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Il supermercato del passato tra Disneyland e folclore

di Tomaso Montanari

Il più grande Luna Park d’Italia è il passato: specie d’estate, quando la Penisola è attraversata da decine, forse addirittura da centinaia, di feste ‘medioevali’. Da ben venticinque anni Monteriggioni «di Torri si corona», ma nel frattempo un numero incredibile di località toscane meno note (da Malmantile a Momigno, da Fosdinovo a San Casciano, a Scansano con la sua «Giubilanza») ha preso ad offrire, in agosto, un temporaneo ritorno all’Età di Mezzo. Ma non è solo la Toscana: dal Piemonte (con Novara e Pernate) alla Puglia (Altamura), dalla Romagna (Brisighella) alla Campania (Vairano Patenora), dall’Abruzzo (Pizzoli) alla Sicilia (Randazzo) gli italiani sembrano felicissimi di abbandonare il presente per sprofondare nei cosiddetti secoli bui.

Naturalmente si tratta di un Medioevo fantasy, che non ha nulla a che fare con la storia, e che si risolve in un simpatico ibrido tra Disneyland, il gioco di ruolo e la rievocazione folcloristica con annessa sagra gastronomica. «Non lasciatevi scappare il processo pubblico e la condanna pubblica alla gogna, e i duelli della piazza d’armi praticati da veri professionisti», suggerisce il sito un po’ giustizialista di Festa Nova (rievocazione medievale di Fossanova, in Lazio): perché anche i cosiddetti ‘musei’ della tortura hanno posto nella bizzarra genealogia di questi improvvisati festival del passato, cui in fondo appartiene pure la rievocazione del mitico Giuramento di Pontida, celebrata ogni giugno dalla Lega (già) di Bossi. Non mancano, bisogna riconoscere, affondi più selettivi: a Castignano, nelle Marche, ci si dedica monograficamente agli immancabili Templari. E se a Viterbo si tiene «Ludika 1243», nella longobarda Cividale del Friuli si risale all’inizio del Medioevo, con l’iperspecialistico «Anno Domini 568».

Lo strepitoso successo di questo supermercato del passato ha cominciato a influenzare profondamente quella che gli economisti della cultura e i ministri per i Beni culturali chiamano la ‘valorizzazione’ – e che sarebbe più onesto chiamare la ‘brandizzazione’ – del nostro patrimonio culturale: cioè la sua trasformazione in un prodotto commerciale. Mentre la magnifica Cosenza vecchia va inesorabilmente in rovina, per esempio, il Comune lavora da anni ad un fantomatico Museo di Alarico che celebri il re barbarico leggendariamente sepolto nel fiume Busento. E naturalmente i solerti amministratori calabresi pensano già al pacchetto di manifestazioni collegate: il cui brand sarà «La Leggenda di Alarico».

A Taranto, invece, si pensa a Sparta. Già, perché prendendo spunto dalla sua presunta fondazione spartana, gli Artisti Uniti per Taranto hanno depositato il brand «Taranto la città spartana», proponendo, tra le altre cose, la sostituzione di una fontana storica con un colonnato in marmo fornito di sculture bronzee (un simil Vittoriano, per capirsi), e la collocazione di un colosso di 12 metri, raffigurante Falanto, mitico fondatore spartano. Già pronto anche il logo dell’operazione: che riprende il nome di Taranto, ma con la ‘a’ centrale che si trasforma nel ‘lambda’ di Lacedemoni, nome greco degli Spartani. Aspettate a sorridere, perché il ministro Dario Franceschini ha già benedetto l’impresa: «È un progetto molto bello. Quando io insisto sul concetto che Taranto davvero può investire sulla propria storia non penso solo al Museo archeologico nazionale o al centro storico e agli altri monumenti importanti che ci sono. Penso al fatto che Taranto è l’unica città spartana del mondo: Sparta è un brand che nel mondo ha un successo incredibile, nello sport e in tanti settori». Resta solo da capire a chi toccherà lo scomodo ruolo degli Iloti – il popolo di schiavi su cui si reggeva il dominio di Sparta: ma il vasto mondo dei precari del Mibact offre un bacino naturale.

