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La Francia e noi: perché il Luglio francese parla all'Ottobre italiano

di Clash City Workers

Il progetto di legge sul lavoro El-Khomri, del quale tanto si è parlato in questi mesi, è quasi giunto in porto: con l'annuncio, il 5 luglio scorso, di Valls di un nuovo ricorso al famigerato articolo 49.3.

(che permette al Governo di legiferare anche in assenza di una maggioranza parlamentare) e il mancato raggiungimento delle 58 firme di deputati necessarie a “censurare” l'azione governativa, non ci sono più ostacoli rilevanti all'entrata in vigore della cosiddetta Loi Travail.

Eppure la lotta dei lavoratori francesi è stata imponente: solo dal 9 Marzo, data del primo appuntamento di piazza, contiamo almeno 17 manifestazioni in tutto il paese; scioperi generali e di settore nei trasporti, nelle raffinerie, nelle centrali nucleari e in altri settori strategici; piazze occupate da nord a sud dal cosiddetto movimento delle Nuits Debouts; ci sono state anche alcune occupazioni di fabbriche e veri e propri blocchi nell'accesso ad alcuni siti strategici, come le raffinerie di Fos-sur-Mer.

Che cosa ha impedito, allora, che la forte opposizione dei lavoratori portasse al ritiro della legge, come chiedevano i principali sindacati scesi in piazza (CGT, FO, SUD, CNT)? Un insieme di fattori, riassumibili nel fatto che i vertici governativi si sono ormai giocati il consenso e preferiscono marciare spediti e portare a casa il risultato; il PS è un campo di battaglia; la destra non avrebbe mai sfiduciato il governo per fare un favore alla CGT.

Tutto questo, però, è contorno: la sostanza del problema è che le istanze dei lavoratori, prive di copertura sul piano politico, si scontrano con un'architettura istituzionale – la costituzione gollista del 1958 – strutturalmente pensata in modo fortemente antidemocratico, con una ripartizione dei poteri di gran lunga sbilanciata a favore del governo e a danno dell'assemblea nazionale. I casi in cui le lotte hanno portato a risultato, come quelle contro il CPE o la riforma delle pensioni, sono dunque l'eccezione, non la regola, perché la regola vuole un paese in cui il governo, una volta insediatosi, risponde, in ultima istanza, solo a se stesso (cioè ai soggetti di cui rappresenta gli interessi, quindi mai ai lavoratori).

Arriviamo quindi al titolo: il luglio francese parla all'ottobre italiano perché ad Ottobre noi saremo chiamati a votare su una riforma costituzionale che, se passa, ci avvicinerà molto alla Francia: il Senato sarà trasformato in camera di rappresentanti non eletti e il governo avrà il potere di legiferare anche senza passare per il Parlamento.

Negli ultimi anni abbiamo visto troppe leggi e riforme antipopolari passare nonostante le proteste di piazza: il famigerato Jobs Act è l'ultimo esempio, benché le mobilitazioni siano state debolissime. Se passa il SI al referendum, il potere dell'esecutivo ne uscirà talmente rafforzato che nemmeno con due mesi di scioperi potremo essere sicuri di vincere. La Francia, oggi, purtroppo insegna.

Chi, come noi, in questi anni ha provato a dare il proprio piccolo contributo alla causa dei “nostri” non può, dunque, oggi, tirarsi indietro sulla battaglia referendaria: quello che succederà ad Ottobre traccerà la linea dei prossimi decenni. Il NO, mai come ora, è possibile e necessario!

Comments

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Claudio
Friday, 22 July 2016 09:33
A parte il referendum italiano d'ottobre, a cui dobbiamo opporci con decisione, e che se passerà renderà più normale il sistema voluto dalla grande finanza, nel senso cioè che non ci sarà più bisogno del parlamento dei nominati, ma tornando alle grandiose lotte degli operai francesi, ciò che non ha portato al ritiro della nuova legge sul lavoro, a mio parere non è stata tanto "la costituzione gollista del 1958", come dite voi, ma il fatto che lo scontro è politico, che siamo in presenza di un attacco al salario diretto, indiretto e differito, nonché alla condizioni di vita e di lavoro di tutte le classe subordinate, da parte del grande capitale industriale e finanziario, ordito a scala globale per sostenere il profitto. Essendo un attacco politico generalizzato della classe borghese, infatti, oltre ai lavoratori francesi, già da un decennio sono stati attaccati quelli tedeschi con l'introduzione del famigerato mini job e poi, come avete ricordato voi, quelli italiani col job act, ma non solo, i salari, sono stati storicamente ridotti in tutti i paesi sviluppati. Ad un simile forsennato attacco, quindi, l'arma della lotta economica è insufficiente a scalfire il potere dell'intera classe del padronato, occorre pertanto passare alla lotta politica di tutte le classi deboli per il potere. Non è certo un passo facile, pochi ora afferrano tale improrogabile necessità, ma ciò che è importate e capirlo, è sostenerlo, è cominciare a mettersi culturalmente, prima ancora che fattualmente, da questo punto di vista. Se non lo si fa si è condannati a subire sonore sconfitte, come è appena accaduto agli operai francesi, nel 2011 - 12 a quelli greci e così via.
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