (ovvero, siamo sempre più dentro al Grande Irrazionalismo del razionalismo).

Condizione esistenziale in verità molto deprimente, ma accettata da tutti gli integrati del mondo. Che sono sempre di più (è l’effetto-rete, altrimenti chiamato conformismo), perché logica di ogni sistema/apparato è appunto quella della integrazione a sé – dopo avere suddiviso e individualizzato - di ogni parte prima suddivisa, annullando le diversità e le differenze o tollerandole solo se non producono disturbo al buon funzionamento dell’apparato. Perché il capitalismo e la tecnica amano (è la loro essenza e natura) la semplificazione (e se, con McLuhan, il medium è il messaggio, allora la semplificazione è il contenuto e il messaggio di questa rete) - e quindi, basta liceo classico!, troppo disfunzionale e umanistico rispetto a tecnica e mercato -, e poi la standardizzazione (anche quando si traveste di personalizzazione e di conoscenza), ma soprattutto l’accrescimento: dei profitti, l’uno, di se stessa, l’altra.

Ma allora, dove sono gli imbecilli? “Ammettendo che su sette miliardi di abitanti del pianeta ci sia una dose inevitabile di imbecilli, moltissimi di costoro una volta comunicavano le loro farneticazioni agli intimi o agli amici del bar – e così le loro opinioni rimanevano limitate ad una cerchia ristretta. Ora una consistente quantità di queste persone ha la possibilità di esprimere le proprie opinioni sui social network. Pertanto queste opinioni raggiungono udienze altissime, e si confondono con tante altre espresse da persone ragionevoli” – Umberto Eco. Vero e giusto, è pensiero critico. Aggiunge Eco: “Nessuno è imbecille di professione (tranne eccezioni)”. Ma in verità, molti di più sono gli imbecilli. O – se non piace il termine – gli ingenui e insieme i ciarlatani, i demagoghi.

Non eravamo forse imbecilli o ingenui quando abbiamo creduto, negli anni ’90 a quegli economisti che promettevano che con la new economy saremmo entrati in un’era di crescita infinita? Non eravamo imbecilli o almeno ingenui a credere che la rete e l’informatica ci avrebbero fatto lavorare di meno, che avremmo avuto più tempo libero, che sarebbe nata davvero una intelligenza collettiva senza più sfruttatori e sfruttati, senza capire ancora (dopo due secoli di esperimenti su di noi) che scopo della tecnica e del capitale è quello non di liberarci dal lavoro ma di estrarre quanto più profitto e quanta più produttività è possibile da ciascuno di noi? Oggi ci ritroviamo più sfruttati, meno liberi, più controllati, più integrati (connessi) nel sistema, ma siamo ancora pieni di tecno-entusiasti che – incapaci di autocritica - da ogni parte straparlano di sharing economy, di condivisione, di democrazia in rete, di utilità del Big Data, di Uber come fine della corporazione dei tassisti.

Ecco, il pensiero critico – che certo non si banalizza nel contrapporre libro e linguaggi digitali - non gode di buona stampa e anche la proposta di Eco – assolutamente condivisibile - di avere giornali capaci di dedicare due pagine ogni giorno all’analisi critica dei siti web si scontra con le logiche dei siti dei giornali stessi, dove il fun e l’imbecillità sono sul lato destro, con foto e titoli ammiccanti. E ancora: “il pubblico, in una società di massa ha la memoria labile e il desiderio facile” (Eco, Apocalittici e integrati). Ma a evitare questa smemoratezza dovrebbero essere gli intellettuali. Se non lo fanno, rinnegano se stessi e il dovere della parresia (dire il vero o un vero diverso da quello predominante); o, come ha scritto Erri De Luca, della parola contraria. E diventano, ipso facto, cattivi maestri.

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