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Ultimo tango a Berlino?

di Marco Palazzotto

Lo scorso 29 gennaio si è consumato il vertice bilaterale tra il nostro primo ministro Matteo Renzi e la cancelliera Angela Merkel. I nostri media si sono concentrati molto sulla questione degli aiuti alla Turchia: circa tre miliardi di euro di finanziamento da suddividere tra Belgio, Lussemburgo, Olanda, Austria, Francia, Germania e Italia, paesi che fanno parte della cosiddetta “coalition of the willing” e nella quale l’Italia dovrebbe partecipare con 281 milioni di Euro in proporzione al proprio PIL. La polemica segue alcuni “battibecchi” tra il nostro governo e il Presidente della Commissione europea Juncker riguardo ai rapporti tra gli apparati burocratici europei e l’Italia ed in particolare la supposta subalternità, secondo le uscite del nostro premier, alle decisioni della UE in materia di bilancio e politiche economiche.

Si ritiene che l’incontro tedesco sia importante non solo per aver affrontato il problema dei flussi migratori dal medio oriente, ma perché sono stati toccati temi che riguardano il ruolo geopolitico dell’Italia in Europa. Sembra infatti che Renzi voglia rivendicare un ruolo di “big” nella stanza dei bottoni dell’Unione Europea che assume sempre di più le vesti di istituzione a propulsione nazionale che federale, in cui il processo decisionale dovrebbe avvenire con la partecipazione di tutti gli stati componenti.

Il fatto che siano stati affrontati problemi come le riforme – in particolare quelle sul mercato del lavoro - e sulla flessibilità delle regole di bilancio europeo, lascia pensare che Renzi probabilmente si sia accorto – come lui stesso ha dichiarato – che le politiche di austerità, tra l’altro non applicate in maniera equa per tutti i partecipanti al processo di integrazione europea, non faranno uscire dalla crisi il nostro paese che ormai conta il nono anno di recessione/stagnazione.

Pare che Renzi cerchi consenso in Europa per la sua leadership: ma chiede aiuto non alle istituzioni europee ma al capitalismo del paese deus ex machina. Finora infatti il governo italiano ha solo subito decisioni calate dall’alto, decisioni che tra l’altro non vengono applicate per tutti. Il caso della Francia è lampante. Mentre l’Italia negli ultimi anni dopo la crisi ha fatto bene “i compiti a casa”, alla Francia viene concesso lo sforamento del 3% del deficit senza alcun dibattito. Tra l’altro, questo sforamento sarà a lungo tollerato dopo i fatti terroristici di Parigi, come dichiarato da Hollande stesso in diverse occasioni e senza nessuna smentita da parte di Germania e Troika.

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Durante l’incontro del 29 gennaio si è parlato anche dell’intervento in Libia e delle sanzioni alla Russia. Questi due argomenti si inseriscono in un contesto molto delicato per gli equilibri economici, e quindi politici, all’interno dell’area Euro.

Il problema libico come sappiamo ha creato un danno non indifferente all’industria italiana che ha gestito fino al 2010 delle grandi commesse nel paese allora guidato dal colonnello Gheddafi. La Francia – all’epoca con Sarkozy al timone - decise nel 2011 di chiedere l’intervento NATO con lo scopo (non dichiarato) di destituire il potere libico affinché si evitasse lo sviluppo di contropoteri economici nell’Africa francofona, come dimostrano anche alcune e-mail di Hilary Clinton (qui un articolo sulla questione). Quindi oggi l’Italia chiede di intervenire nel caos libico tentando l’ottenimento di un ruolo maggiore nel controllo di un’area che rimane strategicamente importante per il controllo delle materie prime e del commercio estero dell’Africa del nord.

L’altro punto affrontato durante il colloquio teutonico è quello dei rapporti con la Russia ed in particolare le sanzioni che la UE è stata costretta ad infliggere dopo la “rivoluzione democratica” dell’Ucraina. In particolare l’Italia ancora una volta ne esce come sconfitta, non solo per le quote perdute della bilancia commerciale con la Russia, ma anche per una delle più grosse commesse del secolo, a cui il nostro paese è stato costretto a rinunciare. Ci riferiamo in particolare alla costruzione del South Stream, opera che aveva lo scopo di portare il gas dalla Russia in Europa passando proprio per l’Italia. Questo progetto che coinvolgeva principalmente l’ENI in Italia, è stato di fatto sostituito dal North Stream che prevede l’utilizzo della Germania come hub principale per le forniture energetiche europee.

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Alla luce delle riflessioni di cui sopra, pare che Renzi non sia stato in grado di controbilanciare una leadership continentale che rimane saldamente accentrata nel blocco mitteleuropeo. Semmai, probabilmente, il suo scopo è quello di creare un consenso che gli permetta di scegliersi come interlocutore principale direttamente il centro decisionale e non gli intermediari di Bruxelles, per evitare di apparire in un ruolo di sudditanza e al fine di continuare il lavoro di riforme liberali, scongiurando anche rigurgiti antieuropei che crescono nel suo partito.

Allo stesso tempo Renzi vorrebbe evitare l’errore in cui cadde Berlusconi quando, in un periodo di contrapposizione mediatica a Bruxelles e alla Merkel, non applicò le riforme del “ce lo chiede l’Europa” e a colpi di spread fu di fatto defenestrato con l’intermediazione dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

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