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mat storico

Sinistra carina & Sinistra virilista-popolaresca

di Stefano G. Azzarà

Esiste una sinistra carina, postmoderna e dirittumanista che umilia la politica identificandola esclusivamente con i diritti civili. E che l'altro giorno è scesa in piazza con il PD, confermando che il suo orizzonte unico è ancora e sempre il caro Centrosinistra delle alleanze e degli assessori.

A questa sinistra subalterna si contrappone però con sempre maggiore rozzezza una "sinistra" che - nella migliore delle ipotesi - intenderebbe affermare la secondarietà dei diritti formali rispetto a quelli materiali e vorrebbe maggiore impegno per una trasformazione strutturale della società. Ma che per fare questo finisce per negare e ridicolizzare i diritti civili stessi. E per andare in maniera più o meno inconsapevole alla coda delle provocazioni, delle trappole e delle parole d'ordine della destra, come quella sintetizzata nella grottesca e oscena immagine qui sotto.

In questa sinistra che si vorrebbe popolare ("prima i bisogni della gente!") ma che rappresenta l'altra faccia della stessa subalternità e incapacità di autonomia politica, riaffiora purtroppo sempre più il richiamo alla dimensione "naturalistica" di una presunta autenticità umana o sessuale violata dal capitalismo. A questa sciocchezza e alla reiterata e orgogliosa professione di anti-intellettualismo - che è offensiva della storia della sinistra stessa e coniuga il culto della forza con un pensiero magico non lontano da quello dell'omeopatia e del veganesimo - non vale la pena rispondere.

Più interessante, anche se non meno sbagliato e stupido, l'argomento secondo cui i diritti civili e in particolare il riconoscimento giuridico delle unioni di fatto (soprattutto quelle omosessuali) sarebbero funzionali al capitalismo consumeristico, se non addirittura il subdolo strumento di un vero piano o complotto del capitale.

E sarebbero da respingere perché negando questi diritti si metterebbero addirittura - vasto programma! - i bastoni tra le ruote al capitale.

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Sai che novità!

Il riconoscimento delle identità individuali come di quelle di gruppo è legato anche e in gran parte alla divisione del lavoro. E' del tutto normale, dunque, che nel capitalismo siano prima o poi riconosciute e diventino indifferenti istanze che nel feudalesimo, quando la divisione del lavoro era diversa, erano invece represse. Non c'è nessun complotto neoliberale, dunque, ma solo il funzionamento inevitabile del capitalismo stesso. Tanto più che questo riconoscimento non è stato affatto spontaneo né imposto dall'alto, ma è l'esito di una lunga storia di conflitti dentro la modernità.

L'affermazione della divisione capitalistica, e la sua evoluzione, disintegrando la divisione feuale e premoderna, ha portato alla rottura dei vincoli personali di subordinazione ma anche alla crisi di una serie di funzioni sociali e gerarchie pretederminate. Il processo di astrazione riguarda qui la forma di merce, i mezzi di pagamento ma anche il lavoro, che è sempre più trasformato in forza-lavoro equivalente. Astrazione è però sinonimo di scambio crescente ma anche di superamento delle condizioni naturali e persino di umanizzazione, per quanto contraddittoria. Non si vede poi cosa possa discriminare i soggetti in quanto consumatori e perché mai questi debbano essere discriminati.

Questo movimento - che per certo aspetti è l'esito di un processo che va avanti da quando l'uomo e la donna sono fuoriusciti dall'animaltà - è il presupposto della fine della servitù della gleba e poi della schiavitù (essa stessa oggi rivalutata nella celebrazione della Confederazione come baluardo comunitario contro l'industrialismo capitalistico nordista...).

E' il presupposto dell'emancipazione femminile, ancora da conseguire nella sua pienezza.

Ed è il presupposto del riconoscimento tendenziale di qualunque differenza.

Sono le differenze il vero problema? Che facciamo, revochiamo l'emancipazione formale (quella sostanziale è di lù da venire) dei servi?

Nella misura in cui non entrano in contraddizione con l'aspirazione all'universalità (è il caso, ad esempio, di chi usa i diritti civili come pretesto ideologico per l'espansione delle pratiche imperialistiche), le domande differenziali hanno un ruolo progressivo. Il che conferma che il capitalismo non ha per nulla esaurito i suoi margini di egemonia, tutt'altro. La rivoluzione passiva è passiva ma è anche rivoluzione. E persino la funzionalizzazione sistemica delle domande sociali non oblitera la legittimità delle domande stesse, costringendoci invece a interrogarci sulle nostre insufficienze teoriche.

Ancora e sempre, il problema è semmai coniugare particolare e universale, non reagire alla crisi dell'universalismo attraverso la negazione della particolarità.

Piuttosto, i "marxisti" della domenica e questi strani socialisti nazionali riflettano sulle trasformazioni che gli odierni processi di riconoscimento e di pieno compimento del diritto civile comporteranno sulla struttura della proprietà. E si chiedano se non sia anzitutto questa la tutela della "famiglia" - ovvero del patrimonio familiare borghese - che gli umori dominanti hanno più che altro in mente. Una difesa legittima, a patto che venga nominata per quel che è (un conflitto di interessi tra diverse configurazioni dell'istituto familare stesso, una più vecchia e un'altra più recente, ma entrambe altrettanto immerse nella società capitalistica). Un po' meno se si ammanta di giustificazioni naturalistiche alle quali nel 2016 è un po' difficile credere.

La Sinistra carina fa venire il latte alle ginocchia a me per primo ed è comprensibile che prima o poi uno tenda a spararla grossa. Ma diventare di destra no: si tratta di riconquistare un pensiero e una pratica di autonomia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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