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palermograd

No grazie, il brexit mi rende nervoso

di Angelo Foscari

L’Invasione delle Mosche Cocchiere 

Il referendum sul Brexit è stato lungamente agognato e lungamente preparato dalla Destra euroscettica, concesso (sperando che non avesse poi luogo) dalla Destra europeista, dibattuto di fronte all’opinione pubblica tra le due suddette Destre (padrone assolute della scena), infine vinto dalla Destra euroscettica; il suo esito nel medio-lungo termine sarà gestito politicamente dalla Destra euroscettica nella sua versione più moderata (e forse compromissoria), mentre nel breve termine intendono fermamente guadagnarci sopra le Destre europeiste, vuoi tory vuoi blairiane, che reclamano a gran voce le dimissioni di Jeremy Corbyn. Eppure non mancano i commentatori – evidentemente appena sbarcati sulla Terra, provenienti dal pianeta Urano – secondo i quali “una controproducente campagna per il ‘remain’ da parte laburista avrebbe “consentito alla destra xenofoba di indirizzare la campagna  per il ‘leave’”[1]: che è un po’ come dire che, nella Germania di Weimar, una controproducente campagna cosmopolita avrebbe consentito ad Hitler di indirizzare la campagna antigiudaica. Sulla moralità e produttività politica di questo unirsi da parte “comunista” alla tiritera della stampa di regime sulle “incertezze” di Corbyn (offrendo una lamentosa e criticona copertura a sinistra a quanti in questo momento cercano di ridimensionarne l’immagine onde affrettarne la rimozione dal vertice del Labour) lascio il giudizio ai nostri lettori.

La verità è che un referendum del genere, in questo momento storico, era per la sinistra di classe una partita persa comunque, in quanto giocata con carte truccate. Per fare un esempio “vissuto”: un amico yorkshiriano, convinto sostenitore del Remain come male minore, nel momento in cui si è visto proporre dal Partito Laburista di partecipare al “porta a porta” della campagna elettorale, non se l’è sentita: perché come fa, dopotutto, nel 2016, un avversario del neoliberismo a propagandare lo status quo? (e infatti sul piano strettamente di principio la posizione più corretta era quella del boicottaggio al referendum, sostenuta dal CPGB; ma sul piano pratico, giusta l’affermazione di Nick Wrack, ciò significava “sguarnire la porta” rispetto ad una eventuale, disastrosa, affermazione del Leave, come poi è successo). Jeremy Corbyn si è dunque necessariamente ritrovato tra le mani uno ‘script’ tutt’altro che scintillante, la cui battuta-chiave non poteva che essere “Al Peggio Non C’è Fine”: qualcosa di poco appetibile in un contesto referendario in cui alla gente viene venduto il Nuovissimo Detersivo ‘Brexit’, che sicuramente risolverà ogni problema. Dopo tutto, “calati juncu ca passa la china” è proverbio siciliano e non britannico (anche se non dispero di trovarne – with a little help from my friends - l’equivalente in lingua inglese).

Polemiche sulla conduzione della campagna referendaria a parte, dovrebbe risultare scontata la precisazione per cui l’imperativo dell’oggi è stringerci intorno a Jeremy Corbyn per fermare il golpe blairiano; come ha detto Tobias Abse (che è uno dei migliori commentatori internazionali sulle vicende politiche italiane, sulle pagine del Weekly Worker e altrove): “Chi non è con noi è contro di noi”. Dico “dovrebbe” perché non sembrano pensarla così commentatori come Gigi Roggero, meno traballante sul piano logico di ‘Marx 21’ ma ancor più grottesco nelle conclusioni politiche: “Se non un terremoto (…) certo degli scossoni la Brexit li procura: Cameron costretto alle dimissioni, i laburisti in crisi [corsivo mio, AF] i mercati in fibrillazione, i media sgomenti, l'Europa a pezzi. Noi non sappiamo che direzione prenderanno questi scossoni, ma la cosa sicura è che solo qui dentro possiamo organizzare il terremoto. Chi oggi impaurito preferisce la quiete non sta dall'altra parte nella dialettica tra destra e sinistra, sta dall'altra parte nella dialettica di classe. Perché le rivoluzioni si sono sempre fatte con i barbari”[2]. ‘Socialismo E Barbarie’  dunque!!  Che bello, finalmente abbiamo un altro slogan, più nuovo e più cretino dell’altro, da ripetere all’infinito. La crisi dei laburisti (tradotto in italiano: la Notte dei Lunghi Coltelli contro Corbyn) viene fatta rientrare tra i positivi “scossoni” del Brexit, fa parte del “terremoto” che andrebbe poi organizzato. A parte l’evidente cinismo della metafora, è ovviamente noto a tutti che dopo il sisma del 1980 in Irpinia, in Italia c’è stata la rivoluzione.  Ma con ogni probabilità secondo Roggero osservare - come faccio io - che oggi lo “sfascio” non aiuta la sinistra classista, è manifestazione estrema di perbenismo, di quel “vero e proprio razzismo sociale, che invece di puntare a processi di ricomposizione alimenta una spaccatura orizzontale all'interno della classe”[3]. Ma i risultati elettorali raccontano piuttosto che la classe è già spaccata. Al di là, infatti, dell’impagabile umorismo involontario di ‘Marx 21’ (eccovi l’incipit del pezzo in questione: “Le analisi del voto delTelegraph, del Guardian e della BBC lo confermano: il voto nel Regno Unito è stato caratterizzato da una forte connotazione di classe … Ad esempio nel distretto operaio di Blaenau Gwent in Galles il “leave” ha vinto con il 62%”), i dati elaborati da Lord Ashford Polls mostrano che il 47% dei lavoratori manuali che nel 2015 avevano votato laburista hanno votato Remain al referendum, a fronte del solo 34% di lavoratori manuali che avevano votato Tory. Questi “lavoratori manuali” costituiscono il 33% della popolazione totale, mentre all’interno del 56% formato dai lavoratori white collar e dai tecnici il Remain ha superato tra i votanti laburisti il 70% (a fronte di un misero 42% fra i white collar di orientamento conservatore). Beninteso, questo 89% che si ottiene sommando le categorie ashfordiane di Blue Collar e White Collar non coincide con il Proletariato in una visione marxista (in qualsiasi possibile variante); e neppure, invero, con l’accezione storico-culturale britannica di ‘working class’ (per cui, ad esempio, il proprietario di una piccola tabaccheria in zona popolare si considera senz’altro appartenente a questa categoria). Una bella fetta del suddetto totale è in sostanza middle class; e la meno improbabile (se non meno empirica) classificazione del GBCS 2013 fissa il totale della classe lavoratrice (divisa in quattro strati) ad un più verosimile 63%. E se rimane triste e grave il fatto che poco più della metà dei “lavoratori manuali” secondo Lord Ashford (in mezzo ai quali ci sono peraltro i lavoratori manuali autonomi e i padroncini che prendono parte al lavoro delle propria micro-azienda) abbiano votato in compagnia di razzisti, xenofobi e fascisti, è chiaro che il quadro reale è estremamente più complesso dei ridicoli proclami sulla “classe” delle mosche cocchiere nostrane[4]. Per non dire che il problema dei lavoratori che a livello politico non percepiscono se stessi in termini di classe, bensì di nazione o anche strettamente individualistico – e pertanto votano Tory - è, tutto sommato, vecchio come il cucco: non l’hanno creato né la Merkel né Juncker né la UE.

