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Basta che sia nuovo

Scepticus

Ci si può dividere sull'asse tra conservatorismo e innovazione piuttosto che su quello destra-sinistra? Nell'editoriale programmatico di Mario Calabresi si afferma di sì. E questo chiarisce da subito quale linea seguirà Repubblica con il nuovo direttore

All'inizio del secolo scorso irruppe sulla scena europea un movimento che nasceva nell'ambito artistico-culturale, ma proponeva una vera e propria visione del mondo. Sua caratteristica, fin dal nome, la lotta contro il passato; e poi la velocità, la tecnologia, "l'abitudine all'energia", l'uomo al comando ("Noi vogliamo inneggiare all'uomo che tiene il volante..."). "È dall'Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari".

Anche allora, insomma, c'era chi voleva rottamare il passato, voleva far svelto, aborriva i "professoroni". Che fosse un movimento innovatore non c'è dubbio, che ci fosse un ampio fronte della conservazione (e non solo nell'ambito culturale e accademico) nemmeno. E dunque, se fossimo a un secolo fa, sarebbe giusto essere Futuristi?

Dipende. Bisognerebbe essere d'accordo anche, per esempio, con questi altri punti programmatici: "Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna". Qualche problema? Ebbè. Può succedere, se si pensa che il solo discrimine rispetto al quale schierarsi sia quello "innovatori-conservatori". Perché magari sarebbe opportuno accertarsi prima su che cosa gli innovatori vogliono innovare, e magari anche su che cosa i conservatori vogliono conservare. In questo modo ci si accorgerebbe che quelle due sole categorie non bastano a definire ciò che è desiderabile, perché non dicono niente dei contenuti che si vogliono conservare o rinnovare. Per quelli servono altri concetti, parole che esprimano in sintesi le correnti politiche della storia. Che so: autoritari-democratici; reazionari-progressisti; o magari, anche se tanti affermano che sono usurate: destra-sinistra.

Che poi il termine "sinistra" più che usurato è conteso, visto che ci tengono a fregiarsene anche coloro che con quel tipo di cultura non hanno mai avuto niente a che fare. E anche quello, quindi, avrà poi bisogno di parecchie specificazioni.

Che vuol dire, allora, un proposito di "dividersi più sull'asse tra conservatorismo e innovazione che su quello destra-sinistra", come ha scritto nel suo editoriale programmatico il nuovo direttore di Repubblica Mario Calabresi? Vuol dire poco e tutto nello stesso tempo. Poco dal punto di vista di uno che volesse dichiarare i valori verso cui la sua direzione orienterà la linea del giornale. Tutto perché è una dichiarazione implicita (e neanche tanto implicita) di adesione a chi di quella dicotomia ha fatto la cifra della sua immagine politica, ossia il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Tradotta in volgare, quella frase non può che avere un significato: "Sono d'accordo con quello che fa Renzi e quindi il mio giornale lo sosterrà".

Bene. Chi si chiedeva come sarà la Repubblica di Calabresi è stato accontentato. Adesso lo sa.

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