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Massimo Recalcati, ritorno a Lacan

Giancarlo Alfano

Al di fuori del mondo strettamente legato alla psicoanalisi, e forse in parte anche all’interno di quello stesso mondo, l’opera di Jacques Lacan è normalmente percepita come un coacervo di enigmi travestiti da sciarade. «Non si capisce niente», «sono solo giochi di parole», «elucubrazioni astruse in salsa surrealista»: di questo tenore sono le dichiarazioni quando si fa riferimento al celebre psicoanalista francese. Con questo secondo volume, intitolato Jacques Lacan e sottotitolato La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto, Massimo Recalcati sembra voler sfondare il fortilizio dei preconcetti e mostrare che il pensiero lacaniano non soltanto è tramato da un grande rigore concettuale ma che esso è limpido e lineare, progressivo nell’affrontare questioni e metodi; che, addirittura, è un pensiero, se non semplice, certo riassumibile nei suoi sviluppi principali.

Proseguendo quanto realizzato nel primo volume (Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggettivazione, Cortina 2012), questo nuovo libro, anch’esso imponente per dimensioni, rivela una chiara ambizione egemonica, d’interpretazione complessiva e totalizzante del lavoro lacaniano, che viene infatti ripercorso nella sua vasta ricchezza, dalla riflessione sulla psicoanalisi infantile e dalla clinica delle psicosi (ambiti anche cronologicamente «primi» dell’indagine lacaniana, a partire dalla tesi di dottorato del 1932), passando per la paranoia, la schizofrenia, la melanconia, e approfondendo questioni nevralgiche come il «fantasma», il «godimento» e l’agalma (che è quanto caratterizza, per Lacan, il transfert analitico), fino ad affrontare (in un’Appendice solo nominalmente periferica) la questione nevralgica dei quattro discorsi e del discorso «quinto», ovvero quello «del capitalista».

Il libro di Recalcati si presenta dunque come un attraversamento completo del pensiero lacaniano sulla clinica; una sorta di manuale, o d’interpretazione secolare, che mira a fornire delle indicazioni chiare e replicabili. Lo mostra il titolo del capitolo conclusivo, subito prima della già citata Appendice, che significativamente recita La direzione della cura analitica: prendere il desiderio alla lettera: dove l’infinito sembra quasi risuonare come un imperativo (e difatti un capoverso ribadisce: «Bisogna prendere il desiderio alla lettera»). La completezza della ricostruzione, la ricchezza dei riferimenti, insieme a una chiarezza espositiva e a una limpidezza di scrittura davvero magistrali, confermano insomma l’intenzione egemonica di un libro che senza dubbio si presenta come d’ora innanzi inaggirabile nella lettura e nella discussione dell’opera lacaniana.

Non è certo possibile entrare qui nel dettaglio delle singole discussioni offerte nel libro di Recalcati; può però essere utile, per capirne il posizionamento, proporre assai sinteticamente tre osservazioni. La prima riguarda l’attenzione dedicata ai riferimenti filosofici di Lacan. Lo si vede chiaramente nel secondo capitolo, in cui si mostra come la psichiatria fenomenologica di Jaspers si accompagni, nella cultura di un giovane psichiatra che stava prendendo le distanze dal mondo medico francese nel quale si era formato, alla lettura di Essere e tempo di Heidegger e alla conoscenza delle categorie dell’esistenzialismo di Sartre. Lo si vede, ancora, nel capitolo dedicato alla clinica della nevrosi ossessiva, il cui fondamento viene correttamente individuato nella dialettica hegeliana servo-padrone. Non si tratta certo di novità, ma l’agile inserimento di questi fondamenti concettuali dentro la trama della riflessione clinica chiarisce in modo esemplare il ruolo che la filosofia ha avuto per lo psicanalista francese.

La seconda osservazione riguarda invece un’interessante polarizzazione. In più punti Recalcati registra, anche in termini espliciti, l’anticipazione da parte di Lacan di alcuni dei più significativi approdi della ricerca di Foucault, insistendo al contrario, e in maniera ancora più esplicita e convinta, sulla sua lontananza dall’operazione Deleuze e Guattari, quale si è realizzata in particolare nell’Anti-Edipo. Anche in questo caso non si può dire che si tratti di novità; ma è opportuno sottolineare che, così facendo, Recalcati rilancia un’importante questione alla cultura filosofica degli ultimi decenni, che ha invece spesso interpretato in maniera omogenea il pensiero francese del secondo Novecento, finendo col valorizzarne troppo l’aspetto libertario, e così impedendosi di riconoscervi talune significative derive irrazionaliste.

Ciò conduce alla terza osservazione. L’Appendice di Recalcati ruota intorno alla domanda se la psicoanalisi sia rivoluzionaria. La domanda fu effettivamente rivolta a Lacan da uno studente contestatore nel dicembre 1969. La risposta di Lacan fu duplice. Da una parte, nell’immediatezza del confronto, egli fece osservare che non ci si sottrae mai all’alienazione, che è strutturale dell’umanità. Dall’altra, egli articolò una profonda riflessione intorno al godimento come allo strumento principale del capitalismo: è questo il «discorso del capitalista», il quale «trasfigura il soggetto sbarrato» cioè, diciamo, l’uomo nella sua «mancanza a essere», ossia strutturale castrazione, «nel soggetto di una domanda perennemente insoddisfatta, totalmente dipendente dagli oggetti di godimento che il mercato mette a disposizione».

Ed è questa la posizione che ha caratterizzato il lavoro di Recalcati, a partire almeno dall’Uomo senza inconscio, apparso nel 2010, cioè subito prima del primo volume del Jacques Lacan. Si capisce allora come l’importante e imponente ricostruzione del pensiero del grande analista francese portata avanti in questi ultimi anni da Recalcati si configuri come un vero e proprio «ritorno a Lacan» (nel senso in cui lo stesso Lacan propose un «ritorno a Freud»), cioè a colui che ha saputo individuare tempestivamente la trasformazione del nostro mondo di relazioni economiche e psicologiche, riconoscendo la declinazione contemporanea delle forme dell’alienazione e proponendo, nel contempo, un armamentario teorico e operativo che fosse all’altezza dei tempi. Una proposta egemonica che merita, certamente, di essere presa sul serio.

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