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conness precarie

La Francia ancora in sciopero: verso un movimento transnazionale?

di Sud Commerce per la Transnational Social Strike Platform

Sabato 9 aprile, il 40 di marzo secondo il nuovo calendario della protesta, più di 150mila persone hanno manifestato a Parigi e più di 200 manifestazioni hanno avuto luogo in tutta la Francia, mostrando che la mobilitazione contro il progetto «loi travail» è ancora alta. La partecipazione a Parigi è stata davvero potente e ha coinvolto non solo attivisti ma molti settori del lavoro salariato, studenti universitari e superiori e lavoratori dello spettacolo. Dopo più di un mese di continue manifestazioni è accaduto qualcosa di completamente nuovo: le forze di polizia in Place de la Nation hanno provocato e caricato i manifestanti al termine del corteo. Nella stessa serata, Place de la Republique si è riempita di persone, mostrando che la «nuit debout» sta davvero stabilendo una connessione tra studenti, lavoratori pubblici e privati, cittadini comuni, attiviste LGBT e femministe, migranti e pensionati.

In Francia il movimento contro la «loi travail» sta crescendo rapidamente e sta coinvolgendo i lavoratori precari di oggi e quelle di domani. Il governo sta cercando di precarizzare ulteriormente il mercato del lavoro per attrarre investimenti stranieri e accontentare i datori di lavoro. La lotta sta coinvolgendo lavoratori in condizioni diverse – precari, studenti e migranti – e aprendo lo spazio per un’organizzazione politica che va ben al di là del rifiuto di una singola legge. Lo sciopero – le sue possibilità, le sue condizioni e il suo significato politico – è al centro della discussione. Dal punto di vista del processo del Transnational Social Strike ciò che sta accadendo in Francia può essere visto come un passo nella giusta direzione. Con questo intervento, vorremmo mettere l’accento su ciò che nella mobilitazione francese è rilevante dal punto di vista transnazionale. La «loi travail», infatti, si lega alle misure di precarizzazione previste e normalizzate dall’agenda europea di austerità e trova spazio in un processo di riorganizzazione del lavoro che attraversa i confini e richiede nuovi livelli di organizzazione dei lavoratori. Per noi è quindi il tempo di spingere la sfida un passo avanti.

Il 31 marzo del 2016 più di 200 manifestazioni sono state organizzate in tutto il paese contro la «loi travail». La mobilitazione è stata convocata da sindacati – CGT (Confédération Générale du Travail), FO (Force Ouvrière), FSU (Fédération Syndicale Unitaire), lavoratori del settore pubblico, soprattutto insegnanti), Union Syndicale Solidaires – e da organizzazioni di studenti medi e universitari – UNEF (Union Nationale des Étudiants de France), Solidaires Etudiants, FIDL (Fédération Indépendante et Démocratique Lycéenne) e UNL (Union Nationale Lycéenne). Il 9 marzo avevamo già compreso la portata di ciò che stava accadendo ma, con un milione e duecentomila persone, il doppio della mobilitazione precedente, il 31 marzo abbiamo potuto vedere che il movimento sta crescendo rapidamente e coinvolgendo realtà che vanno ben al di là dei soliti circuiti di attivisti. Per esempio, organizzazioni e collettivi di disoccupati e precari sono molti attivi. Assemblee generali e momenti di coordinamento sono stati organizzati nelle università e si sono tenute assemblee fra lavoratori e lavoratrici in sciopero, militanti e studenti, operai e disoccupati all’interno della Bourses du travail. La petizione online «loi travail non merci» è stata sottoscritta da più di un milione di persone e il sito «On vaut mieux que ça» creato dagli attivisti più giovani è stato trainante, mentre l’appello «Bloquons tout» – che prende posizione sulla generalizzazione dello sciopero – è stato firmato da membri della CGT, del CNT (Confédération Nationale du Travail, anarco-sindacalisti – e dell’Union Syndicale Solidaires. Durante le manifestazioni, uomini e donne hanno preso parola a gran voce contro la legge sul lavoro, ma anche per la riorganizzazione del tempo di lavoro, rivendicando le 32 ore a settimana (attualmente il tempo di lavoro previsto per legge è di 35 ore a settimana, ma il tempo di lavoro reale in Francia arriva a 38 ore) e contro le politiche neoliberali di destrutturazione dei servizi sociali e per la redistribuzione della ricchezza.

Nelle piazze il movimento è nato su iniziativa di «nuit debout» a Montpellier, Rennes, Lione e Parigi, dove in piazza della Repubblica sin dalla notte del 31 marzo diverse iniziative come assemblee, sit in e incontri hanno radunato diverse migliaia di persone, giovani e meno giovani, organizzati e non organizzati, mostrando la reale necessità di discussione e dibattito su questioni sociali e politiche, sulle misure di governo e sulla possibilità di uno sciopero generale. Dopo questi rapidi sviluppi, ora non sappiamo quale sia il futuro di questo movimento, quale forma e quali tipi di azione assumerà, perché il movimento stesso si sta costruendo giorno dopo giorno. È chiaro però che il modo in cui risponderà a questo insieme di questioni avrà un grande significato anche oltre i confini della Francia. Oggi la posta in gioco in Francia è precisamente come organizzarsi e combattere in tempi di precarizzazione estrema. Inoltre, e nonostante questo aspetto rimanga sullo sfondo, il movimento in Francia non sta affrontando solo un problema nazionale, ma è il risultato di un nuovo governo europeo della mobilità basato su una precarietà sempre più intensa, su tagli dei salari, restrizioni del welfare, workfare e una durissima disciplina del lavoro.