In Toscana, invece, ci si è orientati sulla spettacolarizzazione delle opere d’arte più famose. Prendiamo Siena: perché andare a visitare l’originale della Maestà di Duccio quando la sera te la puoi vedere proiettata in formato colossale, sul muro dell’incompiuto Duomo Nuovo? È l’offerta di «Divina Bellezza- Discovering Siena», che si autodefinisce il primo evento di «history telling» italiano: e che in pratica si risolve in uno spettacolo di suoni e luci che dura mezz’ora, al costo di 13 euro a persona. È sintomatico il fatto che il sito lo venda con gli stessi claim delle feste-sagre medioevali: «un evento spettacolare per animare le sere d’estate del 2015 e trasmettere valori, messaggi e rievocazioni storiche». Contemporaneamente a Firenze tiene banco «Magnificent»: «l’incredibile storia della Bellezza che ha rivoluzionato il mondo» (un sottotitolo tra Vanna Marchi e Matteo Renzi). Di fatto, un’altra proiezione (stavolta sui muri interni di Palazzo Vecchio) in cui «le principali opere pittoriche e scultoree del Rinascimento sono state elaborate con tecniche digitali», e vengono narrate dalla voce di Andrea Bocelli. Una «vera esperienza che parla al cuore e all’immaginazione»: per venti minuti, a otto euro.

Se in questi due casi ha vinto il modello televisivo – il patrimonio è sostituito da una sua spettacolarizzazione: come se fossimo in Australia o in Texas, e non a pochi passi dagli originali – nella vicina Pisa si è preferita un’esperienza più concreta: aprire al pubblico il camminamento delle mura medioevali della città. In astratto, un’iniziativa lodevole: ma è stato necessario dotare le mura di ringhiere su ambo i lati, per evitare che i turisti cadano nel vuoto (come di tanto in tanto accade su quelle di Lucca), conferendo così al tutto un terrificante aspetto da ‘condominio’ borghese. In diversi punti si è costruito un muretto di mattoni tra un merlo e l’altro, mentre nei tratti che affacciano su proprietà private si sono dovuti installare paraventi “anticuriosi”. E se non sono mancati scale e vani-ascensori realizzati in cemento armato, il risultato più grave è il bizzarro aspetto a strisce assunto dalle mura stesse, causato dallo sgrondare dell’acqua piovana tra i merli, a seguito della realizzazione del fondo di calpestio del percorso. La Soprintendenza ha certificato il diffuso ricorso a «procedure e metodologie di finitura estranee ai principi basilari del restauro conservativo»: perché in effetti non si è trattato di un restauro, ma dell’incontro-scontro tra l’industria del Medioevo fantasy (che ha vinto) e un vero monumento medioevale (che ha, ovviamente, perso).

Vedremo cosa accadrà con la madre di tutte le brandizzazioni del passato e del patrimonio: l’annunciata ricostruzione dell’arena del Colosseo, che Franceschini ha scelto come bandiera del suo ministero, riuscendo a stornare ben 18 milioni e mezzo di euro da un bilancio pubblico alla canna del gas. Anche questa idea ultra-kitsch deriva in fondo da uno spettacolo: quel «Viaggio nei Fori» che ogni sera, da aprile a novembre, per 25 euro racconta Roma antica attraverso filmati e ricostruzioni agli spettatori che camminano nell’area dei Fori su una «passerella appositamente realizzata» – e con in cuffia la voce di Piero Angela. E con il rifacimento dell’arena, l’history telling arriverà a modificare non solo la missione del Ministero per i Beni culturali, ma l’aspetto stesso del monumento: e la sagra del gladiatore sarà aperta dodici mesi l’anno.

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