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Status Symbol

Vanni Codeluppi

Nella storia dell’Occidente, alcune particolari merci hanno avuto la capacità di funzionare come status symbol. Si trattava solitamente di prodotti appartenenti all’ambito del lusso, dotati di un prezzo elevato e in grado di far sentire i loro possessori parte di un livello sociale superiore e prestigioso, mentre nel contempo davano la sensazione di essere esclusi da tale livello ai non-possessori. Il sociologo Thorstein Veblen ha sostenuto, nel libro La classe agiata uscito negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, che ciò consentiva alla classe agiata, cioè all’élite economica e sociale, di dimostrare la sua superiore ricchezza e il suo status sociale prestigioso, si riconduceva, a suo avviso, al «consumo vistoso», ovvero a un vero e proprio spreco praticato attraverso l’acquisto e l’ostentazione di nuovi abiti e, in generale, di nuovi beni di consumo di lusso.

Quando, nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, è arrivata la società dei consumi di massa in conseguenza di un potente processo di espansione economica, sono arrivati anche dei notevoli cambiamenti per gli status symbol, che hanno continuato a operare, ma sono stati affiancati da nuovi beni dotati di differenti caratteristiche. Si trattava di oggetti di uso quotidiano che erano prodotti dalle industrie e che riempivano progressivamente le abitazioni degli europei. Per la prima volta, infatti, molte famiglie hanno potuto disporre nella loro casa di elettrodomestici estremamente utili come il frigorifero o la lavatrice e ciò ha costituito un chiaro segnale del notevole miglioramento intervenuto nelle condizioni di vita di gran parte della società. Tutti sembravano poter raggiungere una situazione di benessere.

Molti intellettuali hanno considerato questo risultato una conseguenza di un processo di omologazione culturale. Tali accuse sono venute da autori provenienti dalla Scuola di Francoforte, come Adorno, Horkheimer, Marcuse e Fromm, e da Pier Paolo Pasolini. Il quale, in un celebre articolo pubblicato nel 1975 sul Corriere della Sera ha affermato che lo sviluppo industriale aveva fatto scomparire le lucciole. La fervida immagine della scomparsa delle lucciole gli serviva per rappresentare metaforicamente la perdita di quella dimensione naturale che la progressiva artificializzazione imposta dal processo di sviluppo del sistema industriale aveva fatto scomparire dall’orizzonte della vita umana. Voleva cioè sostenere che la società dei consumi aveva brutalmente cancellato l’ambiente naturale e la possibilità per gli esseri umani di vivere in sintonia con i ritmi atavici della natura. Ma l’immagine della scomparsa delle lucciole era utile a Pasolini anche per esprimere il concetto che il processo d’industrializzazione aveva imposto una violenta omologazione.

Anche Jean Baudrillard, nel volume La società dei consumi, pensava che il modello economico e sociale basato sui consumi di massa produce un effetto di omologazione in quanto tende a determinare un livellamento dei tenori di vita degli individui dal punto di vista dei redditi e dei beni disponibili. A suo avviso, però, tale modello produce nel contempo delle nuove gerarchie sociali basate su quella capacità di differenziazione e discriminazione che è propria dei significati veicolati dai beni. Via via cioè che l’industrializzazione rendeva disponibili forme di consumo a livello di massa, l’insieme delle merci ha reso sempre più evidente la sua natura di sistema comunicativo unitario che si basa sull’interazione degli specifici significati posseduti dalle singole merci. Si tratta di quello che Baudrillard all’epoca ha definito come «sistema degli oggetti». Un sistema organizzato all’interno del quale gli individui consumano non semplicemente degli oggetti che sono in grado di soddisfare degli specifici obiettivi di natura utilitaristica, ma dei segni che permettono di conseguire più ampi obiettivi di carattere sociale. Dunque, secondo Baudrillard, i beni hanno la capacità di dare vita a un sistema culturale che riesce a comunicare le posizioni e le differenze esistenti tra le persone e i gruppi all’interno della società. Vale a dire che nelle società odierne continuano a operare delle barriere che ostacolano il realizzarsi di un effettivo processo di mobilità degli individui. Delle barriere però che, più che essere economiche, sono culturali e simboliche.

Ciò è dimostrato dal fatto che negli ultimi anni sul mercato si sono manifestati con sempre maggiore evidenza dei prodotti che sono dotati di prezzi largamente accessibili e che non sono dunque in grado di attribuire alle persone la possibilità di collocarsi in una posizione particolarmente elevata nella società, ma consentono ugualmente di differenziarsi sul piano sociale. Infatti, tali prodotti non comunicano il possesso di un’elevata ricchezza economica, ma producono comunque delle differenze sociali in maniera analoga agli status symbol tradizionali, sebbene lo facciano solamente attraverso i numerosi significati culturali e sociali che riescono a esprimere all’interno della società.

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