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gliocchidellaguerra

Corea del Nord: una minaccia?

di Brando Baranzelli

Dilagano ribrezzo e timore nell’opinione pubblica quando si parla di bombe atomiche, e spesso si prende la palla al balzo per criticare le politiche estere di certi paesi, ultimamente Iran e Corea del Nord.

È da anni che i media occidentali stanno facendo del neo-leader coreano Kim Jong-Un lo spaventapasseri della politica internazionale e del regime dinastico di Pyongyang l’Oceania del romanzo di Orwell.

Così la Corea del Nord, paese remoto di circa 25 milioni di abitanti, che prosegue il suo programma nucleare a dispetto del trattato di non proliferazione (dal quale si ritirò nel 2003) viene dipinta come una minaccia all’equilibrio mondiale, poiché vige l’asserzione che se qualcuno vuole dotarsi dell’arma nucleare, non è di certo per scopi pacifici. Le polemiche riguardanti il programma nucleare nord-coreano vengono poi immancabilmente assecondate da una pesante critica della politica interna del regime, divulgando faccende che narrano gli atti deliranti di un autocrate che – si vocifera – si divertirebbe a far giustiziare un ministro adoperando un sistema di difesa anti-aereo o facendo sbranare suo zio da dei cani affamati per pura vendetta. Da far concorrenza a Vlad l’Impalatore nell’elenco dei tiranni della storia.

È come se ci fosse una corsa a chi trova la notizia più delirante, a chi scrive l’articolo più sconvolgente, facendo del giovane Kim il protagonista di una saga degna di un fumetto.

Avete presente i film di spionaggio hollywoodiani? Spesso c’è un cattivo in qualche parte del mondo (che non viene mai scelta a caso) che vuole dotarsi della bomba atomica, e un eroe che salva le sorti del pianeta uccidendolo. Questo tipo di film inculca una visione ben precisa – che più di parte non si può – della politica internazionale nell’inconscio collettivo degli occidentali, uno schema dualistico che designa un nemico e un protettore. Il nemico cambia a seconda del film, ma l’eroe è sempre americano. La stessa trama viene descritta dai media quando si parla di Corea del Nord. Questa prassi si chiama Soft-Power, e in questo gli americani sono i campioni del mondo. 

Ricordiamo che già nel 2002 Bush incluse la Corea del Nord nel suo profetico Asse del male affiancata dall’Iran del futuro Ahmadinejad, e dall’Iraq dell’allora Saddam Hussein. Ma perché la Corea della dinastia Kim, piuttosto che il Venezuela di Chavez, o la Libia di Gheddafi?

Diciamo che oltre all’arrivo dell’imprevedibile Kim Jong-Un alla guida del Paese, ciò che crea sconforto al Pentagono è che nessun analista si aspettava che in così breve tempo gli ingegneri nord-coreani potessero sviluppare con successo delle armi di distruzione di massa e condurre con altrettanto successo i test missilistici, ed è cosa nota, quando si tratta di faccende militari, gli americani non vogliono rivali. Così un’iper-potenza che possiede oltre 8000 testate nucleari è ossessionata da una provincia asiatica che cerca di procurarsene un paio.

Il fatto è che nessuno si è mai posto il problema di mettersi nei panni della Corea del Nord chiedendosi se quel paese, a prescindere da una politica interna autocratica e totalitaria fosse veramente guerrafondaio. Di fatto, a parte i bisticci con la sorella del Sud, non risulta che Pyongyang abbia mai condotto operazioni militari fuori dai suoi confini, del resto in quanti paesi il suo esercito dispone di basi militari? Nessuno.

Perché allora dotarsi di un esercito così imponente e volere a tutti i costi avere accesso alla bomba atomica? La risposta è semplice: per disporre di un peso diplomatico maggiore nell’ambito dei negoziati con Washington e con la vicina Seul, basti pensare che sono presenti circa 30 mila soldati USA nel sud della penisola, con tanto di F-22 Raptor e di bombardieri B-2, per non parlare dei sottomarini nucleari nascosti nel mar del Giappone e con i mirini puntati su Pyongyang.

Capito a cosa serve dotarsi della bomba atomica e dei missili a lungo raggio? Serve a dire “ce l’abbiamo anche noi”, e non è un segreto, Kim lo ha ribadito più volte: “L’arma nucleare serve per difenderci, non saremo noi i primi ad attaccare”.

Sembrerà assurdo ma la Corea del Nord non dimostra di avere alcuna volontà di egemonia militare né tanto meno economica (essendo praticamente autarchica), da’ più l’idea di voler mantenere sovranità e indipendenza senza accettare il modello di sviluppo occidentale imposto dalla Pax Americana. Di fatto la giunta militare di Pyongyang non conduce affatto una politica espansiva, ma la più isolazionista che sia mai stata attuata nella cronaca contemporanea. Ciò che potrebbe riassumere la politica estera della Nord-Corea é il motto “siamo fatti così, lasciateci in pace”. 

