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aldogiannuli

Posso parlare male del volontariato?

di Aldo Giannuli

Sicuramente molti dei pochi che mi leggono staranno storcendo il naso già dal titolo: se c’è una cosa virtuosa, di cui non si può dire che bene, è il volontariato, espressione di altruismo, di senso civico, di dedizione agli ideali. Come si fa a parlare male di una cosa così nobile? Si può, si può…

Intendiamoci, non biasimo affatto l’idea in sé di donare proprio tempo ed  energie per migliorare la società e soccorrere chi ne ha bisogno. Anzi auspico che molti altri lo facciano, ma nelle forme giuste e non ideologiche, perché il volontariato non può e non deve essere una forma di ideologia del “bene comune”.

Il problema è che fare “del bene” (usiamo questa espressione logora ma utile a capirci) non è affatto una cosa semplice e va fatta con il cervello, il “cuore” da solo non basta e spesso fa danni. La giovane cretina che, con la benedizione del Comune, invasata dal sacro fuoco di fare la “cosa giusta” ed armata di pennelli, inizia a ripulire le mura cittadine dagli scarabocchi  degli imbrattatori, è capacissima di cancellare un murales che, invece, ha ragione di essere, è gradito dagli abitanti ed ha un suo valore estetico e magari artistico; una così è un pericolo pubblico a cui sarebbe bene proibire di uscir di casa. Il “volontario” che vola in zona di guerra senza nessuna cautela e si fa catturare, obbligando lo Stato a darsi da fare per la sua liberazione e sborsare un ingente riscatto, è un imbecille che andrebbe lasciato nelle mani dei suoi rapitori, così impara. Il soccorritore improvvisato può fare danni ancora peggiori all’infortunato e così via.

Quindi, in primo luogo, attività del genere andrebbero sottratte all’improvvisazione, preparate, organizzate. Ma qui scatta una trappola molto più pericolosa: quella del falso volontariato. Nel mondo ci sono i truffatori perché ci sono gli stupidi e così il mondo è pieno di false società benefiche, enti morali, onlus e chi più ne ha più ne metta, che sono nidi di profittatori che lucrano sul lavoro di un branco di deficienti convinti di essere angeli. Ricordo che, nei primi anni novanta ci fu una indagine sulle associazioni di volontari che si occupavano di accoglienza agli immigrati, cosa nobilissima che non può che trovarmi d’accordo. Peccato che poi sia emerso che queste associazioni consumavano l’87% (ho detto ottantasette per cento) delle risorse raccolte fra contribuzioni pubbliche e sottoscrizioni private, per il mantenimento delle proprie strutture e personale, destinando solo il 13% alle attività di accoglienza.

Poi, nel caso di volontariato in zone di guerra, la cosa si presta magnificamente ad infiltrare spie, contractors travestiti, contrabbandieri e trafficanti tutto ecc.: una cuccagna per i servizi di intelligence di tutto il mondo. Il che non vuol dire che non esistano organizzazioni che fanno più che dignitosamente il proprio lavoro (Medici senza frontiere, Emergency ecc.) il guaio è che ci sono una valanga di patacche, finte associazioni e simili che sono il veicolo delle peggiori porcherie ed anche le organizzazioni più serie devono guardarsi le spalle dai tentativi di infiltrazione. Esattamente come i missionari (lontani progenitori dell’attuale volontariato) che, durante il colonialismo, hanno edificato scuole, ospedali, centri di formazione professionale, ma sono stati anche l’alibi di copertura alle occupazioni militari, i primi agenti di penetrazione e, spesso, il veicolo di operazioni di spionaggio, di colonizzazione culturale, ecc. Si diceva che dietro il missionario veniva il mercante e, dietro tutti due, il soldato europeo con la sua artiglieria. Se andiamo a fare il calcolo di costi e benefici, siamo sicuri che i missionari abbiano fatto più bene che male?

Mi direte che questi sono casi distorti e che non si può giudicare il volontariato dal fatto che c’è chi ne abusa. Il punto è che, al di là delle “sovrapposizioni batteriche” come quelle di affaristi, mafiosi e servizi segreti, ad essere sbagliata è l’idea di fondo del volontariato. Si tratta né più e né meno dell’idea cattolica (magari un po’ spruzzata di filantropia anglosassone) per la quale le sofferenze umane si risolvono attraverso l’impegno caritativo.

L’umanità ci ha messo un po’ ma è arrivata alla conclusione che i problemi sociali non possono essere risolti in questo modo, ma attraverso misure politiche. Mi pare che stiamo tornando indietro.
Questo non significa che non sia auspicabile prestare la propria attività a puro titolo di solidarietà a chi ne dovesse aver bisogno o per fini sociali, ma che questo deve avere carattere eccezionale, aggiuntivo e non ideologico, senza avere la pretesa di risolvere alcun problema sociale. Mi spiego meglio: se c’è un terremoto o una inondazione è giusto prestare la propria opera di soccorso e spalare fango, ma questo deve affiancare l’opera della protezione civile, non sostituirsi. Il compito principale deve restare alla protezione civile che deve essere efficiente, il lavoro volontario deve essere solo una aggiunta utile, ma non necessaria. Oppure, se c’è un incidente stradale è obbligo morale (e giuridico) di tutti soccorrere gli infortunati in attesa dell’arrivo dell’autoambulanza, ma questo non può diventare un mestiere ed è sbagliato che sulla autoambulanza ci siano volontari: quello deve essere un lavoro regolare e retribuito, per cui sostituirlo con il volontariato, che, per definizione è lavoro non retribuito, diventa una forma inconsapevole di crumiraggio sociale, perché l’amministrazione competente si abituerà all’idea di avere chi fa quel lavoro gratis e non assumerà chi dovrebbe pagare.
Sostituire con volontari il personale paramedico di un ospedale o di assistenza agli anziani è un comportamento incivile (sia della direzione dell’ente che dei singoli volontari), perché il cittadino ha diritto all’assistenza e non deve dire grazie a qualcuno che gliela fornisce per buon cuore. Pericolosissimi sono poi i vari “angeli della città”, ronde e simili che pretendono di vigilare sulla sicurezza delle nostre strade: questo è compito delle forze di polizia e di nessun altro.

Poi ci sono momenti e situazioni eccezionali, ad esempio l’assistenza medico-chirurgica in  teatri di guerra, dove è bene che ci siano ospedali non governativi o comunque legati ad una delle parti in conflitto, che garantiscano, per quanto possibile, l’assistenza a tutti in condizioni di sicurezza. Ma queste sono situazioni, appunto, eccezionali.

Il guaio è che molti fanno del volontariato per sentirsi buoni, anzi “i migliori”, per piacersi: una forma di narcisismo fra le più preoccupanti. E molti altri perché amano pensare che i problemi sociali possano risolversi con tanti piccoli gesti individuali. Mi ricordano quelle signore che, negli anni sessanta, si scofanavano di cioccolatini, convinte di risolvere il problema della fame in India, perché mettevano da parte la stagnola in cui erano avvolti, per darla a un qualche ente ecclesiastico che poi la rivendeva a qualche ditta produttrice di lampadine. Manco a dirlo, del ricavato di quelle vendite i poveri affamati indiani non hanno mai avuto notizia alcuna.

Il volontariato ideologico? E’ una delle piaghe sociali del nostro tempo. Ci vorrebbe un organismo di volontari che rieducasse con la sufficiente energia questo tipo di volontari…

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