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corto circuito

L’innovazione è ostaggio del grande capitale

di Evgeny Morozov

Perché ci sono così poche alternative alle grandi aziende tecnologiche statunitensi? È interessante confrontare il percorso di una compagnia come Uber (che oggi vale più di 62,5 miliardi di dollari) con quello di Kutsuplus, una startup finlandese che ha chiuso i battenti alla fine del 2015. Kutsuplus puntava a diventare l’equivalente di Uber nel trasporto pubblico, tramite una rete di minibus che caricavano e scaricavano i passeggeri in qualsiasi punto della città. Nata all’interno di un’università locale, Kutsuplus non era sostenuta dal grande capitale, e probabilmente questo è stato uno dei motivi del suo fallimento: l’autorità che gestisce i trasporti locali l’ha ritenuta troppo costosa.

“Costosa” non è certo un aggettivo che si può applicare a Uber. Qualcuno potrebbe pensare che il servizio costi poco perché è ben congegnato e opera su scala globale, ma il motivo è molto più banale: grazie agli investimenti colossali che la sostengono, Uber può investire miliardi di dollari per distruggere la concorrenza, che siano i vecchi taxi o le startup innovative come Kutsuplus. Il sito The Information ha ipotizzato che durante i primi nove mesi del 2015 Uber abbia perso 1,7 miliardi di dollari, registrando incassi per 1,2 miliardi. L’azienda dispone di così tanto denaro che in alcune aree del Nordamerica offre tariffe talmente basse da non coprire nemmeno i costi per la benzina e l’usura del veicolo.

Da dove viene questo denaro? Con investitori come Google, Jeff Bezos e Goldman Sachs, Uber è l’esempio perfetto di un’azienda che ha potuto espandersi a livello globale grazie all’incapacità dei governi di tassare le aziende tecnologiche e i giganti della finanza. Uber ha così tanti soldi perché i governi non ne hanno più. Invece che finire nelle casse pubbliche, il denaro viene parcheggiato nei conti offshore della Silicon Valley e di Wall street. Prendiamo la Apple, che ha ammesso di aver nascosto all’estero 200 miliardi di dollari potenzialmente tassabili, o Facebook, che ha registrato 3,69 miliardi di profitti nel 2015. Ogni tanto qualcuna di queste aziende si mostra generosa con i governi (Apple e Google hanno accettato di pagare cifre largamente inferiori a quelle dovute rispettivamente in Italia e nel Regno Unito), ma in realtà cercano solo di legittimare i loro discutibili accordi fiscali.

Nel frattempo i governi e le amministrazioni locali vivono un periodo di enorme difficoltà economica. Alla ricerca disperata di entrate, spesso peggiorano la situazione esagerando con l’austerità o tagliando la spesa per le infrastrutture e l’innovazione. Non è certo una coincidenza che la Finlandia sia uno dei più zelanti sostenitori dell’austerità in Europa. Dopo aver lasciato fallire la Nokia, il paese ha perso un’altra occasione con Kutsuplus.

Ma la Silicon valley e Wall street non sovvenzioneranno in eterno i trasporti. Gli investimenti possono essere recuperati solo spremendo gli autisti oppure, una volta cancellata la concorrenza, aumentando le tariffe. L’unica scelta è tra una maggiore precarietà per gli autisti o una maggiore precarietà per i passeggeri, che dovrebbero accettare tariffe più alte e calcolate con sistemi discutibili. Uber sta cercando di consolidare la sua posizione dominante nei trasporti. Quando i tassisti francesi sono scesi in piazza, Uber ha proposto di includere nella sua piattaforma tutti i tassisti professionisti che volevano un secondo lavoro. Piattaforme simili – ma con sistemi trasparenti di pagamento, calcolo dei prezzi e gestione dei feedback – avrebbero dovuto essere create molto tempo fa dalle amministrazioni locali. In questo modo, e sostenendo le startup come Kutsuplus, avrebbero potuto dare una risposta normativa a Uber. La politica tecnologica di un paese dipende dalla sua politica economica: la prima non può funzionare senza l’appoggio della seconda. Il problema è che decenni di lassismo fiscale e austerità hanno ridotto le risorse necessarie a sperimentare soluzioni alternative per servizi come quello dei trasporti. Di conseguenza il grande capitale (che considera la vita quotidiana il terreno ideale per le sue attività predatorie) è ormai l’unica fonte di finanziamento per questi progetti. Non c’è da stupirsi se così tante aziende cominciano come Kutsuplus ma poi fanno la fine di Uber: è la conseguenza strutturale del fatto di dipendere da investitori che pretendono ritorni enormi. In teoria trovare e finanziare progetti liberandoli da questi vincoli non sarebbe difficile. Il problema, soprattutto considerando l’attuale clima economico, è trovare i fondi per svilupparle. La tassazione sembra l’unico strumento rimasto, ma molti governi non hanno nemmeno il coraggio di pretendere che le grandi aziende paghino quello che devono. Tutto questo avrà un prezzo: le proteste contro Uber a Parigi sono solo un assaggio di quello che accadrà quando le grandi aziende otterranno ancora più potere senza che i governi prendano le necessarie contromisure a livello economico.

Da Internazionale

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