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Approdo di Renzi

di Augusto Illuminati

Anche se tanti lettori di DinamoPress sono affezionati cultori del Game of Thrones e di House of Cards, spesso guardiamo agli eventi politici con innocenza, ovvero leggendoli come semplici conflitti di interesse, malvage macchinazioni neo-liberiste ispirate dalla grande finanza e dalla tecnocrazia europea e applicate localmente da vecchi e nuovi manutengoli del ceto politico nostrano.

Tutto vero, però qualcosa non torna mai giusto, c’è un’eccedenza che travalica la smania di profitto o di potere e rende indecifrabile il succedersi degli scenari e imprevedibili i loro esiti. Potrebbe aiutare il ricorso agli intrighi televisivi, che hanno il doppio vantaggio di essere derivati da esperienze reali (storiche e contemporanee mischiate) e di retroagire su di esse, dato che molti politici ne traggono ispirazione. Ovvio, i nostri attori sono molto peggiori di quelli americani (vedi il penoso 1992), ma tant’è.

Anche le vicende del Comune di Roma), con quelle parallele di Crocetta in Sicilia, presentano uno svolgimento che resterebbe enigmatico se lo leggessimo con gli ordinari strumenti politici e sociali. Balza agli occhi, per esempio, che l’esito più probabile di una caduta di Marino o Crocetta, seguita da elezioni anticipate nel 2016, sarebbe una sconfitta del Pd a favore della destra o del M5s, con un traino negativo sulle altre poste in gioco in un eventuale election day. Possibile che non venga messo in conto?

La caduta di Crocetta è stata sollecitata con una falsa intercettazione costruita in modo sgangherato, un “pacco” rilanciato dal gruppo Espresso-Repubblica e rumorosamente gestito dal renziano Faraone (che si è un po’ bruciacchiato le penne), così che l’inverosimile governatore siciliano ne è uscito addirittura come un martire e lo scioglimento dell’ARS è andato a puttane, per la nobile reazione dei deputati siculi di fronte alla menzogna e alla prospettiva di una riduzione programmata da 70 e 50 eletti…Chi gliel’ha fatto fare a Renzi?

L’offensiva contro Marino è iniziata con il commissariamento del Pd romano, la disarmante relazione Barca sullo stato del partito e l’insidioso dossier del prefetto Gabrielli sul Consiglio comunale, in via di trasmissione ad Alfano e al CdM per eventuali provvedimenti. In essa Marino è assolto per incapacità di intendere e di volere, mentre tutto l’apparato comunale è bollato di mafiosità.

Riflettiamo sul fatto che più di metà dei circoli Pd è in pratica accusato da Barca per associazione mafiosa o collaterale e che tanto Marino quanto Orfini stanno sotto scorta per minacce provenienti dal loro partito. Per altro verso, Renzi diserta la conclusione della festa dell’Unità, sostituendola con esibizioni al biliardino e pietose imitazioni berlusconiane, per timore di (legittime) contestazioni interne ed esterne al Pd e di contingenti “mariniani” cammellati. Neppure ad Approdo del Re o nei locali di Georgetown si è visto nulla di simile. Questo lo sfondo. Su di esso si sono delineate due strategie opposte, provenendo da una stessa origine (il commissariamento del Comune e del Partito). Renzi punta a far cadere la giunta entro settembre, per commissariare il Comune, scavallare il Giubileo e magari la scelta della sede olimpica 2024 e arrivare all’appuntamento elettorale di maggio 2016. Il suo emissario Orfini, invece, vuole congelare la situazione, rappezzare la giunta con un rimpasto con quadri renziani ma non troppo, anzi proprio “orfiniani” o almeno veltroniani, e arrivare a nuove elezioni o a scadenza o almeno nel 2017, con sub-commissari parziali, in particolare per la temibile gestione del Giubileo.

Come si spiega?

Cominciamo a dire che l’ingresso nella maggioranza dell’ALA tornante verdinian-cosentiniana rappresenta una mutazione antropologica del Pd, un salto di qualità rispetto a ogni deriva riformista o neo-liberale. Ripeto: si tratta dell’ingresso di una componente affaristico-mafiosa autonoma nella cerchia dirigente e direttamente nel nucleo toscano, che si sovrappone al controllo di formazioni mafiose su larga parte dell’apparato Pd e dei poteri locali che rispecchiano l’attuale maggioranza dal Lazio in giù (Puglia e Basilicata escluse), Parlando di controllo intendiamo dire che i mafiosi Pd-Ncd non comandano o colludono, bensì obbediscono ai gruppi dirigenti criminali delle varie regioni. Niente a che vedere con il rapporto fra Dc e mafia negli anni ‘40-‘60. La stessa banda renzian-verdiniana in Toscana è un segmento dei poteri finanziari, ma contrassegnato dalla bancarotta e dal deficit, quindi subalterna perfino alle malmesse banche nazionali. Non è strano che i generali della Finanza li ricattino alla grande, come risulta dalle intercettazioni ambientali nei ristoranti; manca solo lo sgozzamento dal barbiere, per un film di genere.

La bocciatura al Senato degli arresti domiciliari ad Azzollini, scaturita dall’invito del capogruppo Zanda (su input diretto di Renzi) a votare “secondo coscienza” e “presa visione delle carte” bocciatura che ha visto la flebile ma significativa protesta della Serracchiani ma non dell’altro vice-segretario, Guerini– è un indice della svolta e del cambio di maggioranza, che rende irrilevante il dissenso dei bersaniani e sposta la lotta per il potere, nell’autunno renziano, su tutt’altro piano. Lo schema da seguire non è più quello della dialettica interna per correnti di un partito di massa conservatore o progressista, ma la guerra per bande, seguendo il suddetto modello televisivo e la più istruttiva delle sue fonti: le vicissitudini della mafia Usa anni ‘20-‘40, senza peraltro un Lucky Luciano federatore e “pacificatore”. Quindi Serracchiani e Orfini (ma anche i governatori Emiliano e Rossi) non vanno presi per eredi di una sinistra socialdemocratica alzheimeriana –tipo Bersani, Cuperlo o gli altri in uscita– ma come seconde file che fiutano le difficoltà del boss e si posizionano per la successione. Il rampante Al Capone e lo sfiatato Torio, ci siamo capiti.

Siffatto cambio di paradigma –in aggiunta alle considerazioni specifiche dell’ultimo editoriale di DinamoPress su Roma– rende irrilevante sia la timida dissociazione di Sel sia i progetti di vita a sinistra per addizione di schegge ortodosse e neo-keynesiane. La degenerazione mafiosa interna e la sovradeterminazione europea e neo-liberale della crisi, le due ganasce della mungitura alla Buzzi e dei tagli lineari alla Gutgeld, lasciano poco spazio a un’opposizione tradizionale. C’è molto da reinventare per contrastare quelle strategie.

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