 

No all’antieuropeismo purchessia 

Il fatto che la posizione di chi si batte in un’ottica di classe per una democrazia più avanzata esca indebolita dal voto referendario, non significa certo che non si debba lottare con rinnovato vigore all’interno del nuovo scenario: i cui contorni sono oltretutto estremamente incerti, visto che non è affatto detto che la Gran Bretagna alla fin fine esca davvero dall’UE. E tuttavia, anche se la vicenda dovesse finire in burletta a livello strettamente istituzionale, ci saranno comunque conseguenze negative sul piano anche materiale per gli immigrati in UK e per i lavoratori britannici, che rischiano seriamente di perdere quel non pochissimo di “modello sociale europeo” che tuttora resiste; e certamente restano le macerie prodotte dal voto a livello ideologico e di psicologia di massa: ecco infatti moltiplicarsi manifestazioni di violenza razzista e anti-immigrati in tutto il Regno, ecco più che mai galvanizzata la parte più retriva e scioccamente piccoloinglese della società. E, per converso, ecco purtroppo rafforzati gli stereotipi continentali in merito agli inglesi snob, arroganti, isolazionisti e presuntuosi (e si veda in proposito l’immediata eliminazione dai campionati europei della squadra nazionale di calcio, che oltre alla gagliardia degli avversari e ai propri limiti di base ha pagato una – inevitabile – atmosfera di antipatia generale, giocando in pratica contro lo Zeitgeist oltre che contro l’Islanda). Se esiste una “lezione” del XX secolo, è che il socialismo dev’essere internazionale, altrimenti non sarà: e tutto ciò che contribuisce, sul piano sovrastrutturale non meno che su quello strutturale, ad allontanare i popoli l’uno dall’altro, non giova in alcun modo alla causa di una civiltà più giusta e solidale. La lotta contro l’UE dei padroni e contro la “Fortezza Europa” non conosce scorciatoie né opportunismi né logiche di “Tanto Peggio Tanto Meglio”: va condotta spendendo tutte le forze che abbiamo per mettere all’ordine del giorno gli interessi dei ceti subalterni, non certo immaginando di “ricomporre la classe” in mezzo ai pogrom o di “fare egemonia” su chi oggi vota Farage. Spinte e processi centrifughi restano tali, anche se decidi di guardarli attraverso lenti tinte di rosa (o di rosso). Non disponendo di una sfera di cristallo, mi limito a rilevare che la prima, certissima conseguenza del voto in favore del Brexit è il voto di sfiducia a Corbyn da parte del gruppo parlamentare  laburista. È dalla lotta della base del partito contro questo tentativo di ‘Very British Coup’ che dobbiamo - tutti insieme - ripartire.


Note
​[1] http://www.marx21.it/index.php/internazionale/europa/27009-referendum-in-gran-bretagna-ed-europa-quale-ruolo-per-la-sinistra 
[2] http://commonware.org/index.php/neetwork/707-barbari-di-tutta-europa-uniamoci
[3] Ibidem
[4] Devo questi spunti analitici a Steve Jefferys,  https://www.facebook.com/photo.php?fbid=513855702134338&set=pcb.513856348800940&type=3&theater

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