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sbilanciamoci

L’impotenza delle banche centrali

Vincenzo Comito

Non si può dire che le ultime misure prese dalla BCE abbiano suscitato l’entusiasmo dei mercati e dell’opinione pubblica. Né sembra che esse abbiano avuto un’incidenza reale sull’economia reale

Appare un fenomeno di rilievo il fatto che importanti esponenti del sistema economico e finanziario dominante mettano sempre più in dubbio la bontà delle strategie portate avanti negli ultimi anni dai governi e dalle banche centrali dell’Occidente, mentre gli stessi esperti tendono anche a prevedere un futuro piuttosto oscuro.

In un articolo precedente pubblicato su questo stesso sito avevamo ricordato le opinioni di El-Erian, tra l’altro consigliere economico della Casa Bianca (Comito, 2016), relative alla mancanza di una strategia di lotta alla crisi da parte delle autorità politiche, che hanno lasciato così tutto nelle mani di banche centrali che da sole non sono peraltro in grado di risolvere i problemi che stanno davanti a noi.

Ora è la volta di Mervyn King, già governatore della Banca d’Inghilterra dal 2003 al 2013. Questo importante personaggio dell’establishment anglosassone ha appena pubblicato un volume (King, 2016), nel quale, mentre lancia un grido d’allarme sullo stato dell’economia mondiale – anche in un’intervista recente a Le Monde (Albert, 2016), egli valuta che una nuova crisi finanziaria è ormai probabile entro un arco di tempo piuttosto ravvicinato-, sottolinea anche l’impotenza delle banche centrali.

La denuncia appare tanto più sentita dato che egli stesso, nel pieno delle sue funzioni di governatore, era stato tra i primi a sperimentare le politiche di quantitative easing nel suo paese, a partire dal 2009.

Non si può dire, più in generale, che le ultime misure prese dalla BCE abbiano suscitato l’entusiasmo dei mercati e dell’opinione pubblica. Né sembra che esse possano avere un’incidenza adeguata sulla situazione dell’inflazione (FT View, 2016; Munchau, 2016) o su quella dell’economia reale. Inoltre appaiono sempre più evidenti vari inconvenienti, dalle negative conseguenze sui bilanci delle banche ordinarie e sui rendimenti dei fondi pensione e delle assicurazioni, al potenziale gonfiamento di bolle speculative. Tra l’altro, le colossali liquidità mobilitate attraverso le operazioni di qe, spostandosi a piacimento e velocemente da un paese all’altro e da un settore all’altro creano dei guasti rilevanti. In particolare, i banchieri centrali di molti paesi emergenti si trovano privi di ogni difesa (Charrel, 2016, a).

Intanto, la Standard e Poor’s ha ridotto le previsioni sull’andamento dell’economia europea nel 2016 e 2017, mentre la Yellen ha sottolineato le incertezze che frenano il possibile rialzo ulteriore dei tassi di interesse negli Usa. Gli stessi continui moniti di Draghi, sinora inascoltati, sulla necessità che i governi facciano la loro parte, mettono in dubbio i possibili benefici di tali politiche.

Su di un altro piano, Diana Choyleva (Choyleva, 2016) sottolinea come i più importanti banchieri centrali, non avendo in alcun modo, dopo la crisi, cambiato il loro modo di pensare, ricordino nel loro agire oggi una nota affermazione di Albert Einstein che definiva essere un comportamento demente quello di fare la stessa cosa ripetutamente aspettandosi risultati diversi nel tempo.

Nel nostro caso forse la parola follia appare troppo forte; i banchieri centrali fanno probabilmente quello che possono, ma il fatto è che il risultato dei loro sforzi non è certamente adeguato alle necessità del momento, né forse potrebbe esserlo. Quello che manca è la politica, distratta su altri fronti e comunque non in grado di affrontare la partita.

In particolare, per quanto riguarda la zona euro, un altro esperto (Charrel, 2016, b), sottolinea che, quando una nave si smarrisce in pieno oceano, senza viveri e senza acqua, l’equipaggio può reggere solo se sa che il capitano ha una meta ben precisa in mente e che egli sa come fare per arrivarci. Ma Draghi, come gli altri banchieri centrali, non può essere il capitano della zona euro, egli è solamente incaricato della politica monetaria, non può definire la destinazione, non ha la legittimità delle urne. Per altro verso la moneta unica non è un fine, essa è un mezzo; ma per andare dove? Senza una meta chiara, afferma Charrel, molti membri dell’equipaggio cercheranno di lasciare la nave provando a salvarsi da soli.

