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Pd: cova la rivolta dei boiardi

di Aldo Giannuli

Qualcosa si sta muovendo nelle viscere profonde del Pd: il governatore della Toscana, Enrico Rossi, annuncia di volersi candidare come segretario del Pd, quello della Campania De Luca, già da tempo ha mugugnato contro Renzi, ora è la volta del governatore della Puglia, Emiliano, che si permette apertissime frecciate contro il Premier reo di aver disertato l’inaugurazione della Fiera del Levante.

Poi sappiano dei malumori di Marino e Zingaretti che non si sono sentiti abbastanza difesi per la storia di Mafia-Capitale, mentre Fiano e Majorino non hanno apprezzato l’aperta sfiducia di Renzi nei loro confronti.

Quello che colpisce è che la maggior parte di questi nomi non appartengono affatto alla minoranza bersaniana del Pd, ma sono personaggi che, a suo tempo, hanno votato per Renzi.

E’ una situazione che mi ricorda il capitombolo  di un altro famoso toscano negli anni cinquanta, Amintore Fanfani da Arezzo (ricordate sempre il nome di questa città: Arezzo…). Anche lui non si contentò di fare il Presidente del Consiglio ma volle restare segretario del partito e mal gliene incolse, perché l’anima profonda del partito (la provincia triveneta e lucana, i boiardi di Puglia, Campania e Liguria, i padri nobili sardi) non gradì e, con una congiura tessuta nel convento romano di Santa Dorotea, lo depose da tutte due le cariche. Non c’era nessun dissenso sostanziale di linea, anzi i congiurati si collocavano tanto alla sua destra quanto alla sua sinistra, il punto era la distribuzione del potere nel partito.

Non vi sembra una foto somigliantissima a quello che va covando in queste settimane nel pancione della nuova “balena Bianca”? D’altra parte, se il Pd vuole diventare del tutto la nuova Dc, ci vogliono anche i neo dorotei. Anche se, per la verità, Renzi come nuovo Fanfani lascia molto a desiderare (quello originale aveva un pensiero strategico, non era solo un volgare accentratore di potere).

Staremo a vedere nei prossimi giorni come andrà a finire la riforma del Senato, sulla quale la minoranza di “sinistra” resiste impavida sfidando la tempesta (ma voi ci credete?!). Però, nel segreto dell’urna potrebbe anche fioccare qualche “no” non bersaniano: la vita è piena di imprevisti.

Ma, al di là di quello che può succedere al Senato, il futuro non si prospetta particolarmente roseo per il Pd. Anche perché, al solito, il Pd mostra di non capire assolutamente nulla di sistemi elettorali. Mi spiego: se io fossi il leader di un partito di maggioranza relativa, avrei interesse ad un sistema elettorale maggioritario secco ad un solo turno. Il secondo turno è una possibilità di recupero data ai miei concorrenti. E peggio ancora se i risultati delle amministrative dicono che il mio partito ha uno scarsissimo appeal sulle altre aree elettorali, per cui, fra un turno e l’altro, aggiunge pochissimo, mentre il mio concorrente (chiunque esso sia) mostra di aggiungere molti più consensi. E più ancora se il premio va alla singola lista e non ad una coalizione.

Vediamo quale è il caso del Pd: i sondaggi lo danno chi in leggero calo ulteriore, chi in lieve ripresa, comunque non sotto il 32%, inoltre le frattaglie del centro (Alfano, ex montiani ecc) e i rimasugli di Sel sembrano pronti a confluire nella lista di Renzi. Quindi un 37-38% di primo turno è una previsione per nulla azzardata. Vice versa, la destra, per ora ancora frattumatissima, pur sommando tutti i pezzi (da Fitto a Salvini, da Tosi a Berlusconi alla Meloni) difficilmente sfiorerà il 30% e rischia di andare sotto il 25%, comunque sembra molto distante dal traguardo della maggioranza relativa al primo turno. Il M5s  è stimato al 26 ed è ragionevole (anche se per nulla sicuro) che possa superare il 30 ed attestarsi al 32-33% nella migliore delle ipotesi, comunque, anche in questo caso siamo a diverse lunghezze di distanza dal Pd. Poi c’è il solito 7-8% di voto disperso dal quale comunque, sembra difficile che il Pd possa attingere in un secondo turno. Facciamo l’esempio di quel che resta di Rifondazione Comunista: se i suoi elettori non fossero disposti a votare per il Pd in un sistema elettorale ad un solo turno, vuol dire che, nel caso di un sistema a due turni, non sarebbero lo stesso disposti a votare Pd.

Dunque, vediamo che succede in caso di ballottaggio fra Pd e destra, arbitri sarebbero gli elettori del M5s e la lezione di Venezia dice che in gran parte si asterrebbero ma una porzione voterebbe per la destra mentre nessuno voterebbe Pd.

Ballottaggio Pd-5stelle: peggio ancora, come dimostrano i casi di Livorno, Parma ecc., gli elettori di destra votano 5stelle pur di battere il Pd.

Insomma, chi vota Pd lo fa al primo turno, dopo se arriva qualcosa, arrivano le briciole, mentre un segmento ragguardevole dell’elettorato del polo esclusosi riversa sullo sfidante.

Ed è sintomatico che il M5s (allo stato dei fatti, il probabile sfidante del Pd ad un eventuale secondo turno) stia scegliendo Luigi Di Maio come suo candidato premier: la testa più politica del movimento (insieme a Fico), l’uomo che non grida e sa essere rassicurante ed ha un profilo che può piacere all’elettorato moderato. Insomma, questa volta il M5s fa sul serio e non si limita a partecipare: punta a vincere. Io, al posto di Renzi, prenderei la cosa molto sul serio.

Ed allora, per Renzi, che senso ha puntare le carte su un sistema elettorale che, oltre che incostituzionale ed antidemocratico, è anche quello che gli è più sfavorevole? Già Occhetto scosse l’albero perché Berlusconi raccogliesse i frutti. Ho l’impressione che la storia si ripeta e forse anche questo spiega le convulsioni attuali nel gran correntone renziano.

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