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Il partito della nazione e le nostalgie uliviste

di Giorgio Salerno

Le elezioni amministrative della primavera del 2016 interesseranno ben 1.316 comuni tra grandi e piccoli coinvolgendo capoluoghi di regione come Torino, Milano, Roma, Napoli, Bologna, Cagliari, Trieste ed altre importanti città del Paese come Novara, Varese, Pordenone, Latina, Salerno, Ravenna, Rimini, Savona, Cosenza e Crotone, per ricordare solo le più popolose.

Un test elettorale di grande rilievo per il numero dei cittadini coinvolti e per l’interesse nazionale che il risultato avrà sullo sviluppo della situazione politica generale e sugli stessi equilibri di governo.

Non ci interessa analizzare in questa sede le dinamiche locali ed i problemi territoriali ma capire le ragioni di un dibattito, a volte acceso, sulla ricerca del candidato sindaco vincente, discussione che attraversa tutti gli schieramenti e tutte le forze in campo.
Gli esiti della vicenda amministrativa influiranno sulla possibilità di dar vita a nuovi progetti politici e nuove aggregazioni sociali. Questo sarà il vero ‘sondaggio’ in vista delle elezioni politiche generali.

Il dibattito infuria soprattutto per il tipo di alleanze da stipulare in primo luogo per le grandi città capoluogo. Ricostruire ove possibile l’alleanza di centro sinistra? Partecipare alle primarie del PD ? ripetere l’esperienza milanese con Pisapia? Con Zedda a Cagliari? Con Doria a Genova (anche se non si vota in questa città)?

Guardiamo i fatti. L’ultima Leopolda e l’intervista di Nardella, attuale sindaco di Firenze e renziano tout court, hanno riaffermato che l’obiettivo del PD sia quello di diventare un partito pigliatutto, un partito del premier, che si chiami Partito della nazione o in altro modo o conservando ancora il nome PD.

Un partito che si rivolga indistintamente a tutto il popolo, stante ormai, per loro, superata la distinzione tra destra e sinistra. Prendendo atto di cio’ uno dei più stretti collaboratori di Prodi, Franco Monaco, (tra quelli che non partecipò al voto sull’Italicum), già eletto alla Camera nel 1996 e nel 2001 sotto le insegne dell’Ulivo, e tra i fondatori del movimento politico”I Democratici” (l’Asinello), in due recenti articoli sul Fatto quotidiano ha proposto, nel primo intervento, che il PD, ormai un partito centrista, si separi consensualmente dando vita a due partiti, uno di centro, quello renziano ed uno di sinistra, quello degli antirenziani.

In tal modo si potrebbe ricostituire su basi di chiarezza, quel centro-sinistra (col trattino) di prodiana memoria. In questo intervento, sotto forma di lettera ad Arturo Parisi, uno dei creatori con Prodi dell’Ulivo, la conclusione è netta: bisogna prendere atto che tra il nome PD e la cosa perseguita in passato si è aperto un fossato incolmabile.

Il secondo intervento, anche questo sotto forma di lettera ma a Giuliano Pisapia, Monaco riprende l’appello dello stesso Pisapia nella nota lettera dei tre sindaci, con Doria e Zedda, per la ricostruzione di una coalizione di centrosinistra larga ed inclusiva di liste civiche.
‘Una proposta nel solco dell’Ulivo prodiano’, chiosa Monaco. Solo questo puo’ evitare un posizionamento ancora più a destra del PD ed una deriva minoritaria per la sinistra PD e per SEL. Propone addirittura che Pisapia si ponga come alternativa a Renzi per la guida del PD candidandosi alle primarie prossime venture per la segreteria del Partito.

Questa posizione, espressa con chiarezza e senza ambiguità da Monaco, è comune anche ad una parte di SEL, soprattutto a Roma, Milano e Cagliari per ragioni, forse, non solo ideali ma anche per una pratica di governo che sembra sia difficile abbandonare. Al di là delle motivazioni personali e delle motivazioni ideali, certamente sincere nel gruppo dei prodiani, cio’ che sfugge o non si vuol vedere è la profonda ed irreversibile modifica del Partito democratico.

Il PD di oggi non è quello del 2011 e non ha alcuna intenzione di ritessere un qualsivoglia rapporto con cio’ che si muove alla sua sinistra. L’insistere sulla candidatura di Sala a Milano dimostra che il PD renziano guarda al centro ed alla destra del corpo sociale mentre per cio’ che riguarda la sinistra va bene solo quella che si allinea con la sua politica e la sua leadership come ha già fatto Gennaro Migliore, una volta dirigente di SEL.

Certamente il partito di Vendola, ormai non più Sinistra-Ecologia-Libertà ma SI, Sinistra Italiana, il nuovo partito formato con Stefano Fassina ed altri fuoriusciti dal PD, dovrà sciogliere i suoi equivoci e tentennamenti, probabilmente scontando una ennesima scissione.

La posta in gioco non è solo quella di scegliere buoni Sindaci per il governo delle città ma anche cominciare a costruire un’alternativa credibile al Partito della Nazione, partendo dai territori, dalle città chiamate a votare. Occasione da non perdere. Non esistono eccezioni locali, “non esistono un PD nazionale ‘cattivo’ ed un PD locale ‘buono’ con cui si possono stringere alleanze” hanno detto Civati e Ferrero in una loro lettera appello.

Non dimentichiamo che la politica nazionale ha un diretto impatto con quella locale e Regioni e Comuni non possono non ottemperare a quello che il governo decide. La richiesta ossessiva delle privatizzazioni è l’esempio lampante della interdipendenza tra centro e periferia. Gli investitori privati sono all’attacco di cio’ che resta di pubblico negli Enti locali per trovare nuove fonti di profitto nello spazio dei beni comuni (acqua in primis e poi tutto il resto).

Gli auspici di Monaco, dei tre sindaci ‘arancione’ (nessuno di questi tre era ed è membro del PD), di quanti pensano al centrosinistra che fu, non tengono conto dei cambiamenti intervenuti nel corso di questi ultimi anni in quello che fu il perno del centro-sinistra, il PD, e dei mutamenti del quadro internazionale nonché della situazione economico-sociale in Italia ed in Europa.

Cio’ che è avvenuto ieri in Spagna, e mesi fa in Grecia, dimostra che i grandi partiti, sempre più due facce della stessa medaglia neo-liberista, non riescono più a garantire consenso e stabilità nei rispettivi Paesi.

Stiamo vivendo un cambio di fase che va capita ed analizzata. Si deve, a sommesso parere dello scrivente, riconoscere che il PD è sì un perno ma non del progressismo variamente inteso ma dell’ establishment di potere.

Per dirla con Christian Laval e Pierre Dardot (La nuova ragione del mondo, Ed. Derive/Approdi, 2013) se si assume ” il mercato come principio del governo degli uomini e del governo di sé”, cosa che il PD renziano ha fatto senza reticenze, si deve prendere atto, per chi si considera ancora un critico dello ‘stato di cose presenti’, che non vi puo’ essere intesa o collaborazione con una forza cosi’ connotata. Non puo’ essere il mercato “la nuova ragione del mondo”.

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