 

Alcune circostanze attenuanti

Per altro verso, senza l’intervento delle banche centrali, oggi la situazione sarebbe certamente peggiore: il tasso di inflazione si troverebbe in territorio parecchio più negativo, i prestiti alle imprese da parte delle banche risulterebbero ancora più ridotti, lo spread di rendimento dei titoli pubblici dei paesi del Sud Europa rispetto a quelli tedeschi si collocherebbe a livelli molto peggiori, il rapporto di cambio dell’euro con il dollaro sarebbe ancora più negativo. Ma gli effetti positivi delle loro politiche stanno ormai scemando e il loro rendimento marginale appare vicino allo zero.

Bisogna anche sottolineare che le loro ricette risultano problematiche anche per il fatto che, ad onor del vero, alcune importanti tendenze in atto nel mondo sono completamente fuori dal loro controllo; e questo, dall’andamento dei prezzi delle materie prime, alle incertezze che circondano in questo momento anche le economie dei paesi emergenti.

Il fatto che le banche non approfittino poi delle liquidità generosamente elargite da Francoforte per allargare le maglie del credito alle imprese ed ai privati dipende contemporaneamente dai rischi percepiti delle banche nei prestiti alla clientela e dal fatto che peraltro il cavallo non sembra aver voglia di bere (Bruno, 2016).

Un bel pasticcio.

 

Verso dei programmi di helicopter money? Politica monetaria e governi

La scarsa efficacia delle politiche sopra ricordate tende ad avvicinare il momento in cui i banchieri centrali, presi dalla disperazione, proveranno presumibilmente a varare delle politiche di helicopter money, cioè la distribuzione diretta ai cittadini ed eventualmente agli stessi Stati di mezzi monetari.

Va sottolineato che Draghi, al momento del varo delle ultime decisioni della BCE, ha fatto per la prima volta un sia pur cauto riferimento a tali politiche. Si sa, peraltro, che gli uffici studi di molte istituzioni finanziarie ci stanno lavorando.

Certo, da un punto di vista tecnico, si tratterebbe dell’arma assoluta per combattere la stagnazione secolare di cui parla da anni Summers e, in particolare nell’eurozona e in Giappone, a smuovere una situazione apparentemente senza vie d’uscita.

Che la BCE gonfi i conti in banca delle famiglie e finanzi direttamente dei grandi progetti di investimento pubblico, in particolare nei paesi del Sud Europa, appare un’azione tecnicamente fattibile e certamente opportuna. Ma essa si scontrerebbe con la furia dei tedeschi (i peccatori non pagherebbero più per le loro colpe!), mentre porrebbe comunque un gigantesco problema di legittimità democratica (Chavagneux, 2016).

Bisogna ricordare, per la verità, che intanto il problema si pone già da qualche tempo. Così è stato ricordato che quando la BCE impone dei tassi di interesse negativi è come se varasse una tassa sui depositi. Nel momento poi in cui ha deciso di acquistare anche titoli delle grandi imprese, essa compie delle scelte di finanziamento diretto delle stesse, a scapito così di quelle piccole e medie, e magari privilegiando poi per necessità i grandi gruppi tedeschi e francesi (Fazi, 2016). Essa porta avanti così delle scelte di politica economica evidenti.

L’ esigenza, a questo punto, di una politica di helicopter money rivolta sia alle famiglie che al finanziamento degli investimenti pubblici richiama, tra l’altro, la necessità di ripensare in termini più generali il rapporto tra politica e banche centrali, determinato a suo tempo, diversi decenni fa, in particolare a causa dell’inconveniente della creazione di inflazione delle vecchie politiche, dalla scelta di rendere del tutto autonoma la politica monetaria da quella economica e di bilancio, rinunciando alla monetizzazione dei deficit pubblici ed obbligando gli Stati ad emettere titoli per finanziarsi (Bruno). Quella decisione deve oggi essere in qualche modo rivisitata.

Testi citati nell’articolo
-Albert E., Le cri d’alarme d’un ancien banquier central, Le Monde, 30 marzo 2016
-Bruno S., La bolla monetaria di Mario Draghi, www.sbilanciamoci.info, 14 marzo 2016
-Charrel M., le grand désordre monétaire mondial, Le Monde, 3-4 aprile 2016, a
-Charrel M., La solitude de Mario Draghi, Le Monde, 20-21 marzo 2016, b
-Chavagneux C., Mario Draghi peut-il sauver l’Europe?, Alternatives Economiques, marzo 2016
-Choyleva D., Central banks prove Einstein theory, www.ft.com, 21 marzo 2016
-Comito V., Il fallimento delle banche centrali, www.sbilanciamoci.info, 29 febbraio 2016
-Fazi T., Il regalo di Draghi alle multinazionali, www.sbilanciamoci.info, 30 marzo 2016
-FT View, Central banks, monetary policy is not enough to beat deflation, www.ft.com, 15 marzo 2016
-King M., The end of alchemy, Little, Brown and Co., Boston, Mass., 2016
-Munchau W., The European Central Bank has lost the plot on inflation, www.ft.com, 13 marzo 2016

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