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Gli idoli della democrazia liberale

di Militant

Ancora una volta dalle pagine culturali del Corriere viene l’occasione per riflettere sulla natura ideologica che molti esponenti di quel mondo hanno della democrazia liberale, dei suoi pregi, delle sue mirabili sorti e progressive. Lo spunto è l’articolo “La crisi dei populismi. Ma solo in Sud America” uscito sul numero 231 de La Lettura, l’inserto culturale del giornale. Quando parlano della democrazia e della società occidentale liberale, molti commentatori raccontano con notevole fantasia un mondo che non esiste, una raffigurazione ideologica di una società che non è mai esistita anche nel periodo di ascesa e di maggiore sviluppo della democrazia liberale. Diciamo questo perché leggendo questo articolo è illuminante come si tratti di una mitologia politica, oggi più che mai messa in discussione dalla crisi generale del modello capitalistico internazionale. Ma il nostro valente studioso non è consapevole della sua astrazione, in realtà pensa e vive come non ci possa essere nulla al di fuori della propria visione e pratica nel mondo.

Oggetto di questo articolo sono i “populismi latino americani”, quindi i governi popolari che hanno cambiato positivamente la storia di una parte significativa dell’America latina negli ultimi 15 anni: il Venezuela, l’Uruguay la Bolivia, l’Ecuador, il Nicaragua, senza parlare di Cuba. Per il nostro scrittore questi sono dei biechi populismi, totalitari, che si rifanno ad una cultura arretrata, prodotto del retaggio coloniale, nati dalla matrice ispanica e cattolica. Esperienze politiche legate alla natura sottosviluppata (e corrotta, naturalmente) di quelle società. La tesi è che in America latina i regimi populisti stiano finalmente dileguando, grazie allo sviluppo di un ceto medio prima sconosciuto, e che questo processo riporta in auge la democrazia rappresentativa liberale, il nostro modello, che è l’apice del progresso umano.

Le piroette fantasiose e intangibili del nostro accademico, che ben rappresenta quanto una certa cultura sia intrinsecamente astratta e dissociata dalla realtà, lo portano a dichiarare superate le differenze tra “destra” e “sinistra” in nome della più attuale divisione tra “democrazia” e “populismo”. Si dice alla fine dell’articolo che il populismo latino americano è in seria difficoltà mentre in Europa i populismi avanzano in Francia, in Austria e in molte zone dell’est europeo, per non dire della stessa Italia. Per il nostro studioso il chavismo è la stessa cosa del lepenismo o del tardo haiderismo. La tesi, tutta ideologica, è che dove si tenta, non senza difficoltà, di costruire una democrazia popolare, non asservita all’imperialismo nordamericano, e che tenta una strada della solidarietà economica e sociale, allora questa dinamica è uguale alla reazione dei movimenti lepenisti europei prodotti dalla crisi economica. Non si parla di contenuto ma solo di forma (il vero mantra liberista: la tirannia della forma sulla sostanza), con analogie del tutto improprie: cosa centra, infatti, la storia dei movimenti indigeni di Morales, con il populismo reazionario e di destra dell’Europa odierna? Nulla, se non nella mente di sciroccati “analisti” ideologici. Tutto questo condito da una continuo disprezzo verso la dimensione della mobilitazione popolare dei paesi del socialismo del XXI secolo:

“Come tale, il populismo include, integra, promette coesione, protezione, solidarietà, identità. In ciò risiede la popolarità. Ma lo fa invocando unanimità e asservimento dell’individuo alla comunità, chiamata pueblo. In concreto, ciò significa che, allorché s’impone, il populismo comprime o annulla i diritti individuali, il pluralismo politico, la libertà economica”.

Il punto è esattamente questo: la libertà economica di cui si parla è l’economia monopolistica di mercato, delle multinazionali e delle grandi concentrazioni finanziarie e il pluralismo politico è quello di una classe dirigente sia di centro destra che di centro sinistra, come quella occidentale, totalmente compromessa con gli interessi del capitale transnazionale.

Brucia ai nostri benpensanti che le democrazie popolari in America Latina abbiano dato voce ai popoli indigeni come nel caso della Bolivia di Morales, abbiano ridato peso, potere e dignità ai senza terra che da sempre in quei paesi hanno subito la secolare dominazione imperialista. Brucia ancora che nel Venezuela sotto Chávez siano state nazionalizzate l’industria petrolifera, elettrica, siderurgica, i settori strategici dell’economia nazionale riposti nelle mani del popolo venezuelano e non più delle consorterie locali e dei gruppi americani che storicamente hanno sempre governato l’economia del continente, solo per accennare ad alcune delle molte cose fatte in questi paesi.

Si auspica in questo articolo il ritorno della democrazia liberale che “rimane perciò il miglior antidoto per assorbire gli effetti laceranti del populismo in Europa come in America Latina”. Infatti si sono visti in America Latina gli effetti della democrazia liberale negli scorsi decenni: dittature militari, programmi economici sostenuti dalla Banca Mondiale e dal FMI, volti a spogliare le economie nazionali, altro che democrazia liberale improntata al razionalismo illuminista. Ma alla fine la cosa meno credibile di tutta la riflessione è che si evoca un modello, quello della democrazia liberale rappresentativa, che non esiste più neanche in Europa. Oggi la storia della Ue e del suo governo sovranazionale è la concreta rappresentazione di un ordoliberismo che non sa che farsene delle forme della mediazione politica novecentesca. Auspicare *per altri* soluzioni politiche crollate sotto i colpi del liberismo da noi, è una delle astrazioni tipiche di questi anni, e allora dovrebbero spiegarci, questi sòla della cultura, perché questo “ultimo stadio” del processo democratico in Europa sta prendendo le forme dell’antipolitica, dell’esecutivizzazione del governo, della riduzione della rappresentanza, del restringimento dei diritti sociali e politici, della scomparsa dei canali della partecipazione, e molti altri eccetera. Domande che continuano ad essere senza risposta.

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