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manifesto

Un medium pronto a tutto

Francesco Antonelli

«La razionalità digitale» del filosofo Byung Chul Han e un’inchiesta sull’uso di Internet come strumento politico aiutano a demistificare l’idea che il web sia il protopito di una forma inedita di democrazia diretta

Il rap­porto tra Rete e demo­cra­zia è uno dei feno­meni più stu­diati dalle scienze sociali con­tem­po­ra­nee. Que­sto accade per­ché, sin dal loro appa­rire, que­sti mezzi di comu­ni­ca­zione si carat­te­riz­zano per l’interattività e la pos­si­bi­lità data agli utenti di comu­ni­care senza i tra­di­zio­nali fil­tri alla cir­co­la­zione di opi­nioni e con­te­nuti del pas­sato (mass media, par­titi e intel­let­tuali). Se nell’Ottocento il fan­ta­sma che «s’aggira per l’Europa» era stato il comu­ni­smo, il Nove­cento ha nutrito le pro­prie classi diri­genti del culto della delega e del rifiuto della par­te­ci­pa­zione diretta al governo della cosa pub­blica, sino ad arri­vare ad un punto, alla fine del XX secolo, nel quale il nuovo fan­ta­sma che «s’aggira» è rap­pre­sen­tato dalle ondate di desta­bi­liz­za­zione e di rias­se­sta­mento delle post-democrazie con­tem­po­ra­nee favo­rite dall’ascesa delle tec­no­lo­gie digitali.

Di desta­bi­liz­za­zione e rias­se­sta­mento si deve par­lare per­ché l’orizzonte della demo­cra­zia diretta, par­te­ci­pa­tiva e deli­be­ra­tiva, come pra­tica di sosti­tu­zione delle tra­di­zio­nali forme di demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva, si è pre­sto rive­lata come uno dei pos­si­bili esiti legati allo svi­luppo della Rete, ma senz’altro né l’unico né tanto meno il più pro­ba­bile: se ad un primo periodo pio­ne­ri­stico di ascesa di Inter­net cor­ri­spon­deva un forte legame tra le cul­ture tecno-libertarie e hac­ker dei primi utenti\sviluppatori della Rete (tra i quali forti erano ancora gli echi della cul­tura del Ses­san­totto sta­tu­ni­tense) e inter­pre­ta­zioni quasi palin­ge­ne­ti­che delle poten­zia­lità demo­cra­ti­che della Rete, si è pas­sati ad una «fase lunga» nella quale la mol­ti­pli­ca­zione delle pra­ti­che poli­ti­che in Rete ha dif­fuso un sostan­ziale pes­si­mi­smo circa la pos­si­bi­lità di rea­liz­zare una demo­cra­zia diretta digi­tale. Più sono cre­sciuti in tutto il mondo gli utenti della Rete più è entrata in crisi la tra­di­zio­nale distin­zione tra vita on-line e vita off-line: il mondo ha fatto irru­zione nella Rete e vice­versa, pol­ve­riz­zando l’avanguardia cul­tu­rale dei primi tempi e mostrando tre lati oscuri.

 

L’ora quo­ti­diana d’odio

Il primo è l’utilizzo pro­pa­gan­di­stico che di essa si può fare, dando l’illusione agli utenti\cittadini di par­te­ci­pare real­mente alla can­di­da­tura e alla vita poli­tica di un lea­der o di un sog­getto poli­tico orga­niz­zato, quando in realtà i sin­goli sono coin­volti in una nuova forma di mani­po­la­zione; una risorsa che può essere uti­liz­zata con grande suc­cesso anche da sog­getti anti-democratici. Il secondo lato oscuro è rap­pre­sen­tato dalla spinta al raf­for­za­mento del potere cari­sma­tico del lea­der, al con­for­mi­smo, al popu­li­smo, alla super­fi­cia­lità del com­mento e del con­te­nuto, con­di­viso tra cer­chie ristrette e auto­re­fe­ren­ziali di simili. L’esito è la mol­ti­pli­ca­zione dell’«ora dell’odio» imma­gi­nata da Orwell in 1984 con­tro il pro­prio nemico (la casta, l’immigrato, l’omosessuale e così via).

C’è infine l’ascesa masche­rata di una dimen­sione pop e com­mer­ciale dello stesso agire poli­tico: nel momento in cui un utente si esprime su un social net­work ha l’impressione di riaf­fac­ciarsi in una nuova piazza digi­tale, men­tre invece si muove all’interno di uno spa­zio di pro­prietà di una cor­po­ra­tion pri­vata; un luogo dove si può essere espulsi, con­trol­lati e moni­to­rati secondo le regole del diritto pri­vato e non di quello pub­blico. Così, cri­tici auto­re­voli come Jür­gen Haber­mas sosten­gono che lungi dall’essere il nuovo vet­tore della demo­cra­zia diretta, il web 2.0 sarebbe in realtà l’esatto oppo­sto di quella sfera pub­blica che pro­prio il filo­sofo e socio­logo tede­sco vede alla base di qua­lun­que pro­cesso democratico.

Due libri recen­te­mente pub­bli­cati aiu­tano però ad ela­bo­rare una visione meno uni­la­te­rale del rap­porto tra demo­cra­zia e Rete, mostrando come la realtà sia più com­plessa e sfu­mata: è vero che le «rivo­lu­zioni arabe» par­tite dalla Tuni­sia o i vari movi­menti degli indi­gnati in Occi­dente non hanno pro­dotto un cam­bia­mento in senso radi­cal­mente demo­cra­tico degli Stati. Tut­ta­via, esse hanno dispie­gato attra­verso la Rete un poten­ziale cri­tico in grado di met­tere in crisi la poli­tica tra­di­zio­nale e di get­tare le basi per la nascita di alcuni nuovi sog­getti poli­tici (come «Pode­mos» in Spagna).

