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coordinamenta

“Davos”

di Elisabetta Teghil

Il neoliberismo, fase attuale dell’autoespansione del capitale sottopone la vita alla guerra e quest’ultima impone a tutti una conseguente violenza esercitata e/o subita.

Disoccupazione, povertà, conflitti etnici e religiosi costituiscono la trama dello sviluppo di questo modello. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre di più e sempre più poveri.

Sono stati rimossi con scelta voluta i grandi dispositivi della sanità pubblica, del pensionamento universale, dell’assistenza generalizzata ai deboli della società.

In Europa, perché in Usa sono stati già realizzati da tempo, questi processi, promossi dalla socialdemocrazia, risultano particolarmente veloci e precipitosi.

Il comando capitalista in questa stagione dalla fabbrica si è esteso all’intera società. La modalità dello sfruttamento si espande, instaura tecniche di appropriazione capitalistica nuove e, per la stragrande maggioranza delle persone, insostenibili. La sussunzione della società nel capitale oggi allarga indefinitamente lo sfruttamento sull’intero terreno sociale.

Militari, magistratura, media, polizia, Ong, sono messi al servizio di una lotta scatenata per battere un nemico esterno ed uno interno, per riorganizzare una gerarchia dei rapporti internazionali e ridefinire i rapporti di classe all’interno dei singoli paesi. Questo significa distruggere popolazioni, respingerle indietro di secoli, gettare nella disperazione le popolazioni del terzo mondo e i cittadini/e dei paesi occidentali.

Oggi assistiamo alla teoria e alla pratica che la guerra è la prima giustificazione dell’ordine e della sicurezza. La repressione da essere una situazione congiunturale oggi è un dispositivo nei confronti di quelli che vengono espulsi dai benefici del contratto sociale.

Le guerre neocoloniali ammantate da guerre umanitarie sono un passaggio voluto per ridefinire i rapporti di forza internazionali.

Per questo ogni anno a Davos cittadina svizzera del Canton Grigioni, si riuniscono i grandi interessi occidentali per fissare le linee guida dei processi di sfruttamento sulla realtà planetaria. L’incontro è promosso dal Forum economico mondiale, WEF ed è conosciuto proprio come Forum di Davos, associazione, bontà sua, senza fini di lucro, con sede a Cologny, vicino a Ginevra. E’ finanziata dalle circa mille imprese associate, in genere multinazionali con fatturato superiore ai 5 miliardi di euro. Le imprese associate sono quasi sempre leader, nel proprio settore o Paese, e hanno un ruolo chiave nell’orientarne gli sviluppi futuri. La fondazione opera anche come Think Tank e pubblica numerosi documenti di approfondimento, sotto forma di report e analisi di scenario sui temi della crescita economica, della finanza, della sostenibilità ambientale, dello sviluppo sociale e della salute.  La struttura organizza alla fine di gennaio, un incontro tra esponenti di primo piano della politica e dell’economia internazionale con intellettuali e giornalisti selezionati, per discutere delle questioni mondiali che, per i loro interessi, vengono ritenute più importanti. L’incontro è a inviti e si tiene a porte chiuse. In occasione del meeting, i vertici delle imprese associate alla fondazione incontrano una ristretta platea di leader politici, di organizzazioni non governative, sempre utili, di esponenti della comunità scientifica, di leader religiosi e di giornalisti. Il programma dei 5 giorni dell’evento riguarda temi chiave del dibattito mondiale dettati dal punto di vista occidentale e in particolare statunitense.  L’evento, quindi, organizzato dalle grandi potenze finanziarie serve per confrontarsi con i poteri statali e, soprattutto, con il potere imperiale degli Stati Uniti. Davos rappresenta bene la struttura attuale del potere globale gerarchizzato: all’apice ci sono gli Usa e in un rapporto di compartecipazione, ma sempre subalterno, le potenze multinazionali e i governi dei paesi capitalistici avanzati.

Davos è la cartina di tornasole che ci dice qual è la composizione imperialista, come sono articolati i diversi livelli di controllo all’interno del sistema, di esercizio della guerra, e della repressione all’esterno e all’interno contro i popoli del terzo mondo e i cittadini dei paesi occidentali. Questo è il vero ordine del giorno in quella riunione.

Davos è una rappresentazione teatrale del neoliberismo. Il capitale diviene sempre più parassitario e per questo deve ricorrere alla guerra preventiva e si è dato strumenti adeguati trasformando gli eserciti in strutture di controllo per poter intervenire in tutti gli spazi del mondo. E’ stata costruita una rete di dispositivi polizieschi e militari che si integrano e si sostituiscono vicendevolmente. E’ un reticolato di presenze nel territorio il cui principale obiettivo è sconfiggere l’esigenza di libertà, coadiuvato da organizzazioni non governative, banche che fingono di essere benefattrici, media che fingono di raccontare la cronaca.

E’ un salto di qualità nell’organizzazione capillare della violenza legittima.

Perciò i tentativi di sottrarsi a questo monopolio come quelli portati avanti in Brasile, in Argentina, in Bolivia, in Ecuador, in Uruguay, da Kirchner o da Correa, da Chavez prima e da Maduro dopo, o da Mujica o da Rousseff sono il male assoluto nel mirino dell’impero e sottoposti ad attacchi concentrici perché devono essere rimossi con le buone o con le cattive. Ma non credano i benpensanti occidentali di ricavare un qualche ritorno dalle politiche neocoloniali così come è successo nella stagione coloniale.

I territori dei paesi a capitalismo avanzato sono divenuti un luogo dove non si riesce più a distinguere azioni di polizia e guerra a bassa intensità e le città saranno pattugliate come le città della Cisgiordania.

“Nel lungo periodo, l’organizzazione si potrebbe adattare a seconda della situazione. Si potrebbero affrontare sfide quali la guerra nucleare” Questo è quanto ha dichiarato pochi giorni fa, nell’incontro a Davos di quest’anno, l’ineffabile segretario della Nato, Stoltenberg.

I popoli del terzo mondo sono messi al lavoro come schiavi e le popolazioni occidentali sono lasciate senza lavoro o con lavori precari o di risulta. Il loro dramma attuale è di non prendere coscienza del perché la povertà stia diventando una dimensione comune e l’ostentazione della ricchezza sia diventata la sola morale.

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