Ora il governo sta cercando di porre fine alle manifestazioni dividendo il movimento. Manuel Valls ha convocato i leader delle organizzazioni studentesche con l’obiettivo di porre fine alle proteste nelle università. Fino a oggi però l’alleanza intersindacale tra le organizzazioni studentesche si è rafforzata ogni giorno di più. Così altre manifestazioni – particolarmente quelle del 5 e del 9 aprile – si sono aggiunte all’ormai densa storia della contestazione contro la riforma del mercato del lavoro. Inoltre, sembra che stia emergendo un nuovo ambito di protesta concentrato nel settore dello show business. Il governo ha infatti dichiarato che «sforzi ulteriori» saranno richiesti ai lavoratori intermittenti di questo settore durante i periodi di disoccupazione. La sera del 4 aprile, un’assemblea generale convocata dalla CGT spettacolo e dal CIP (il Coordinamento degli intermittenti e dei precari) ha visto la partecipazione di diverse migliaia di persone al Théâtre de la Colline in Paris. Oltre a questo, diversi appelli per unirsi all’evento del 9 aprile sono circolati nei giorni scorsi. È in costruzione una convergenza tra giovani precari, lavoratori subordinati, intermittenti. Una convergenza sulla «questione sociale» e le possibilità di scioperare oggi, con qualche buona notizia di contorno: i politici del Fronte Nazionale, il partito di destra i cui recenti successi sono basati sulla paura sociale dei rifugiati e dei migranti, tacciono da almeno un mese. Il silenzio dei nazionalisti deve essere compreso a partire dalla nostra pretesa di rompere le divisioni nazionali e tra i diversi contesti statali per portare la lotta contro la precarizzazione a livello transnazionale. La mobilitazione è ancora in costruzione, però…ma è solo l’inizio!

Mentre è stato stabilito un legame tra le diverse figure del mondo del lavoro in Francia, è anche vero che una connessione transnazionale in termini di rivendicazioni ancora manca. Il processo di precarizzazione di massa in Europa è basato sullo sfruttamento delle differenze tra lavoro e diritti nei diversi Stati e su leggi che rafforzano il regime dei confini e il governo della mobilità. Tra gli obiettivi della «loi travail» c’è, da una parte, l’adattamento alle regole che sono in vigore nello spazio transnazionale, dove agiscono molte imprese private. Dall’altra parte, la legge mira a giustificare licenziamenti di massa con l’unico obiettivo di garantire «le condizioni di salute della compagnia a livello nazionale anziché internazionale» (come nel caso della compagnia tedesca Continental a Clairox, in Francia). È già evidente che gli unici attori che guadagneranno dalle riforme del lavoro sono le imprese transnazionali che si presentano come affidabili, laddove stanno solo facendo i propri interessi. La «loi travail» favorirà le imprese che costruiscono il loro capitale sulla delocalizzazione della produzione e attraverso i differenziali tra gli Stati in termini di salari e di diritti. Per questo abbiamo bisogno di costruire un’opposizione transnazionale a questo genere di leggi a partire da un discorso comune. La sfida non è nazionale, perché le catene transnazionali dello sfruttamento sono un fatto globale. È in questa cornice che il progetto di costruire uno sciopero sociale transnazionale acquisisce la sua rilevanza. Come primo obiettivo dobbiamo quindi produrre un discorso che sveli questi progetti di sfruttamento transnazionale. Come? Limitarsi a sommare le rivendicazioni portate avanti dai movimenti sociali nei singoli Stati non è abbastanza. Invece, dobbiamo cercare un processo comune e definire rivendicazioni transnazionali per lottare contro il meccanismo di sfruttamento, che è transnazionale esso stesso, che si articola tra la mobilità dei lavoratori, dei capitali e dei siti produttivi, come nel caso dell’IBM.

Nello stesso tempo, la necessità di governale le migrazioni in Europa, dividendo i migranti interni ed esterni, quelli che beneficiano dei servizi pubblici e quelli che non ne beneficiano, non può essere separata da quanto abbiamo appena detto. La debolezza delle lotte dei migranti nel contesto di ciò che sta accadendo a Parigi è in un certo senso il risultato pratico di questo governo della mobilità. Le divisioni causano una situazione di estrema disponibilità allo sfruttamento per molti lavoratori al di là delle categorie e dei settori produttivi. La condizione dei migranti è cruciale per comprendere l’attacco a tutti i lavoratori. Contestare il governo delle migrazioni e della mobilità attraverso e all’interno dei confini degli Stati è quindi centrale nel processo verso uno sciopero generale. Se questi lavoratori costretti a una maggiore disponibilità allo sfruttamento non sono inclusi nella lotta, non riusciremo a distruggere le infrastrutture della precarietà che ci indeboliscono tutti.

