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Il sinistrismo addomesticato dell’intellettuale illuminato

di Militant

E così anche Massimo Gramellini, che per un istante della nostra esistenza abbiamo dovuto anche sopportare come riferimento culturale di certa sinistra radical bohemien in tresca perenne con l’ecologismo d’accatto e la feticizzazione del “basso” contro “l’alto”, si smaschera per quello che è: un rimasticamento insignificante della cultura dominante. Il suo corsivo islamofobo di ieri mattina svela i tic tipici di certa sinistra, quella illuminata, che pretende di imporre culturalmente quello che il liberismo prescrive economicamente. Vittima del suo strale le nuove divise delle hostess Alitalia, espressione a suo dire della primitiva cultura araba di sottomissione della donna. Sono brutte, e per di più non si vede un filo di coscia. Davvero uno scandalo.  Il sillogismo non assume neanche le forme sottili del razzismo intellettualmente raffinato: chiama in causa direttamente i valori occidentali per definizione superiori a quelli musulmani. Ecco cosa succede a vendere all’estero, per di più a culture primitive, i nostri gioielli nazionali. Le nuove divise Alitalia fanno evidentemente schifo. In linea con la maggior parte delle altre compagnie però. Basta vedere come vanno conciate le schiave sorridenti dei voli low cost, per capire immediatamente la truffa del discorso dell’intellò torinese (egregiamente sbugiardato da Lorenzo Declich su Vice). Lui tutto questo lo sa benissimo: è perfettamente conscio che non esiste alcun collegamento tra la cultura di provenienza della proprietà multinazionale di Alitalia e i nuovi capi di vestiario.

Stiamo parlando di un impostore culturale, non di uno sprovveduto. L’obiettivo è la polemica capace di solleticare gli istinti primordiali dell’odio per il diverso. Istinti ampiamente coltivati da tutti gli organi d’informazione massmediali e da tutte le forze politiche in parlamento. Gramellini assolve alla funzione tipica dell’intellettuale compatibile: quella di coprire a sinistra gli items ideologici dominanti, gli elementi posti a fondamenta della narrazione egemone. Le orribili calze verdi divengono così lo smascheramento addirittura dell’Europa saudita; la pelle coperta il segno tangibile della sottomissione della donna nella cultura musulmana. Poco importa che quelle mise sono state pensate ed elaborate da uno stilista milanese; poco importa che le divise precedenti fossero altrettanto brutte; ancor meno, che ogni proprietà multinazionale non ha alcun carattere tipico da conservare o anche solo da riconoscere che non siano strategie di marketing planetarie, che delle “culture locali” se ne fregano altamente. La chiusura è poi un vero e proprio fuoco d’artificio neocolonialista, di quelli che fanno impressione e si rimani stupiti col naso all’insù: [ecco] “cosa succede quando un bene italiano finisce nelle mani di una cultura che, quantomeno in materia di donne, si trova nelle condizioni più di prendere esempi che di imporne”. Quella stessa cultura a cui stiamo dando esempi a suon di bombe e di sconvolgimenti epocali, dovrebbe al contrario dimostrarsi prona alla nostra palese superiorità, quantomeno in materia di donne, si prodiga però di specificare il giornalista. La cultura occidentale che parla di emancipazione della donna è l’ultima delle provocazioni che siamo costretti a subire in questa nefasta epoca di sottomissione antropologica. Perlomeno, da oggi speriamo di esserci sbarazzati una volta per tutte dalla definizione di Gramellini come “uno di sinistra”.

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