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goofynomics

Quanto costa comprare tempo

di Alberto Bagnai

Molto rapidamente: come andrà a finire lo sapremo. L'euro crollerà. Per l'Italia ciò comporterà, verosimilmente, un episodio tecnicamente definibile come "large devaluation", anche se dubito che si potrà parlare di un vero e proprio "currency crash" (alcune possibili definizioni le trovate a p. 303 di Milesi-Ferretti e Razin, 2000). Dovremmo perdere qualcosa di vicino al 30% (forse) rispetto al nucleo dell'Eurozona, ma sicuramente di meno verso dollaro (visto che Draghi ci ha già tirato giù) e poi verosimilmente rivaluteremmo verso la periferia dell'Eurozona: insomma, in termini effettivi (cioè in termini di media ponderata con le quote dei diversi partner commerciali) mi pare difficile che la svalutazione possa essere molto pesante, molto superiore a quella già sperimentata nel 1992, quella che, come diceva uno che se ne intende, ci aveva fatto bene.

Comunque, ammettiamo che lo sia, che sia un Armageddon...

Fin dai tempi di Krugman e Taylor (1978) si sa che una "large devaluation" può avere anche effetti recessivi. Certo, aiuta la ripresa delle esportazioni (se il paese ha ancora qualcosa da produrre), e scoraggia le importazioni (se il paese ha ancora qualcosa da produrre: due punti sui quali Gennaro Zezza attira sempre la mia attenzione), ma causa anche problemi agli operatori esposti finanziariamente in contratti non ridenominabili. Questo era lo standard dei paesi in via di sviluppo (indebitati in dollari), ed è diventato il nostro standard da quando ci indebitiamo in euro se il contratto non è regolato dal diritto italiano.

La letteratura sulle "contractionary devaluations" si è sviluppata nel tempo. Uno degli studi più recenti è quello di Céspedes (2005), che analizza 82 episodi di "large devaluations" fra il 1980 e il 2001. Uno studio particolarmente rilevante per noi, perché non considera solo paesi in via di sviluppo, ma anche paesi avanzati, come ad esempio il nostro: il campione include le nostre due precedenti "large devaluations": quella del 1981 e quella del 1992, e quelle verificatesi negli stessi anni in Belgio, Finlandia, Regno Unito, Svezia, ecc. Le nostre le vedete in questa figura:

Cesp 03


(i dati provengono da qui).

Questo studio me l'ha segnalato Jens Nordvig e forse ve ne ho già parlato. Il succo è riassunto dalla Table 9:

Cesp 01
 


che indica qual è l'elasticità del prodotto rispetto a una svalutazione del cambio reale in corrispondenza di valori decrescenti dell'esposizione debitoria in valuta estera di un paese (per la definizione di cosa sia il "peccato originale" basta guardarsi original sin: come vedete, questa metafora è stata coniata da un nostro vecchio amico, e indica la percentuale di debito emesso dal paese i in una valuta non sua - e quindi non ridenominabile, e quindi soggetto a rivalutazione se il paese i svaluta).

Come si legge questa tabella? Semplice. Se un paese ha un debito estero non ridenominabile pari al 115.2% del Pil, una "large devaluation" che comporti una svalutazione reale poniamo del 20% causa una perdita di Pil (dovuta alla bancarotta degli operatori esposti in valuta estera) pari a 0.2 x (-0.148) = -0.0296 = -2.96%. Si perdono quasi tre punti di Pil nel primo anno (poi le cose si aggiustano).

L'Italia come sta messa?

Benino. Sempre secondo Nordvig (a p. 46) la nostra esposizione (lorda) in contratti non ridenominabili è intorno al 49% del Pil. In questo senso siamo il paese europeo che sta meglio, dopo la Germania:

cesp 02

 

Tuttavia Céspedes ci avverte che gli effetti recessivi di una svalutazione si fanno sentire oltre la soglia del 35.9% di esposizione, e noi, col nostro 49%, siamo appunto oltre. Volendo stimare per eccesso l'impatto di una svalutazione reale sul Pil italiano, dovremmo considerare nella Table 9 l'elasticità corrispondente a una esposizione del 54%. Ne risulta che una svalutazione reale del 20% provocherebbe per l'Italia una perdita di Pil pari a 0.20 x (-0.038) = -0.0076 = -0.76% punti di Pil. Insomma: nel primo anno l'economia si contrarrebbe, ma non di una cifra enorme: circa lo 0.8% del Pil. Poi riprenderebbe a crescere.

Un calo di questo ordine di grandezza, per liberarsi dal cappio dell'euro, potrebbe essere più che accettabile, considerando che siamo sopravvissuti (purtroppo non tutti) a una perdita cumulata di Pil pari a oltre dieci volte tanto negli ultimi sette anni! Ma naturalmente c'è un problema, che vi immaginate anche voi. Gli effetti sono tanto più piccoli, quanto più il paese è sano. Se prima della svalutazione il paese ha sperimentato una crisi bancaria, le cose vanno molto meno bene. Questo ce lo dice la Table 8 di Céspedes:

cesp 04


La vedete la variabile "Banking crisis(-1)"? Bene. Se l'anno prima c'è stata una crisi bancaria, bisogna sottrarre un altro -0.014 alla crescita nell'anno della svalutazione. Unito a quanto abbiamo visto, diciamo che fa una cosa tipo il -2.2% del Pil, cioè, ai livelli attuali, per dirla come la direbbe un giornalista, 600 euro a testa a ogni italiano, dei quali il 63%, pari a 378 euro a testa, sono quello 1.4% che ci costerà in più l'inevitabile svalutazione, per aver aspettato, prima di farla, che si verificasse l'inevitabile crisi bancaria.

Per carità, sono dati annuali.

Diciamo che è il famoso caffè al giorno che dovreste offrire a me, e invece offrite a Boccia (che in effetti è un po' nervosetto, ultimamente: forse avrà letto questa intervista?).

Il punto però credo lo abbiate capito. Siamo in mano a dilettanti che comprano tempo. E il problema è che lo comprano coi soldi nostri.

Amen.

Comments

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Vincesko
Saturday, 16 July 2016 10:31
Dialogo nel blog Goofynomics su Monti-Fornero e le pensioni. Censura finale ad opera di Bagnai
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2847440.html
oppure (se in avaria)
http://vincesko.blogspot.com/2016/06/dialogo-nel-blog-goofynomics-su-monti.html
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