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Renzi, D’Alema e Bersani alla resa dei conti

di Aldo Giannuli

A quanto pare siamo allo scontro decisivo fra Renzi, D’Alema e la minoranza Pd. Non ci eravamo sbagliati quando, alle prime avvisaglie, avevamo detto che stava per scattare la grande offensiva antirenziana nel Pd (ma con mandanti esterni) e che il regista ne sarebbe stato D’Alema.

Ed avevamo anche capito che la prima tappa sarebbe stata quella di portare alla sconfitta il Pd alle prossime amministrative. Sin qui, le cose stanno andando proprio in questo senso.

Ma adesso è scattata la controffensiva del fiorentino che gioca d’anticipo. Procediamo con ordine, esaminando per primo il piano “A” di D’Alema.: fan nascere una serie di liste civiche di sinistra per portare il Pd ad una clamorosa sconfitta nelle comunali, quindi, distrutta l’immagine vincente del segretario,  aprire una crisi nel partito, magari con la costituzione di una corrente di centro distaccatasi dalla maggioranza (personaggi come Zanda, Chiamparrino, De Luca, qualche ex giovane turco)  che confluisca sulla richiesta di un congresso straordinario nel quale mettere in minoranza il segretario (un congresso durissimo ma, soprattutto, molto costoso per entrambi i contendenti).

Possibilmente scansando in qualche modo il referendum o, comunque portandoci un Pd apertamente diviso fra Si e No. Ma, sin qui, D’Alema non sta trovando molte sponde al suo piano: a Milano la sinistra non è capace di trovare un candidato e Pippo Civati perde la sua grande occasione, a Bologna la lista di convergenza fra Sel e personaggi del mondo civico sta già perdendo pezzi, a Roma Bray ha dato forfait e non è neppure sicura la lista Bassolino a Napoli. Insomma le solite storie di questa sinistra inconcludente che, non a caso, si è ridotta al lumicino.

Ma il guaio più serio è che la sinistra bersaniana non ci sta a seguire il suo ex leader. Al solito, la sinistra Pd pensa ad un piano arzigogolatissimo e destinato al fallimento: prima indebolire (ma non troppo il partito alle comunali), poi un colpetto al referendum no Triv, poi un altro colpetto al referendum, quindi una campagna interna al partito in vista del congresso nel 2017 dove “avere un buon risultato” (cioè restare in minoranza ma con un 5 in più) per trattare un po’ si seggi sicuri nelle politiche, oppure minacciare poco prima del voto la scissione (votata all’insuccesso, perché per “piazzare” un simbolo in modo competitivo, ci vuole almeno un anno). Insomma, anche qui solite cronache della sinistra  che sa far bene solo una cosa: perdere.

Il guaio è che questa inconcludenza dei molluschi bivalvi bersaniani ha scoperto il fianco consentendo a Renzi (che non è uomo da perdere tempo) di scatenare la controffensiva. Isolare D’Alema, far pressioni sugli incerti per scongiurare le liste civiche di sinistra o indebolirle, poi mettere l’asta alla gola alla sua opposizione interna e scegliere: “O con me o con D’Alema”. Non che voglia espellere Bersani, Cuperlo e compagnia tremante, più semplicemente vuole accompagnarli alla porta. Il suo calcolo è limpido: giocare d’anticipo. Sa che le amministrative, per bene che vada, saranno in fascia grigia, mentre c’è il rischio di un quasi cappotto e perciò punta ad impedire alla minoranza di usare l’argomento per un regolamento di conti interno. Soprattutto vuole scansare la nascita di una nuova corrente di centro. Poi arrivare al Referendum, dal quale spera di più (ne riparleremo), vinto il quale, sciogliere le Camere e votare un anno prima. Il congresso sarebbe ridotto ad una parata pre elettorale, e la sinistra sarebbe totalmente epurata dalle liste. E si conferma che la migliore qualità di Renzi (come era per il suo maestro, Berlusconi) è il tempismo.

In politica azzeccare i tempi è assolutamente determinante, mentre la sinistra Pd (ed anche l’area Sel, Rifondazione, Lista Tsipras) è incapace di decisioni tempestive, non ha coraggio, esita, si contraddice, perde tempo.

D’Alema non è uno sciocco ed ha in testa anche un piano “B”: qualora le acque del Pd restassero lo stagno limaccioso di sempre e non si concludesse nulla, lui punta comunque ad un reticolo di liste civiche più robusto possibile per promuovere con esse la scissione da cui far nascere un nuovo partito di sinistra. Il problema di D’Alema è che ha una immagine logorata, non è credibilissimo nelle vesti di leader di un polo di sinistra, ha troppi nemici nell’area Sel-Rifondazione e troppo pochi amici del Pd lo seguirebbero.

Ma anche Renzi non è detto che vinca, perché anche lui ha i suoi punti deboli (anche qui ne riparleremo a breve). Quindi, partita aperta anche alla possibilità che perdano sia Renzi che D’Alema.

Gli unici sul cui risultato possiamo essere sicuri sin d’ora sono quelli della “sinistra” Pd che sicuramente perderanno comunque vada. Ed il maggior merito dell’era renziana sarà quello di aver cancellato dalla scena politica questi ingombranti residui del passato.

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