Per questo, la sfida di un processo politico verso lo sciopero sociale transnazionale è di connettere il movimento in Francia con le condizioni di milioni di precari, operai, migranti e studenti in ogni punto d’Europa. Come costruire rivendicazioni comuni – come un salario minimo europeo, un welfare e un reddito europei, un permesso di soggiorno per tutti i migranti – che risuonino dalle piazze francesi alle fabbriche dall’altra parte del continente? Come costruire terreni di mobilitazione comuni attraverso i confini? Come fare in modo che queste rivendicazioni siano la base per costruire un movimento realmente transnazionale?

Comments

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Claudio
Thursday, 21 April 2016 12:12
Prima di tutto esprimo i più sinceri auguri di successo a questo come a tutti gli altri movimenti di lotta, anche se, obiettivamente, ritengo che non abbia molte possibilità di riuscita, in quanto le rivendicazioni di tipo economicistico immediato, del tipo aumento di salario, diminuzione dell’orario, migliori condizioni di lavoro, rivendicazioni inerenti i servizi sociali e così via, con la crisi economica sono diventate completamente fuori dal tempo. Le grandiose lotte del popolo greco del 2011, contro la politica dell’austerità imposte da Ue, Bce e Fmi, evidentemente non hanno servito a quello che in politica dovrebbe costituire un elementare insegnamento. Questo significa che anche in questo movimento di lotta c’è enorme arretratezza culturale e politica, e per questo si continua a credere nella spontaneità delle lotte.
Tali lotte potevano avere possibilità di successo fino alla fine degli anni novanta del secolo scorso, fino a quando cioè eravamo in una fase di parvente espansione economica. Mentre con l’attuale crisi economica si sono create eccedenze produttive in tutti i settori, il che ha creato un enorme aumento della disoccupazione in molti paesi, ed ha messo in concorrenza le forze-lavoro tra loro, in particolar modo tra giovani e anziani, e soprattutto tra forze-lavoro autoctone ed immigrate. Da questo punto di vista, i successi nelle varie elezioni dei raggruppamenti reazionari, fascisti e razzisti, in pressoché tutti i paesi europei, avrebbero dovuto far riflettere gli elementi della sinistra protestataria, ma anche questo evidentemente non è servito. Mentre temo pertanto che queste lotte non porteranno apprezzabili risultati, sotto l’aspetto politico, coi loro obiettivi economicistici sono destinate ad inasprire lo scontro sociale in atto, e quindi a rafforzare socialmente e politicamente i raggruppamenti della destra eversiva. Otterranno politicamente cioè un risultato diametralmente opposto a quello che si prefiggono.
Il fatto che gli interventi degli stati e delle loro banche centrali non riescano a superare l’attuale crisi economico/produttiva, dimostra che siamo di fronte non tanto ad una crisi sistemica, come i vari soloni usano dire, ma bensì ad una ad una vera e propria crisi del sistema produttivo e sociale vigente, che è dominato da decenni dalla grande finanza globale, la quale ha messo in atto un attacco studiato scientificamente alla classe operaia e alle altre classi subordinate, ha depauperato in vario modo gran parte della società, creando un impoverimento sempre più generalizzato per salvaguardare ed accrescere i profitti dei miliardari. Non è insomma un caso se i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
Col neoliberismo e la globalizzazione di finanza, produzione e commercio, nonché della forza-lavoro, è stato messo in atto un vero e proprio attacco politico di classe, preordinato, da parte del capitalismo, a tutto il resto della società, rendendo il lavoro sempre più precario e sottopagato, e molto spesso addirittura gratuito, come fanno in moltissimi casi coi giovani e con gran parte degli immigrati.
Trattandosi di un attacco politico di classe generalizzato, occorre prima di tutto prendere atto della sua estensione globale, nonché della sua enorme portata politica. Fatto ciò, si deve per forza di cose concludere che tale scontro globale tra classi sociali contrapposte, non può essere affrontato rivendicando obbiettivi minimalisti di natura economica immediata, e che si deve dare alle lotte una netta caratterizzazione politica, con l’obiettivo del superamento dell’attuale ordinamento sociale capitalistico. Per potere fare ciò, occorre avere chiarezza sulla fase storica che stiamo attraversando, poi occorre darsi un’adeguata forma organizzativa, che sia all’altezza di poter reggere lo scontro, che ora viene fatto con sistemi molto più sofisticati che in passato. Solo pertanto se l’obiettivo è politico e non solamente economico, può effettivamente unire le forze delle varie classi sociali subordinate, ivi compresi gli immigrati, in caso contrario, non solo non ci sarà lo sviluppo transazionale auspicato, ma l’attuale apparente unione tra forze sociali con interessi economici diversi, non reggerà a lungo e quanto prima è destinata a saltare.
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