Arrivando al dunque, se il fine è l’isolazionismo, il mezzo qual è? I coreani lo sanno bene: l’unica maniera di ottenere un peso economico e geopolitico tale da poter beneficiare dell’indipendenza è la riunificazione.

Per rendere l’idea osserviamo l’analogia con l’Europa della guerra fredda. La Germania post-bellica era stretta nella morsa di due blocchi antagonisti, gli stessi che oggi dividono la Corea e che alla stessa stregua spaccano in due lo stesso popolo imponendogli due modelli opposti di sviluppo e una situazione di perenne conflitto bilaterale. La Germania che fino al 1989 seguiva i dettami di Mosca da una parte e di Washington dall’altra, oggi detta le regole in Europa. Lo stesso accadrebbe in Corea, qualora le due gemelle riuscissero ad unirsi. Quella penisola che è soggiogata da Russia e Cina a Nord, e dal Giappone e gli Stati-Uniti a Sud, otterrebbe una posizione di rilievo nella geopolitica estremo-orientale, passando da una situazione di potenza periferica a un grado di potenza multipolare, disponendo di un esercito e un’industria pari (o quasi) a quella nipponica.

Ciò che oggi appare come un aspro conflitto tra due paesi, è in realtà una situazione di conflitti d’interesse piovuti dalle grandi potenze mondiali e abbattutisi proprio in quella zona, spezzando ineluttabilmente un popolo con una cultura plurimillenaria. Ergo va tenuto presente che a differenza dell’emblematico caso israelo-palestinese non esiste alcun un odio o risentimento storico tra coreani del nord e coreani del sud, esistono due visioni del mondo che si contendono la stessa patria a scapito di un sentimento nazionale condiviso da ambo le parti: una storia, una cultura e una lingua comune, salvo qualche lieve divergenza dialettale.

In pochi lo sanno, ma esistono movimenti e organizzazioni sotterranee da entrambe i lati volte alla riunificazione pacifica delle due Coree, perché sia da una parte che dall’altra é ciò che conviene. Ma ogni qualvolta si palesino in accordi bilaterali, i negoziati vengono osteggiati da impulsi venuti dal di fuori; poiché la guerra non la si conduce solo con razzi e pallottole, la si fa anche a suon di sanzioni e calunnie.

Ed è in virtù del programma nucleare che lo scorso Marzo il consiglio di sicurezza dell’ONU votò a favore dell’inasprimento delle sanzioni contro Pyongyang, risoluzione che ricordiamo, venne votata all’unanimità, quindi con il plauso di Cina e Russia. Ma il Nord non scende a compromessi, e le conseguenze delle sanzioni si palesano sempre in un escalation di tensioni che ostacolano il riavvicinamento dei due paesi, le ultime verificatesi con la chiusura del complesso industriale di Kaesong. In sintesi c’è un’inerzia storica che tende al riavvicinamento delle Coree, ma una forza centrifuga ed esogena che ne ostacola la realizzazione.

Di fatti cosa resta allo zio Sam per sottomettere uno Stato che rischia di far saltar per aria un’intera metropoli se non la guerra economica, ovvero l’embargo, le sanzioni e soprattutto la corsa alle armi, che costringe Pyongyang a delle spese colossali per far fronte all’imperialismo a stelle e strisce. Ciò che uccide il popolo del nord infatti sono le spese belliche smisurate che soffocano l’economia del paese lasciando le province rurali in situazione di sottosviluppo. Non é un caso se negli ultimi anni la Corea del Nord si è aperta al turismo estero per trovarvi una nuova fonte di introiti e dare sollievo al suo PIL.

Capito perché fa scalpore, e perché finisce sulla prima pagina di tutti i giornali la notizia che Donald Trump vorrebbe incontrare Kim Jong-Un? È una svolta storica che un candidato presidente del paese emblema della libertà si senta affine al leader del paese emblema della tirannia. Sicuramente i due avranno qualcosa in comune: l’essere fuori di testa, diranno le menti progressiste. Altri diranno invece che tra isolazionisti ci si ritrova.

Chissà se questo presunto vertice porrà fine al battibecco tra Seul e Pyongyang… Chissà se gli USA e la Corea del Nord troveranno la strada del dialogo… Chissà se il magnate Trump incontrerà il suo omologo Coreano nel fumetto dei despoti del XXI secolo… 

Chissà se un giorno potremo assistere allo smantellamento della DMZ, l’ultimo tratto della cortina di ferro.

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