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palermograd

La fatica di essere buoni

di Salvatore Cavaleri

Di L'inutile fatica. Soggettività e disagio psichico nell’ethos capitalistico contemporaneo, saggio curato per Mimesis da Salvatore Cavaleri, Calogero Lo Piccolo e Giuseppe Ruvolo, ha già parlato su PalermoGrad Giovanni Di Benedetto qui.

Adesso pubblichiamo un estratto del contributo che Salvatore Cavaleri ha scritto per il libro. Nel testo questo paragrafo è inserito in un discorso di più ampio respiro sulle retoriche attraverso cui le nuove figure del lavoro vengono spogliate della conflittualità di cui sono portatrici.

Riportarlo qui ci serve innanzitutto per parlare di un libro uscito ormai un paio di anni fa, I buoni di Luca Rastello, giornalista e scrittore di rara profondità che ci ha lasciati lo scorso luglio, ma la cui lezione continua a risuonarci nelle orecchie in tutta la sua attualità.

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<<Credo che una condizione decisiva per scrivere qualcosa di interessante, oltre che di moralmente sorvegliato, sia partire sempre dall’analisi impietosa di sé stesso. Così (...) posso dire ad alta voce e a fronte alta: Don Silvano sono io. E credo che Don Silvano lo siamo tutti>>[1].

Questo è il modo in cui Luca Rastello risponde alle condanne piovutegli addosso dopo aver pubblicato I buoni[2], romanzo in cui si mettono a nudo le retoriche del mondo del volontariato, attraverso il racconto del funzionamento interno di una grande struttura operante nel sociale, guidata da Don Silvano, prete-padrone carismatico, sempre in prima fila, il cui coraggio e rigore sono unanimemente apprezzati sulla scena pubblica.

 

Rastello riesce in modo molto sottile a mostrare come, nel terzo settore, i presuntuosi presupposti salvifici che guidano l'azione verso l'esterno sono legati, in una stretta paradossale, con l'autoreferenzialità e la devozione alle gerarchie che disegnano la composizione interna. L'assoluto attaccamento alla legalità nel giudicare le cose del mondo viaggia insieme alla totale indulgenza verso l'assenza di regole per ciò che riguarda le cose dell'associazione.

Il paragrafo in cui i paradossi di questa retorica emergono in modo più esplicito è forse quello in cui si fa intrecciare l'orazione inferocita di Don Silvano ai funerali degli operai della Thyssen Krupp, con la disperazione silenziosa dei precari dell'associazione privi di ogni garanzia. Appunto tanta prontezza nel condannare i mali del mondo rende distratti verso le sofferenze di cui si è responsabili.

Molti hanno individuato, nei protagonisti del libro, somiglianze sin troppo strette con Don Ciotti, il Gruppo Abele e l'Associazione Libera. Nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione sono infatti piovute addosso a Rastello delle recensioni scandalizzate, che tacciavano il romanzo di scadere nel gossip o, peggio ancora, di lanciare sassi senza il coraggio dell'inchiesta vera.

L'aspetto paradossale è che le critiche arrivate dai vari Sofri, Dalla Chiesa e Caselli[3] finiscono per essere parte integrante del libro. Il linguaggio utilizzato è esattamente quello stigmatizzato nel romanzo. Se Rastello avesse dovuto scrivere uno spin-off in cui mettere a nudo la retorica con cui intellettuali, società civile e magistrati operavano una difesa d'ufficio di Don Silvano, non avrebbe potuto fare di meglio.

Il libro, piuttosto, è a suo modo scabroso, non però perché denuncia scandali, ma perché racconta qualcosa di indicibile, perché esce dall'autoreferenzialità, dalla retorica circolare con cui ci si erige a portatori di valori e si diventa inattaccabili, proprio perché un attacco si tradurrebbe in un attacco ai valori stessi. Non critica, cioè, il cattivo funzionamento del terzo settore, ma la logica ultima delle sue strutture, anche di quelle che ne rappresentano l’eccellenza. E' una riflessione sulla scomparsa della dimensione politica in quella che è una sfera sempre più diffusa di intervento pubblico.

Paradossalmente, se davvero fosse un libro che grida allo scandalo, I buoni non sarebbe così doloroso, perché ancora una volta eviterebbe di farci guardare allo specchio, non ci costringerebbe a fare i conti con le nostre retoriche. La risposta di Rastello da cui abbiamo iniziato, del resto, ci dice proprio che non basta denunciare a perfezione i vizi altrui per essere virtuosi, che è troppo facile assolversi dai propri mali distraendosi con gli scandali degli altri.

Per rendere merito al libro bisogna sottrarsi al gioco di identificazione tra personaggi letterari e persone reali. Invece di restringere il campo si deve lavorare ancor più di astrazione.

I buoni è un libro sul potere, su come i rapporti di subordinazione oggi avvengono sempre più attraverso l'instaurarsi di dispositivi discorsivi.

E' un libro che ci parla del mondo del lavoro nella sua complessità, di come attraverso la retorica della fedeltà all'azienda si sia smorzata ogni conflittualità in nome di un principio superiore: il giovane architetto deve dare il proprio contributo, non retribuito, allo sviluppo del Progetto; la casa editrice chiede all'editor di stringere i denti perché ne va di mezzo la Cultura; il ricercatore deve andare a prendere il caffè al professore, in nome della Conoscenza.

Al lavoratore di oggi non viene richiesto soltanto di erogare una prestazione, ma di essere parte integrante di una famiglia, di essere pronto al sacrificio.

I buoni è un libro sul toyotismo. 

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Note
[1] Luca Rastello, Non don Ciotti; e non a Sofri, Caselli, Dalla Chiesa. Don Silvano sono io, in Il fatto quotidiano del 1 aprile 2014. http://www.minimaetmoralia.it/wp/sulle-polemiche-seguite-a-i-buoni-di-luca-rastello/
[2] Luca Rastello, I buoni, Chiarelettere, 2014.
[3] Nei giorni immediatamente successivi alla pubblicazione è nato intorno al libro di Rastello un dibattito molto aspro. Iniziato da Adriano Sofri nella sua rubrica Piccola posta apparsa sul quotidiano Il foglio del  25 marzo 2014 con una critica argomentata: (“Nel suo libro la questione non riesce, temo, a restare generale, tanto forte e accanito è l’anatema contro una impresa particolare e i suoi personali attori”), prosegue con delle difese d'ufficio che non entrano mai nel merito del libro come quella di Nando Dalla Chiesa (L'assalto a don Ciotti. In Il fatto quotidiano del 29 marzo 2014) e del giudice Gian Carlo Caselli (Un romanzo cattivo per colpire “I Buoni”. Il fatto quotidiano del 30 marzo 2014). Luca Rastello risponderà con l'articolo citato ad inizio paragrafo, ma il dibattito si arricchirà di molti altri contributi. Tutti gli articoli sono facilmente reperibili in rete.

 

 

 

 

 

 

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