Il primo volume è stato scritto da un gio­vane filo­sofo tede­sco di ori­gine coreana, Byung Chul Han: Razio­na­lità digi­tale. La fine dell’agire comu­ni­ca­tivo (GoWare, Euro 3,74). Il pre­sup­po­sto fon­da­men­tale del libro è quello tipico dei medio­logi post­mo­der­ni­sti: i «bar­bari», vale a dire gli indi­vi­dui anti-sociali e nar­ci­si­sti che abi­tano le Reti, non devono essere respinti dalla poli­tica ma inclusi al suo interno attra­verso un cam­bio di para­digma nelle pra­ti­che demo­cra­ti­che. Per il filo­sofo è pos­si­bile pen­sare e pra­ti­care la demo­cra­zia senza far ricorso ad uno scam­bio comu­ni­ca­tivo e argo­men­ta­tivo come pre­vede la teo­ria di Haber­mas: rie­la­bo­rando il con­cetto di volontà gene­rale pro­po­sto da Rous­seau, si può imma­gi­nare la for­ma­zione di una deci­sione attra­verso il voto espresso su un tema da sin­goli indi­vi­dui isolati.

 

L’onda dei nativi digitali

Que­sta volontà gene­rale è pre-argomentativa e si forma per somma. Se la pro­po­sta di Han si fer­masse qui essa non sarebbe molto ori­gi­nale. Il filo­sofo si spinge però più in là: i sog­getti legit­ti­mati a deci­dere non sareb­bero tutti i cit­ta­dini ma gli insiemi sociali for­mati dagli esperti e dalle per­sone inte­res­sate ad una deter­mi­nata questione.

Nella visione di Han rie­merge così un’interpretazione eli­ta­ria della volontà gene­rale e sostan­zia­li­sta della demo­cra­zia. Nel rilan­ciare su nuove basi le poten­zia­lità par­te­ci­pa­tive della Rete, Han tra­scura inol­tre sia i peri­coli legati ad una auto-selezione poco isti­tu­zio­na­liz­zata dei vari gruppi deli­be­ra­tivi, sia il pos­si­bile cedi­mento di que­sti insiemi alla pro­pria emo­ti­vità, non mediata da alcuna strut­tura. Il poten­ziale cri­tico della Rete espresso attra­verso com­menti e prese di posi­zione di indi­vi­dui iso­lati è cer­ta­mente una risorsa nella rifor­mu­la­zione di una nuova fun­zione poli­tica ed intel­let­tuale ma que­sto non si tra­sforma auto­ma­ti­ca­mente in una pra­tica nean­che astrat­ta­mente pen­sa­bile come più effi­ciente e giu­sta delle attuali forme di demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva. Pro­prio il tema del poten­ziale cri­tico della Rete e del suo radi­ca­mento in dina­mi­che sociali più ampie, emerge dalla let­tura di un secondo libro: Gio­vani nella rete della poli­tica (Franco Angeli, Euro 25) di Ceci­lia Cri­so­fori, Jacopo Ber­nar­dini, Sara Mas­sa­rini. Attra­verso un lunga e accu­rata inda­gine sui com­menti scritti in Face­book da per­sone com­prese tra i 18 e i 36 anni nei giorni delle ele­zioni del 2013, le tre socio­lo­ghe mostrano, tra l’altro, come la poli­tica vis­suta in Rete da que­sti gio­vani ita­liani si eser­citi attra­verso una cri­tica argo­men­tata e ricca di cita­zioni, delle classi poli­ti­che. Sot­teso a que­sto orien­ta­mento è il con­flitto gene­ra­zio­nale: nella mag­gior parte dei casi, que­sta razio­na­lità cri­tica si dispiega da una presa di distanza nei con­fronti di quell’Italia e di quell’italiano medio appar­te­nente alle gene­ra­zioni più anziane, giu­di­cato come pre­va­ri­ca­tore, esclu­dente, incolto e respon­sa­bile dell’inarrestabile declino del paese. Al con­tra­rio di quello che sostiene Han ma anche lo stesso Haber­mas, per le tre socio­lo­ghe la poli­tica in Rete di que­sti nativi digi­tali riat­tiva non tanto forme già pronte per l’uso di demo­cra­zia diretta, quanto una nuova sfera pub­blica nella quale argo­men­ta­zione ed emo­zioni pub­bli­che (come l’indignazione) si intrec­ciano strettamente.

In con­clu­sione, il rap­porto tra poli­tica e rete non è deter­mi­nato e non può essere letto né da un punto di vista esclu­si­va­mente otti­mi­sta né pes­si­mi­sta. Al con­tra­rio, essendo coscienti che la più tipica forma di espres­sione di que­sta poli­ti­cità è forse oggi il riar­ti­co­larsi di una fun­zione cri­tica dif­fusa, occorre ricer­care volta per volta le radici sociali e non solo tec­no­lo­gi­che di quei sog­getti che, non tro­vando spesso piena cit­ta­di­nanza nella poli­tica isti­tu­zio­na­liz­zata e nelle rap­pre­sen­ta­zioni mass­me­dia­ti­che, uti­liz­zano le poten­zia­lità del web 2.0, muo­ven­dosi tra mille con­trad­di­zioni (non ultima, il già ricor­dato carat­tere pri­va­ti­stico dei social net­work).

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