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thewalking

Il nuovo film dell’estate: la Fed, la Cina e la Grecia

Maurizio Sgroi

Come in un vecchio film di Sergio Leone, quindi avvincente e pieno di primi piani, i registri del mainstream, pressati dai venti fischianti del redde rationem che ormai non possono più essere ignorati e tantomeno sottovalutati, stanno scrivendo la sceneggiatura del nuovo grande successo dell’estate 2015: la Fed, la Cina e la Grecia.

Un copione denso, cervellotico e pieno di azione, dove la crisi greca suggerisce alla Fed di rimandare l’exit strategy, ormai sempre più comedy, mentre la Cina affronta il suo personalissimo 1929, con le borse a perdere a doppia cifra similmente a quel disgraziato ottobre, come hanno scritto in tanti.

Oppure, a secondo dell’angolatura della telecamera, un film dove l’indecisione dell’economia americana, certificata dalle ultime minute della Fed di giugno, rischia di trasferirsi sulle aspettative dei mercati, peraltro spaventati dal rallentamento cinese e dal rischio Emergenti, vieppiù aumentato dopo che il dollaro si è apprezzato a causa del QE della BCE, ma soprattutto perché la zona euro, e anzi l’Europa tutta è in crisi, sempre a causa della Grecia.

Insomma, la Grecia: ma davvero?

No, invece il problema è la Cina, suggerisce un altro sceneggiatore, che siccome si è riempita di debiti che non sa neanche gestire, sta vivendo il dramma di un riequilibrio brutale quanto salutare.

Peccato però che tale riequilibrio sia capacissimo di trasmettersi per contagio prima alle altre economie asiatiche e poi alle banche americane, che la Cina hanno generosamente sovvenzionato in questi anni, mentre la Cina riforniva lo Stato americano comprando i suoi bond. E figuratevi l’Europa, che sta in mezzo e ha pure lei rifornito generosamente le banche cinesi, e che deve sempre fare i conti la la Grecia.

Sta a vedere che la Grecia è l’ombelico del mondo.

Assisto deliziato alle riprese di questo capolavoro estivo e mi preparo a godermelo, visto che durerà a lungo.

Non crediate che esageri. La crisi greca dura ormai da cinque anni, e la previsioni del Fmi diffuse di recente illustrano che se tutto va bene ci vorrà un cinquantennio prima che la situazione si normalizzi in quel disgraziato paese.

E la Fed? Sfoglio le 25 pagine di minute dove si analizza la situazione dell’economia americana e internazionale e l’unica cosa che capisco è che ci sono posizioni, fra i banchieri, assolutamente diverse fra loro: non c’è intesa neanche su quanto l’economia Usa stia in salute, e figurarsi su quando alzare i tassi. Ciò su cui tutti sono d’accordo sono prudenza e moderazione, ricordando pure che pure se il tasso verrà alzato, in ogni caso il FOMC sarà sempre pronto a tornare sui suoi passi. Il che mi fa sorridere: quanto deve essere fragile il mondo globalizzato nel quale viviamo se persino alzare i tassi americani di mezzo punto solleva tanti timori?

Ma li alzeranno poi questi tassi? L’attesa per il rialzo dei tassi Usa assomiglia a quella di Godot. Nella minuta c’è scritto che serviranno ulteriori miglioramenti nel mercato del lavoro e che ci sia abbastanza fiducia che l’inflazione torni al 2% nel medio termine. Quindi ne deduco che non succederà a settembre come si prevedeva (capite bene: c’è la crisi in Grecia e ancora doveva scoppiare quella in Cina) però forse a fine anno o magari meglio nel 2016, come i sempre solerti “non officials” fanno trapelare sulla stampa specializzata.

Anno nuovo, vita (monetaria) nuova.

La sensazione è che, come la crisi greca, la politica monetaria americana sia sostanzialmente bloccata nella stanca ripetizione di se stessa.

I torbidi cinesi, poi, sembrano fatti apposta per durare in eterno. Adesso i cinesi sono entrati nella fase in cui viene invocata l’azione del governo mentre la banca centrale allenta la liquidità. Ennesima replica stanca di episodi a noi assai noti.

Gli osservatori più attenti, e sin da tempi non sospetti, hanno sottolineato quanto fosse fragile il miracolo cinese, che ormai da anni si nutre di se stesso, come un cannibale. Dal 2008 in poi l’economia cinese non è più stata la stessa e ha piantato le basi robuste della rovina. E adesso ci mancava pure la crisi greca. Non sono i cinesi quelli che hanno investito in Grecia massicciamente comprando porti e chissà cos’altro?

Il film dell’estate, per il quale si prevedono repliche in autunno e inverno e chissà per quanto ancora, dovrebbe solo ricordarci una cosa molto semplice, che in tanti dimenticano con troppa facilità: siamo tutti interconnessi. Le politiche delle banche centrali, ormai ostaggio di se stesse come mostra l’attendismo della Fed, hanno ulteriormente infittito e intricato la maglia delle relazioni debito/credito che i diversi paesi del mondo hanno tessuto negli ultimi decenni.

Chi pensa di scamparla dal diluvio universale che potrebbe provocare la generale resa dei conti, sempre in corso di preparazione, è un seguace ignaro di Noé, senza avere però nemmeno l’arca. Così come l’idea della crisi greca che spaventa gli Usa somiglia a quella del battito d’ali della farfalla che scatena un tifone in Australia.

Siamo tutti legati in una fitta rete che imprigiona il mondo in un caos di relazioni economiche, fragili e violente, e pure costretti a farci piacere questa sorta di matrimonio, in salute e in malattia. Sia quando ci sono le riprese che quando arrivano le crisi.

Finché morte non ci separi.

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